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Negli Usa la macchia si espande. Anche il Kentucky vuole un grand jury sulla pedofilia nella Chiesa

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Dal Kentucky, lo Stato americano teatro anni fa di una clamorosa battaglia legale che minacciò di portare in tribunale Benedetto XVI e il Vaticano, arriva un nuovo affondo nella crisi della pedofilia. L'attorney general statale, Michael Brown, vuole costituire un gran giurì che indaghi sulle accuse di molestie al clero cattolico.

Brown si è consultato con Josh Shapiro, il collega della Pennsylvania dove a metà agosto lo scandalo della pedofilia è riesploso con accuse di mille vittime a oltre 300 sacerdoti predatori: "Vogliamo garantire che anche chi si è rivolto al nostro ufficio riceva giustizia", ha detto Brown rivolgendosi a tutte e quattro le diocesi: Louisville, Covington, Lexington e Owensboro. Nel 2004 tre ex chierichetti molestati avevano fatto causa alla Santa Sede sostenendo che preti e vescovi in tutto il mondo erano "dipendenti" del Papa. La causa era rientrata sei anni dopo quando le vittime avevano ritirato la denuncia.

Costata finora oltre tre miliardi di dollari alle casse della Chiesa, la crisi ha mandato in bancarotta dal 2001 una ventina tra diocesi e ordini religiosi. Nella sua nuova versione, ad alimentare le fiamme sono stati leader della destra cattolica che ne hanno fatto uno strumento nelle campagne contro la svolta progressista impressa alla Chiesa da papa Francesco. Solo qualche giorno fa, in una una intervista da Roma alla Reuters, l'ex stratega di Donald Trump, Steve Bannon, ha suggerito la creazione un tribunale indipendente che affronti tutti gli aspetti dello scandalo: qualcosa che lo stesso Bannon, che è cattolico e a Roma ha incontrato Benjamin Harnwell, il capo del think tank conservatore Dignitatis Humanae Institute, starebbe cercando di organizzare in contatto con "gente importante" negli Usa.

Prima del Kentucky erano sei gli Stati che hanno deciso di indagare sulla crisi 2.0: la scorsa settimana New York e New Jersey si erano uniti a Illinois, Missouri, New Mexico e Nebraska, mentre la Florida sta valutando se seguirne l'esempio.

In New Jersey, una speciale linea telefonica creata dall'Attorney General Gurbir Grewal per raccogliere nuove denunce è andata in tilt per il numero delle chiamate. "Vogliamo andare a fondo. Lo dobbiamo alle vittime e ai residenti per far sì che non ci siano più cover up", ha detto Grewal alla National Public Radio sottolineando l'importanza di tali canali per le segnalazioni, in New Jersey e in altri Stati: "Gli abusi, sulla base di quello che è stato identificato in Pennsylvania, non erano limitati al Nord Est".


Il premier austriaco Kurz "sconfina" in Italia per sostenere Svp (e il doppio passaporto) alle elezioni di Bolzano

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Un premier straniero a sostegno della campagna elettorale di un partito, fino a prova contraria, italiano. Nulla di inedito, ma questa volta la cortese visita in terra italiana è destinata a far discutere. Venerdì l'austriaco Sebastian Kurz sarà a Bolzano per sostenere Svp in vista delle elezioni provinciali del prossimo 21 ottobre. Si dovranno eleggere 35 consiglieri provinciali (che ricopriranno al tempo stesso il ruolo di consiglieri regionali del Trentino Alto Adige), e a loro spetterà successivamente l'elezione del presidente della Provincia autonoma. La visita di Kurz ha però il retrogusto dello sgarbo, l'ennesimo, all'Italia. Non è un mistero che l'Austria stia lavorando da tempo a un disegno di legge per concedere il doppio passaporto ai cittadini del Sudtirolo di lingua tedesca e ladina, avvalendosi di una commissione di tecnici dei suoi ministeri dell'Interno e degli Esteri già al lavoro sulle questioni giuridiche. Per ora la commissione ha partorito un parere che sarà il punto di partenza per l'iter della legge. L'iniziativa austriaca gode dell'appoggio incondizionato dell'alleato sudtirolese del Partito Democratico.

A luglio la stampa austriaca aveva dato conto di una accelerazione di Vienna, costringendo la Farnesina ad attivare l'ambasciata italiana. Il Governo Kurz si è affrettato a chiarire che si tratta di un "lavoro lungo" che verrà portato avanti di concerto con le autorità locali e, soprattutto, con il Governo di Roma. Tuttavia, più volte l'Italia ha fatto presente che nessun dialogo sulla doppia cittadinanza è in corso tra i due Stati. E anzi ha ripetutamente definito l'operato di Vienna "ostile, inopportuno e in frizione con il dovere di leale collaborazione" tra Paesi Ue: l'ultima solo qualche giorno fa, con il ministro degli Esteri Moavero Milanesi e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro.

Ancora una volta il governo austriaco ha preso tempo, ma quale sia il suo disegno politico è ormai lampante: doppio passaporto a chi, attraverso la dichiarazione di appartenenza linguistica, si dichiari di lingua tedesca o ladina. Al momento esclusi quindi i sudtirolesi di lingua italiana, ma l'appartenenza linguistica, depositata al tribunale di Bolzano, non dovrebbe essere l'unico criterio per accedere al doppio passaporto, dal momento che l'autocertificazione non prevede controverifiche. Chi si dichiara di lingua tedesca potrà quindi accedere al pubblico impiego e ad alcune prestazioni sociali (solo una parte, le altre solo per chi ha la residenza) in Austria, e potranno votare per il Nationalrat, il parlamento austriaco, come anche alle elezioni europee. Per poter concedere la cittadinanza ai sudtirolesi, Vienna dovrà modificare complessivamente quattro leggi. E per rendere il tutto anche economicamente accessibile, il costo sarà abbassato a 660 euro, ha riportato il giornale Tiroler Tagezeitung.

Insomma, il governo austriaco sta lavorando sul serio e da tempo alla questione. Ma la visita di Kurz al di qua del Brennero acquista particolare rilievo per il ruolo del partito sudtirolese: Svp, alleato alle elezioni di marzo con il Pd, è il dominus politico sul territorio bolzanese (non a caso Maria Elena Boschi è stata candidata dai dem nel collegio blindato di Bolzano) e più volte si è espresso a favore della doppia cittadinanza. A inizio agosto il segretario della Svp Philipp Achammer ha incontrato il premier Kurz e tra i temi toccati c'è stato proprio quello del doppio passaporto: "Il costante contato tra il governo austriaco, l'Alto Adige e la Svp è fondamentale per arrivare a una proposta sensata, soprattutto per quanto riguarda gli aventi diritto", ha fatto sapere Achammer.

Eros Ramazzotti: "Alle ultime elezioni ho votato 5 Stelle. E lo rifarei"

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"Ho passato qualche anno in cui non sapevo se continuare o fermarmi per sempre. Mi sono chiesto se continuare avesse un senso perché mi sono detto: "Che lo compongo a fare un disco tanto per farlo?"". Eros Ramazzotti si fa la domanda e dà pura la risposta. Intervistato da Vanity Fair il cantautore parla del suo quindicesimo album, Vita ce n'è, in vendita dal prossimo 23 novembre.

"Per realizzarlo ho speso un anno e mezzo della mia vita in studio. È un disco che considero un nuovo inizio"

A 55 anni, oltre 35 trascorsi sui palcoscenici di tutta Europa, Ramazzotti è consapevole di essere ormai un simbolo della musica italiana nel mondo. Ma non dimentica le sue origini, e quel carattere introverso che aveva da adolescente:

"Ero chiuso, più che timido. Il mio migliore amico era Billy, il mio cane. Un pastore belga con il quale correvo e andavo in piazza a osservare e ascoltare gruppetti pieni di persone che non facevano altro che dire "andiamo a ballare, a divertirci, a mangiare una pizza". Cazzeggiavano tutti. Io stavo in disparte e pensavo che la mia vita dovesse essere comunque un'altra roba"

Tra apprezzamenti per i vari Coetz, Calcutta e Ghali, Il cantautore romano ha detto la sua anche sulle nuove leve:

"Oggi se i giovani resistono due generazioni sono dei mostri e sarebbe difficile emergere anche per me. Imbarcano chiunque per fare cassa e dopo una stagione li accantonano per dare spazio ad altri dieci disgraziati".

Ma tra i miti di Ramazzotti c'è pure un musicista del pallone, come Cristiano Ronaldo:

"Fa girare il denaro, crea un indotto, scuote il mercato, dà lavoro a tanta gente. Criticarlo è demenziale. Con i social adesso si dà addosso a chiunque, ma aggredire chi procura introiti è autolesionista. L'hanno fatto anche con me e posso dire che anche io come Ronaldo muovo una piccola economia che fa bene a qualcuno".

Infine anche un ricordo di quel padre comunista, che "immaginava un mondo equo in cui a tutti toccasse in sorte un pezzo di pane":

"Era utopia e lo scoprì sulla sua pelle. La tessera del Pci la presi anche io, ma solo per sei mesi. Alle ultime elezioni ho votato 5 Stelle e lo rifarei. Ci vuole tempo per cambiare e migliorare l'Italia: parliamo di decenni, non di un anno o due». Non avrei firmato un appello contro Matteo Salvini. A volte è duro e pesante, ma almeno smaschera l'ipocrisia generale"

Matteo Salvini a Porta a Porta: "In pensione con quota 100 ma da 62 anni d'età"

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"Gli imprenditori mi chiedono di superare la legge Fornero. Faremo quota 100. Per me però il limite dei 64 anni è troppo alto. Io ho chiesto al massimo, ma al massimo, 62 anni". Così il vicepremier e segretario della Lega Matteo Salvini alla registrazione di Porta a porta che andrà in onda questa sera.

"Ho chiesto e" i tecnici "ci stanno lavorando ancora in questi minuti quota 100" o "41 anni e mezzo di contributi", fermo restando che 64 anni come età minima "è un limite troppo alto. Io ho chiesto al massimo 62 anni ma ho chiesto di essere ancora più rigorosi".

Rai. "Conto di vederlo nelle prossime ore perché c'è un'azienda che ha voglia di correre e di crescere. Credo ci sia la possibilità di trovare un accordo". Così il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, parla di un possibile accordo con Silvio Berlusconi sulla presidenza Rai durante la registrazione della puntata di Porta a Porta che andrà in onda stasera.

Pace fiscale. "Dalla pace fiscale il governo conta di recuperare circa 20 miliardi", ha poi detto Salvini a proposito della misura fiscale. "Lo Stato incasserà almeno 20 miliardi di euro dalla pace fiscale, e non 3 miliardi come ha detto Tria". Così il vicepremier e segretario della Lega Matteo Salvini alla registrazione di Porta a porta che andrà in onda questa sera. "Ma si sa che il ruolo del ministro dell'Economia è quello di mediare, di frenareà",

Ponte Morandi. "Non si può essere tifosi del pubblico o del privato in un momento così grave. Bisogna ricostruire bene e il più velocemente possibile. Occorre un commissario che vada oltre la burocrazia. Il mio obiettivo è che sia il pubblico ad avere la regia con fondi privati". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, a Porta a Porta in onda stasera. "Le polemiche di questi giorni non fanno bene. Occorre fare bene e in fretta. Autostrade paghi fino all'ultimo centesimo e chieda scusa. Poi vogliamo l'occasione perché il pubblico torni a cooperare con il privato".

Migranti. "Faccio in modo che le navi non arrivino. Se risuccedesse rifarei esattamente quello che ho fatto, mettendo in sicurezza donne, bambini e malati". Così il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, risponde ad una domanda su un'eventuale nuovo caso Diciotti durante la registrazione della puntata di Porta a Porta che andrà in onda stasera. "Se vogliono indagarmi ancora lo facciano ancora", conclude. "Due decreti legge: uno sulla sicurezza e uno sui migranti", ha annunciato il vicepremier. "Saranno due decreti del governo, poi li discuterà il Parlamento", aggiunge.

Italia-Libia, il nuovo "patto del petrolio" passa per Haftar

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Rassicura Sarraj e, al tempo stesso, conferma che il canale politico con Haftar non solo è stato ufficialmente aperto con la sua missione di ieri a Bengasi, ma che la trattativa "segreta" con l'uomo forte della Cirenaica, e ora anche di parte della Tripolitania, è in stato avanzato e tocca tutti i nodi cruciali per arrivare ad una stabilizzazione nazionale della Libia. Enzo Moavero Milanesi, da abile e accorto politico qual è, sa fin dove potersi spingere nelle dichiarazioni pubbliche e dove, invece, conviene glissare, per dar modo alla "diplomazia sotterranea" di proseguire un lavoro che, confidano ad HuffPost fonti qualificate della Farnesina, ha obiettivi ambiziosi da perseguire. E tra questi avere, in tempi rapidi, l'annuncio che Haftar e le forze che lo sostengono, a cominciare dal parlamento di Tobruk e la potente milizia di Misurata, parteciperanno alla Conferenza internazionale sulla Libia programmata a novembre (probabilmente in Sicilia, magari a Taormina, che ha già ospitato, e con successo, il vertice del G7, il primo con Trump presidente Usa). Ciò significa che l'Italia non forzerà la mano per l'approvazione di una nuova Costituzione prima dello svolgimento di elezioni, presidenziali e legislative, in una data "certa, concordata, ragionevolmente ravvicinata ma che difficilmente può riguardare il 2018".

Nel report ufficiale della Farnesina Haftar, ha assicurato a Moavero di essere "pronto a dare il suo contributo per supportare attivamente la sicurezza, la stabilizzazione e il dialogo nel Paese, per il bene di tutti i libici". Nel "lungo e cordiale" colloquio che ha "rilanciato lo stretto rapporto con l'Italia", in un clima di consolidata fiducia, il maresciallo ha sottolineato che "il processo di riconciliazione nazionale, nel rispetto del quadro fissato dalle Nazioni Unite, potrà trovare una nuova tappa nella conferenza 'per la Libia' che l'Italia è disponibile a ospitare a novembre". Da parte sua, Moavero ha ribadito che l'Italia attribuisce grande importanza al mantenimento di un attivo dialogo con tutti coloro che guardano al futuro della Libia con leale amicizia. Il capo della diplomazia italiana ha anche auspicato lo svolgimento di "elezioni ordinate e trasparenti" ma garantendo condizioni di adeguata sicurezza".

Il 75enne Haftar, che ad agosto aveva espresso forti perplessità sull'Italia chiedendole di "rivedere la sua politica estera" e arrivando a chiederne l'allontanamento dell'ambasciatore, ha espresso a Moavero il suo apprezzamento per l'impegno italiano ritenuto "imprescindibile per la Libia". Nel colloquio si è discusso anche di migranti convenendo di intensificare la collaborazione in campo umanitario e di rafforzare il contrasto al terrorismo e ai trafficanti di ogni tipo. Intanto è stato nuovamente rinviato il voto della Camera dei Rappresentanti, il Parlamento libico di Tobruk, sulla legge per organizzare un referendum sulla bozza della nuova costituzione. Si dovrebbe tenere giovedì. Questa è l'ufficialità. Già di per sé indicativa di un clima diverso instauratosi tra Roma e Haftar. Fuori dall'ufficialità, fonti di Bengasi, confermano quanto anticipato da HuffPost: a pesare su questo disgelo è stato l'intervento su Haftar del suo sponsor regionale: il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. "Il nostro interlocutore di base resta il governo legittimamente riconosciuto dall'Onu, quello di Fayez al Sarraj, ma il maresciallo Khalifa Haftar è un interlocutore imprescindibile": a precisarlo è lo stesso ministro degli Esteri, intervistato a Circo Massimo su Radio Capital all'indomani dell'incontro di Bengasi con l'uomo forte della Cirenaica. A conferma che Roma non "scarica" Sarraj, è la notizia che "il ministro degli Affari e della cooperazione internazionale, Enzo Moavero Milanesi, ha avuto un colloquio telefonico con il premier libico Fayez al-Sarraj in cui ha espresso condoglianze per i recenti fatti di sangue a Tripoli e ribadito l'appoggio dell'Italia al suo esecutivo di accordo nazionale". A darne conto, nel pomeriggio, è la pagina Facebook dell'Ufficio stampa di Sarraj con riferimento agli scontri fra milizie e all'attacco terroristico alla compagnia petrolifera nazionale (Noc), rivendicato dall'Isis con tanto di minaccia di ulteriori attacchi "ai pozzi petroliferi". Sempre a Circo Massimo, il titolare della Farnesina ha affermato che c'è stata "una chiarificazione di atteggiamento con Haftar che si è dimostrato una persona estremamente disponibile al dialogo e attenta al nostro Paese e conscia del ruolo che può svolgere". Disponibile al dialogo: Haftar non parla solo con Parigi. Attenta al nostro Paese: se ritiene di poter essere, in un futuro non lontano, il nuovo presidente della Libia, e non solo il maresciallo di una sua parte, Haftar sa che per ricostruire un Paese dopo una guerra civile che l'ha messo in ginocchio nel 2011 e dopo sette anni post-Gheddafi segnati, tuttora, dal caos armato, avrà bisogno e molto del "sistema Italia", che non è fatto solo di diplomazia, addestramento militare, ma anche di imprese, pubbliche e private, dalle quali la "nuova Libia" non potrà fare a meno. Questa, in estrema sintesi, è la traduzione "operativa" delle considerazioni del ministro. Con una aggiunta, fondamentale: se l'Italia vuole realizzare con la speranza di una buona riuscita, la Conferenza sulla Libia, non deve portare troppo in là la polemica con le Nazioni Unite. Per questo alla Farnesina mettono in rilievo l'ottimo rapporto stabilito con l'inviato speciale dell'Onu per la Libia. Ghassan Salamè. Quest'ultimo era stato informato della missione a Bengasi di Moavero, così come dell'impegno italiano per il raggiungimento del cessate il fuoco a Tripoli Intervenendo alla riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu dedicata alla crisi libica, Salamè aveva sottolineato, tra l'altro, che le Nazioni Unite si stanno concentrando sulla revisione degli accordi sulla sicurezza di Tripoli e per affrontare le questioni economiche che sono alla base della crisi.

La missione Unsmil, aveva aggiunto, ritiene che la richiesta del premier Fayez Sarraj di sostegno internazionale per una revisione finanziaria sia una preziosa opportunità per portare trasparenza e responsabilità nella gestione della ricchezza in Libia. Il riferimento alla necessità di una "revisione finanziaria" è, per Roma, un passaggio cruciale per consolidare la tregua, così come la necessità, rimarcata dall'inviato Onu, di affrontare le "questioni economiche che sono alla base della crisi". Che tradotto significa: ripensare i criteri di distribuzione dei proventi petroliferi, e "riformare" gli organismi centrali che fino ad oggi presiedevano a questo compito, a partire dalla Nco (National Oil Corporation), il colosso petrolifero pubblico che detiene la produzione e la commercializzazione degli idrocarburi in tutto il territorio libico, da Est a Ovest. Dai proventi della produzione del petrolio dipende il 60% del Pil della Libia, oltre l'80% delle esportazioni. Le rendite petrolifere, attraverso il transito nella Banca Centrale Libica, assicurano gli stipendi dei funzionari pubblici e delle milizie, oltre 150, sia nell'Est che nell'Ovest del Paese. Ed è su questo punto, cruciale, che l'Italia sta provando a definire un "patto del petrolio" con l'uomo forte della Cirenaica. Haftar ha chiesto garanzie e così le milizie e tribù che lo sostengono, e tra le ipotesi messe sul tavolo c'è uno sdoppiamento della Nco. L'Italia farà la sua parte. Con la consapevolezza che in Libia chi controlla il petrolio controlla il potere. E ad averlo ben chiaro sono anche i terroristi-kamikaze che hanno attaccato ieri il quartier generale della Noc a Tripoli.

Attaccare la Noc equivale ad assestare un duro colpo al settore che tiene in piedi tutta la Libia, un paese che ricava da greggio e gas naturale il 95 delle entrate governative e dell'export nazionale in valore. "La Noc è la compagnia petrolifera libica che riveste un ruolo fondamentale per tutti i giacimenti di olio e gas in territorio libico e le partnership internazionali ed in primis con l'azienda petrolifera di Stato italiana Eni", rimarca il presidente della FederPetroli Italia, Michele Marsiglia. "Ci sono aziende che non hanno voluto da tempo mettere piede a Tripoli – continua Marsiglia - Come non dare loro ragione? Questa mattina (ieri, ndr) ho mandato una lettera a mia firma al ministro degli Esteri Enzo Moavero per chiedere la disponibilità per un incontro che faccia il punto sulla situazione delle aziende e degli investimenti in corso su cui è impegnato il settore energetico italiano in Libia", ha annunciato il presidente di FederPetrol. E qui geopolitica e affari s'intrecciano indissolubilmente. Fino a quando le forze di Haftar avevano il controllo della Cirenaica, per l'Italia, leggi Eni, la questione era tutto sommato di poca rilevanza, visto che in quell'area il Cane a Sei Zampe gestisce il giacimento petrolifero di Abu Attifel, che però è ormai chiuso da un anno e mezzo. Ma le cose cambiano, e tanto, se Haftar e il suo esercito, con le milizie che cambiano casacca, avanza ad Ovest della Libia, laddove è presente la maggior parte delle installazioni e dei giacimenti Eni. In particolare, Eni opera nei giacimenti onshore di Wafa (gas e petrolio ed Elephant (petrolio) e in quelli offshore di Bouri (petrolio) e Bahr Essalam (gas). Quest'ultimo, attraverso la piattaforma di Sabratha, invia il gas al centro di trattamento di Mellitah, che a sua volta lo convoglia nel gasdotto Greenstream per l'esportazione in l'Italia (con terminale a Gela, Sicilia). Fino a poche settimane fa, al-Sarraj e il suo governo di Accordo nazionale erano i garanti degli interessi italiani. Ora però che i Misuratini sono passati con Haftar e Sarraj è sotto assedio anche a Tripoli, Roma è costretta a rivedere i propri piani. Il nuovo "patto del petrolio" passa per un nostro avvicinamento ad Haftar. Ed è per questo che la missione di Moavero a Bengasi non è stata gradita a Parigi. All'Eliseo. E alla Total.

Il Comune di Pistoia stoppa don Biancalani: niente più accoglienza nella parocchia

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Il Comune di Pistoia ha notificato al parroco di Vicofaro, don Massimo Biancalani, "l'amico dei migranti", un'ordinanza per la cessazione dell'attività di accoglienza nei locali della canonica. Il provvedimento scatta dopo controlli effettuati in più volte da questura, Asl, vigili urbani e vigili del fuoco, che hanno mostrato l'inidoneità della struttura a ospitare così tante persone. Risultano inadeguati cucina e caldaia ma ci sarebbero pure problemi di sicurezza antincendio. Da stasera i migranti vengono spostati in chiesa.

Nella parrocchia di Vicofaro (Pistoia) adesso sono ospitati un settantina di immigrati richiedenti asilo, oltre a qualche italiano homeless. "Da stasera - afferma don Biancalani - bisognerà togliere i ragazzi, li accoglieremo nella chiesa che è grande e dispone di un matroneo molto capiente nel quale potranno trovare posto, senza disturbare le persone che vengono in chiesa". Semmai, nota il parroco, che più volte è stato al centro di polemiche per la sua opera di accoglienza, "ci sarà il problema dei bagni ma vedremo come risolverlo".

"Sono molto contrariato - ha aggiunto don Biancalani uscendo dagli aspetti logistico-organizzativi che pone l'ordinanza del Comune - perché credo che si potesse trovare una mediazione. Stasera decideremo quale strada intraprendere, certamente ci opporremo ricorrendo al Tar contro il provvedimento e inizieremo un digiuno di protesta contro questo provvedimento".

Presidenza Rai, un parere legale per riproporre Foa

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Si riparte, sulla Rai, da dove ci si era fermati. Con un nuovo tentativo (o meglio: una forzatura) su Marcello Foa. Per "stanare" Berlusconi. Sarebbe possibile, almeno giuridicamente riproporlo, nonostante il voto di inizio agosto in cui il presidente in pectore è stato bocciato dalla Vigilanza. Questa è la notizia. Ci sarebbero cioè i presupposti "legali" per la manovra politica. Ne hanno già parlato Salvini e Di Maio, trovando una convergenza di fatto. Il primo, con l'intento di mettere sotto pressione Silvio Berlusconi, i cui voti continuano a essere determinanti in Vigilanza. Il secondo con l'intento di chiudere una vicenda che rischia di produrre un danno di immagine: "Salvini – dice una fonte pentastellata vicina al dossier – è convinto di incassare il sì di Berlusconi. Facciamo questo tentativo, poi basta, perché non possiamo rimanere appesi a Salvini, a sua volta appeso a Berlusconi, col servizio pubblico paralizzato e le nomine dei Tg in aria".

Il problema finora è stato la fattibilità "normativa" dell'operazione su cui pendono già una valanga di esposti del Pd. La novità è il parere della direzione affari legali e societari della Rai, arrivato nelle stanze che contano del governo. Viale Mazzini ufficialmente smentisce ciò che ad Huffpost confermano più fonti. Del resto sarebbe sorprendente che il parere non fosse stato chiesto considerate le implicazioni legali che il caso ha. È questo: se la commissione di Vigilanza, per dirimere la questione, chiedesse al consiglio di amministrazione un parere sulla votazione del presidente "senza limitazione su tutti i membri del cda, ad esclusione dell'ad" a quel punto il cda dovrebbe indicare un nome. E quindi Foa. Votato per la seconda volta nel consiglio di amministrazione tornerebbe, di nuovo, in Vigilanza.

Ecco i presupposti della forzatura, in vista della riunione della commissione prevista per giovedì. Non ci vuole Cassandra per prevedere un inferno di polemiche e di ricorsi in tribunale da parte del Pd. Spieghiamo meglio cosa accadrà giovedì: la maggioranza (questo è lo schema di gioco) scriverà una lettera al cda in cui chiede, per uscire dall'impasse di una azienda senza presidente da oltre un mese, di indicare un nome tra i membri del cda. Teoricamente potrebbe indicare come presidente anche un altro consigliere. Teoricamente, perché è evidente che l'intera manovra è orchestrata per tenere viva la candidatura di Foa, perché giuridicamente c'è già un parere che lo rende possibile. Si materializzerebbe lo scenario di un secondo voto della commissione sul consigliere "nominato" dal governo, l'unico non votato né dal Parlamento né dai dipendenti Rai, come nel caso degli altri. Un atto ad altissimo impatto politico.

Siamo nel campo degli appigli interpretativi per giustificare una forzatura che comunque non mette il consiglio di amministrazione al riparo da contenziosi futuri, in sede civile e contabile. Sia come sia, lo scenario è questo. E consente appunto, come in un gioco dell'oca, di tornare al punto di partenza, dove ci siamo lasciati a inizio di agosto. Perché poi c'è sempre il nodo Berlusconi, i cui voti sono determinanti nel successivo passaggio in commissione di Vigilanza. Il leader della Lega è convinto che, alla fine, il Cavaliere piegherà le resistenze dei suoi, come gli aveva garantito nell'ultimo colloquio di inizio agosto.

Incontro che, al momento, non è in agenda. È possibile che i due si sentiranno nelle prossime ore, per un primo colloquio e per fissare la data dell'incontro. Perché è chiaro che il Cavaliere, a questo punto, vuole un confronto complessivo con l'alleato, diciamo così, di "metodo" che non riguarda solo la questione della Rai, ma le modalità e le forse di un percorso comune, il "se" e il "come". La sensazione è che i rapporti con Arcore si siano complicati negli ultimi giorni, complice l'insofferenza della aziende del Biscione in relazione al voto di domani a Strasburgo sulla direttiva a favore del copyright. Se i voti della Lega risultassero decisivi per la bocciatura, le conseguenze sarebbero molto rilevanti per le aziende televisive. E sarebbe complicato spiegare e digerire il fatto che un "alleato politico" ha causato un danno economico perché, in materia, la pensa come i Cinque Stelle. Forse. Perché è altrettanto vero che, nel fantastico mondo del conflitto di interesse berlusconiano, anche il dossier Rai ha una sua importanza autonoma considerato lo stato di salute di Mediaset. E non sarebbe la prima volta che Berlusconi porge l'altra guancia nell'ottica della limitazione del danno. In fondo la forzatura era disposto ad accettarla anche un mese fa. Ed è proprio quello che temono in parecchi, a partire da Gianni Letta. Non a caso gli hanno suggerito di incontrare il leader della Lega assieme a Tajani per imbastire una trattativa vera e non una resa incondizionata.

Fabio Tamburini è il nuovo direttore del Sole24ore

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Fabio Tamburini è il nuovo direttore del Sole24ore. Lo ha deciso, all'unanimità, il Consiglio di Amministrazione del Sole 24 Ore spa, riunitosi a Milano e presieduto da Edoardo Garrone. La nomina riguarderà la direzione del Sole 24 Ore, Radio 24, Radiocor e di tutte le testate del Gruppo 24 Ore. Tamburini succede così a Guido Gentili, che sempre per volere del Cda manterrà la carica di direttore editoriale del Gruppo 24 Ore.

Il Consiglio di Amministrazione, si legge in una nota, "ringrazia il direttore Gentili per l'impegno assicurato all'azienda in un momento storico difficile, per l'efficacia del lavoro svolto nel rafforzare l'autorevolezza del quotidiano come strumento di lavoro imprescindibile per manager, imprenditori, professionisti e risparmiatori, e per aver sviluppato una più incisiva sinergia tra le redazioni del Gruppo, contribuendo così ad accrescere la professionalità di tutte le redazioni".

Tamburini, già al quotidiano economico come inviato "finanziario" sotto la direzione di Gianni Locatelli, era già stato stato direttore fino al 2013 dell'Agenzia di Stampa Radiocor e di Radio 24. Ora lascerà l'Agenzia di Stampa Ansa, dove ricopriva il ruolo di vicedirettore.


"Gas radon nelle scuole di Taranto vicine all'Ilva". I cittadini scendono in strada per chiedere chiarezza

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Un gruppo di cittadini del rione Tamburi di Taranto ha tenuto un sit-in davanti alla scuola Vico-De Carolis con l'intenzione di recarsi successivamente a Palazzo di città per chiedere chiarimenti, dopo aver appreso che 8 aule di tre plessi scolastici del quartiere sono state interdette per il rilevamento, da parte dell'agenzia regionale per l' Ambiente (Arpa Puglia), di Gas Radon. In una intervista rilasciata al Tgnorba, il direttore regionale dell'Agenzia per la protezione ambientale, Vito Bruno, ha dichiarato che, come da procedura, lo scorso 13 luglio Arpa, dopo un anno di monitoraggio su Radon (gas radioattivo che può risultare cancerogeno se inalato), ha allertato il Dirigente Scolastico di competenza, il quale a sua volta ne ha inviato comunicazione al Comune e Asl.

Ma genitori e abitanti del quartiere a ridosso dello stabilimento Ilva lo hanno appreso solo ieri sera ed ora chiedono garanzie. Ed altre 18 aule sono infatti considerate a rischio. "Ci sono casi in cui i superamenti - ha spiegato Bruno all'emittente televisiva - sono piuttosto significativi, in particolare in 8 aule, e altri dove il superamento sussiste ma non è altrettanto significativo. Comunque il superamento prevede comunque interventi finalizzati al risanamento".

I cittadini si attendono risposte dalle istituzioni competenti. "Noi ci chiediamo - sottolinea Celeste Fortunato, portavoce del movimento Tamburi Combattenti - cosa hanno respirato i nostri figli lo scorso anno scolastico, l'entità del danno, se esistono metodi di precauzione. Ma anche, in che condizioni inizierà l'imminente anno scolastico e come verranno tutelati in nostri figli. È sufficiente chiudere solo alcune aule dal momento che il problema sussiste anche in altre? Ci è stato consigliato di rivolgerci a degli ingegneri mentre abbiamo già provveduto a chiedere un incontro urgente ad Arpa e Asl prima che inizi l'anno scolastico".

Il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci del Pd, è stato oggetto stasera sotto Palazzo di Città di una accesa contestazione da parte di un gruppo di mamme del rione Tamburi. Si è trattato solo di una contestazione verbale,nessuna aggressione fisica. Secondo fonti di palazzo di città, le mamme hanno protestato sotto il Municipio di Taranto per la presenza nelle scuole frequentate dai loro figli nel rione Tamburi, il quartiere vicino all'Ilva, di un materiale che ritengono inquinante. Alla protesta delle donne si è unito un altro gruppo di persone. Sul posto era presente la Digos. In seguito il sindaco ha ricevuto una delegazione di mamme per ascoltarle.

Ha riguardato il "superamento dei limiti di radon nel plesso scolastico De Carolis al quartiere Tamburi" l'accesa contestazione verbale di cui stasera, sorto Palazzo di Città, ha riguardato il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci. Lo precisa il Comune di Taranto. A contestare il sindaco - ma non c'è stata alcuna aggressione fisica - un gruppo di mamme del rione Tamburi, il rione attiguo all'Ilva.

Per il Comune di Taranto, "le criticità si riferiscono alle misurazioni di Arpa, che rivengono da una media degli ultimi due semestri, secondo quanto previsto dalla norma vigente". Il radon, spiega il Comune di Taranto, è un "gas naturale che non presenta alcun legame con l'attività industriale" e "può provocare rischi solo in caso di lunghissima e consistente esposizione". Nessun riferimento quindi con la produzione Ilva, si chiarisce."La segnalazione perviene ai nostri Uffici Tecnici all'incirca un mese fa - spiega ancora il Comune di Taranto a proposito del radon - e ci si sta attivando per completare le procedure di monitoraggio e studiare eventuali soluzioni, all'interno di una norma che complessivamente assegna un termine di ben un anno e quattro mesi ai fini dell'ipotetico intervento, a significare quanto sia residuo il rischio in parola. Per altro - dice il Comune di Taranto - il valore sopra soglia rilevato atterrebbe solo ad alcuni locali del plesso. Non si comprende francamente l'agitazione indotta dal dirigente scolastico nei genitori degli scolari". Il sindaco di Taranto questa sera, dopo la contestazione, alla quale si è unito anche un altro gruppo di persone, ha ricevuto le mamme ed "ha già convocato per domattina - annuncia Palazzo di Città - Arpa, Asl e provveditore per valutare al meglio l'esistenza o meno di una emergenza e gli accorgimenti immediati, estendendo l'invito ad una rappresentanza di genitori, che merita la più trasparente rassicurazione dagli organismi competenti, specie in relazione al prossimo avvio dell'anno scolastico".

"A latere del tavolo tecnico - conclude il Municipio di Taranto - l'Amministrazione comunale si riserva di verificare la sussistenza di reati a carico di soggetti che, con una frequenza e modalità sospette, mirano a turbare la comunità, prescindendo da qualsiasi considerazione scientifica".

Toninelli prepara il 'decretone' su Genova e prova ad aggirare i dubbi della commissione Ue sull'affidamento diretto a Fincantieri

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Il via libera per affidare direttamente la ricostruzione del ponte di Genova a Fincantieri è all'esame della commissione europea. E i primi dubbi iniziano ad emergere. In sostanza si sta valutando se l'affidamento a Fincantieri (controllata al 71,6% da Fintecna, finanziaria del ministero dell'Economia) possa costituire un aiuto di Stato.

Per questo i contatti tra Roma e Bruxelles sono frenetici. Una delegazione tecnica del ministero dei Trasporti ha incontrato lo staff politico (i gabinetti) dei tre responsabili europei di concorrenza, trasporti e mercato interno. Poco prima a Bruxelles c'è stato un primo incontro per verificare proprio se sia possibile derogare al Codice degli Appalti, come vorrebbe fare il governo, e assegnare immediatamente senza gara la ricostruzione del ponte Morandi a un soggetto pubblico come Fincantieri.

La direttiva Ue sugli appalti pubblici del 2014 prevede 'in situazioni eccezionali' la possibilità di aggiudicare appalti con procedura negoziata senza previa pubblicazione, bisogna dunque vedere se il crollo del ponte di Genova sia compatibile con questo punto poiché la legislazione europea sugli appalti pubblici in linea generale prescrive invece gare aperte per evitare qualsiasi discriminazione. In mattinata, non a caso, il ministro Toninelli aveva lanciato un avvertimento: "Nessuno oggi può ritenere non eccezionale un caso abnorme come il crollo del ponte di Genova". Resta però il problema che Fincantieri è controllata da Fintecna, finanziaria del ministero dell'Economia.

Al momento si tratta ancora ma il ministero dei Trasporti sta già studiando anche una strada alternativa per aggirare i dubbi della commissione. Si pensa a una procedura ristretta a tre, quattro o cinque soggetti, viene spiegato. Tutto però dipenderà da come sarà scritta la norma nel 'decretone' che sarà presentato venerdì durante il consiglio dei ministri, ovvero se e quali società, oltre Fincantieri, saranno in possesso dei criteri richiesti.

Autostrade italiane dovrà pagare la ricostruzione e sarà il soggetto appaltatore, poiché le concessioni non saranno revocate a stretto giro e neanche della nazionalizzazione ci sarà traccia nel decreto di venerdì. Attorno a questo punto si è consumato lo scontro tra M5s da una parte e Lega e il governatore Giovanni Toti dall'altra. Gli annunci fatti dai grillini sull'onda dell'emotività hanno trovato la frenata del Carroccio. Alla fine si andrà avanti sulla strada procedura di caducazione o decadenza della convenzione, ma ci vorranno diversi mesi. Nessuna revoca immediata e come ha detto oggi il sindaco Bucci: "Il mio unico obiettivo è ricostruire il ponte in fretta e con la maggiore qualità possibile". Dello stesso avviso il governatore Giovanni Toti: "Se battaglie nazionali dovessero ritardare di un'ora la costruzione del ponte, ci troverebbero ferocemente contrari perché prima va ridato il ponte ai genovesi, poi si può discutere di concessioni e di altre cose". E nel frattempo Autostrade resterà il soggetto appaltatore.

Nel provvedimento saranno invece inseriti aiuti per il pagamento dei mutui a famiglie e imprese, attraverso le agevolazioni fiscali. E la nomina del commissario straordinario per la ricostruzione. Nei prossimi giorni il ministro convocherà tutti i concessionari delle infrastrutture, chiedendo un programma dettagliato degli interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, con specifica quantificazione delle risorse destinate a realizzare un programma di riammodernamento delle infrastrutture. La commissione d'inchiesta sul crollo del ponte consegnerà invece i risultati "tra il 15 e il 18 di settembre". Nel frattempo però i lavori per la ricostruzione del ponte saranno affidati con il decreto di venerdì e molto dipenderà dalla trattativa con Bruxelles.

Pranzo Grillo-Di Maio-Casaleggio: non cediamo il passo a Salvini

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Tornare a combattere le battaglie storiche del M5S, che devono significativamente marcare anche l'azione di governo. E dare all'esecutivo giallo-verde un forte accento movimentista, senza cedere il passo alla Lega di Matteo Salvini. Anche di questo, stando a fonti M5s, si sarebbe discusso durante la "spaghettata tra amici" consumatasi oggi in un albergo romano, tra Davide Casaleggio, Beppe Grillo, Luigi Di Maio.

Un ritorno alle origini, dunque, per rilanciare con forza le ambizioni pentastellate sul reddito di cittadinanza. Un incontro definito proficuo dallo stesso vicepremier, intervistato da Alessandro Poggi per Night-Tabloid, programma in onda dal 24 settembre su Rai2. Sempre Di Maio, in un post sul Blog delle Stelle diffuso poco dopo l'incontro, ha annunciato i dettagli della quinta edizione di Italia a 5 stelle: "Il 20 e 21 ottobre ci vediamo tutti a Roma, al Circo Massimo - ha scritto il ministro pentastellato, ricordando il primo meeting organizzato nel 2014 - Allora il nostro sogno era andare al governo per eliminare i vitalizi, la corruzione, per dare il reddito di cittadinanza e non lasciare indietro nessuno, per restituire l'acqua pubblica ai cittadini. Vi ricordate? Oggi questo sogno si sta realizzando. Forse non ci siamo ancora fermati un attimo a pensarci".

Nessun commento politico, invece, da parte di Grillo, che intercettato all'uscita dell'albergo si è limitato a scherzare sul tariffario per le interviste: "Un minuto 1000, mezzo minuto 500, due minuti 2000, tre minuti 3000. Io ormai sono fuori dai giochi e sono fuori dagli stipendi pubblici...".

Copyright: all'Europarlamento scatta l'ora della verità

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È arrivato il momento della verità per il copyright: in gioco miliardi di euro di diritti d'autore tra artisti, musicisti, giornalisti ed editori da una parte, e le grandi piattaforme monopoliste dall'altra, da YouTube a Facebook. In mezzo, chiamati a decidere sulle sorti dell'evoluzione del web, ma anche dell'editoria e dell'industria culturale, gli eurodeputati, strattonati da una parte e dall'altra sino all'ultimo dalle lobby, che mai come in questo caso hanno esercitato pressioni fortissime.

"Sul copyright si deve fare chiarezza, non c'è nessuna minaccia alla libertà" del web, ma allo stesso tempo "i deputati devono essere liberi" da condizionamenti, ha avvertito alla vigilia del voto il presidente dell'Europarlamento Antonio Tajani. È "essenziale", ha quindi sottolineato il vicepresidente della Commissione Ue Andrus Ansip, che l'Aula colga questa "opportunità per adottare nuove regole", altrimenti "ci sarà un solo vincitore: le grandi piattaforme".

Come già a luglio, infatti, la direzione in cui si dirigerà il voto sarà incerta sino alla fine: prima dovrà essere votata la selva dei 252 emendamenti, poi la relazione e quindi il mandato a negoziare con Commissione e Consiglio per il testo definitivo della legislazione. "Chiedo un comportamento costruttivo" ai colleghi, ha invitato il relatore, il popolare tedesco Axel Voss durante il dibattito che precede voto.

L'obiettivo è far convergere più voti possibili di Ppe e S&d (Fi e la stragrande maggioranza del Pd ha dato il suo sostegno) sui suoi emendamenti, che specificano ulteriormente che i link sono esclusi dalle norme (art. 11), e che non ci sarà filtraggio automatico dei contenuti caricati online ma una cooperazione tra detentori dei diritti e grandi piattaforme, tenendo quindi fuori le piccole (art. 13). I liberali francesi però hanno presentato a loro volta emendamenti non dissimili nei contenuti ma concorrenti, mentre Verdi, sinistra unitaria, Efdd con il M5S oltre a gruppi trasversali di liberali, S&d (inclusi alcuni Pd) e altri, ulteriori modifiche che puntano invece a eliminare del tutto o a snaturare gli articoli 11 e 13.

Per smuovere gli indecisi, è stato mobilitato anche il musicista fondatore dei Fugees Wyclef Jean, contrario alla riforma Ue che secondo lui "fermerà gli artisti dal creare il futuro". Posizione, però, contraddetta dai colleghi di Impala secondo cui "niente potrebbe essere più lontano dalla realtà", e dal distributore Artist First per cui è la situazione attuale che "mette a rischio migliaia di posti di lavoro in Italia".

YouTube, è stato ricordato durante il dibattito in Aula, rappresenta infatti il 94% del consumo di musica online ma meno del 3% dei ricavi per il settore. Anche giornalisti ed editori, guidati dal reporter di guerra e responsabile dell'ufficio Afp di Bagdad Sammy Ketz, hanno preso la parola a Strasburgo per spiegare le conseguenze - la fine dei fondi e quindi del mestiere - se le piattaforme continueranno a non remunerare per i contenuti che sfruttano.

"Sono incoraggiato dal fatto che tutti condividano l'obiettivo comune di una riforma", ha osservato Ansip al termine del dibattito in aula. Più consapevolezza, un maggiore ricompattamento di popolari e socialisti e, se si troverà entro il voto, una convergenza con i liberali, potrebbero fare la differenza rispetto a luglio. Lobby permettendo.

Conte ascoltato dal Copasir: presto il cambio ai vertici dell'intelligence, ma ora impegno sulla Libia

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L'intelligence italiana è pienamente all'altezza; i vertici di Dis ed Aise cambieranno in futuro, ma l'impegno del settore è ora concentrato sulla Libia e sulla preparazione della Conferenza di novembre che punta a mettere attorno ad un tavolo i molteplici attori, spesso in conflitto tra loro, presenti nel Paese. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte - che mantiene la delega sugli 007 - ha riferito per oltre due ore al Copasir sui rischi per la sicurezza nazionale, sull'organizzazione del comparto e sulle mosse che il Governo intende fare nei prossimi mesi per migliorarne l'efficacia.

A Conte è stato chiesto conferma delle notizie apparse nelle settimane scorse sui media di cambi imminenti ai vertici di Dis ed Aise, con le sostituzioni dei direttori Alessandro Pansa e Alberto Manenti, prorogati a suo tempo dal Governo Gentiloni. Un allungamento di carriera che non era piaciuto a Matteo Salvini. Diventato vicepremier e ministro dell'Interno, il leader leghista inizialmente non si è mosso, ma a fine estate sembrava pronto a portare sul tavolo di Palazzo Chigi il tema.

Conte - a quanto si apprende - avrebbe frenato sui tempi. Ci sarà in futuro l'avvicendamento dei vertici di Dis ed Aise, ma c'è la massima fiducia nel lavoro svolto dai direttori in anni molto delicati per la sicurezza nazionale. E c'è la Libia, dove l'Aise coltiva da tempo rapporti solidi con tutte le realtà presenti. L'Italia - con gli 007 in prima fila - sta lavorando alla realizzazione di una Conferenza (non si sa ancora se a Roma o in Sicilia) a novembre, per costruire una road map che porti alla stabilizzazione del Paese ed alle elezioni. Serve dunque un processo inclusivo che metta insieme l'indebolito governo riconosciuto dall'Onu di Fayez al Serraj, l'antagonista della Cirenaica Khalifa Haftar (incontrato proprio ieri dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi), ma anche gli altri soggetti che contano nello scenario tribale libico. Dove è presente anche l'insidia dell'Isis.

Conte ha poi elogiato al Copasir l'impianto normativo che regola l'intelligence, a 11 anni dalla legge di riforma, non escludendo tuttavia alcuni correttivi. In particolare, si pensa a migliorare alcuni aspetti delle garanzie funzionali (la possibilità cioè per gli 007 di compiere azioni configurabili come reato nello svolgimento delle loro funzioni istituzionali) e del cyber, tema considerato di fondamentale importanza.

Approfondimenti, riguardo alla sicurezza cibernetica, verranno svolti sulla possibilità di costituire una fondazione.

Matteo Salvini forza la manovra lenta di Giovanni Tria

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La manovra lenta, caldeggiata insistentemente dal ministro dell'Economia Giovanni Tria, non ha fatto in tempo a stabilizzarsi sulla nuova dimensione rispetto agli annunci roboanti del Contratto di governo che già si ritrova in acque agitate. La maretta, che rischia di trasformarsi in un maremoto con Bruxelles, la agita Matteo Salvini, che torna a forzare la mano, riaprendo così il fronte con il titolare del Tesoro, anche oggi attento a ripetere che bisogna procedere con gradualità. Invece il vicepremier ribalta tutto, promettendo una pace fiscale sempre più simile a un condono, con un incasso previsto ma non garantito di 20 miliardi di euro, maglie più larghe e quindi costi più alti - pari a 13 miliardi - per andare in pensione, la tentazione di sforare il 2% sul fronte del deficit per avere più risorse da destinare alla flat tax.

Dopo le rassicurazioni degli scorsi giorni sulla volontà di rispettare i vincoli europei e la presa d'atto di Tria, Salvini ritorna sulla linea massimalista. La nuova svolta avviene durante il faccia a faccia con i responsabili economici della Lega, che in mattinata si sono ritrovati al Viminale per mettere a punto la nuova strategia. Proprio in contemporanea alla riunione, Tria, intervenendo alla Summer school di Confartigianato, apriva solo a piccoli interventi sull'Irpef, allontanando la flat tax tanto cara al Carroccio. Ancora parole come gradualità e attenzione ai conti. È in questo contesto che è montata la decisione di cambiare passo da parte di Salvini. Spazi troppi stretti quelli immaginati da Tria tali da rendere impossibile anche solo abbozzare delle misure "sensate" nella legge di bilancio, è il ragionamento che ha preso piede e che si è tramutato nelle decisioni annunciate in serata da Salvini durante la registrazione della puntata di Porta a Porta.

La forzatura è degna di nota. Il superamento della riforma Fornero si farà, assicura il leader della Lega, che però vuole andare ancora più in là rispetto al disegno iniziale: l'età minima per andare in pensione, da sommare all'età contributiva per arrivare a quota 100, non deve essere di 64 anni, ma al massimo di 62, se non più bassa. In pensione, quindi, ancora prima: il che significa che servono molte più risorse rispetto ai cinque miliardi che sono necessari se si vuole fissare l'asticella a 64 anni. Non bastasse il binario stretto dentro cui si muovono i conti pubblici, arriva quindi la richiesta a Tria di trovare nuove risorse pur di portare a casa una misura cara alla Lega. E le risorse sono ingenti perché secondo uno studio della società di ricerca Tabula il piano della Lega su quota 100, insieme alla possibilità di uscire con 41 anni e mezzo di contributi, indipendentemente dall'età anagrafica, costerebbe 13 miliardi già nel 2019. Il presidente della commissione Bilancio del Senato in quota Lega, Alberto Bagnai, tiene però il punto e rinforza il concetto: "La nostra priorità è quella di procedere con la riforma Fornero ristabilendo un principio di quota 100". Dove trovare risorse che già sono esigue, non considerando il fatto che i 5 Stelle premono per il reddito di cittadinanza da disegnare con i contorni più ampi possibili? Salvini tira fuori il coniglio dal cilindro e annuncia che la pace fiscale sarà disegnata in modo tale da portare 20 miliardi nelle casse dello Stato, una cifra nettamente superiore ai 3 miliardi previsti dal ministro dell'Economia. Fonti vicine al Carroccio spiegano a Huffpost che la volontà è quella di dare vita a un grande piano di pace fiscale, che guarda sia all'imprenditore che fa fatica ad andare avanti ma anche al contribuente che, come ha spiegato il leader del partito, "per gente disperata che per riavere il conto corrente correrebbe a pagare il 10% del dovuto". Un'affermazione che lascia immaginare una flessibilità molto elevata per chi ha un contenzioso aperto con Equitalia, non superiore comunque a un dovuto di 1 milione, come sottolineato dallo stesso Salvini.

La stima dell'incasso della pace fiscale, tuttavia, poggia su un elemento precario e cioè il fatto che non si può conoscere prima quanti contribuenti sceglieranno di aderire alla sanatoria. Le risorse, quindi, potrebbero essere inferiori rispetto a quelle stimate e non disponibili immediatamente. Di più: sono risorse legate al periodo di applicazione della pace fiscale e quindi, di fatto, una tantum. Difficile, in questo quadro, pensare di coprire con queste risorse misure strutturali come la flat tax.

Poi c'è la tentazione di avere più risorse da ottenere portando il rapporto deficit/Pil sopra il 2 per cento. Forzatura anche questa perché l'impegno, sottoscritto nel Def, parla di uno 0,9% per il 2019 e Tria sta trattando con Bruxelles per arrivare all'1,6%, al massimo qualche punto decimale sopra, ma non certo oltre il 2 per cento. Un'asticella così elevata e distante dagli impegni assunti dal governo precedente, infatti, porterebbe Bruxelles a concedere una flessibilità monstre: passare dallo 0,9% all'1,6%, infatti, equivale a concedere 12,6 miliardi (già precettati per scongiurare l'aumento dell'Iva). Un ulteriore balzo in avanti si tradurrebbe nell'elargizione di altri 9 miliardi, supponendo di arrivare al 2,1 per cento. Strada che tra l'altro non piace a Tria: solo due giorni fa, al Forum Ambrosetti di Cernobbio, il ministro ha sottolineato che è inutile ottenere più deficit se poi le risorse si bruciano con l'innalzamento dello spread, alimentato dai mercati poco inclini ad accettare il dietrofront sul rispetto degli impegni assunti con Bruxelles sui conti pubblici. "Ma si sa che il ruolo del ministro dell'Economia è quello di frenare", rivendica Salvini. Parole che se non mettono la manovra in modalità accelerazione sicuramente la posizionano su una modalità di grande nervosismo e di nuovi dissidi dentro il governo gialloverde.

Antipasto delle elezioni europee

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Hungary's Prime Minister Viktor Orban listens during a debate concerning Hungary's situation as part of a plenary session at the European Parliament on September 11, 2018 in Strasbourg, eastern France. (Photo by FREDERICK FLORIN / AFP)        (Photo credit should read FREDERICK FLORIN/AFP/Getty Images)

Viktor Orban, il più popolare tra i Popolari, la calamita di una nuova possibile alleanza di destra che va dall'ala più radical del Ppe alla Lega di Matteo Salvini e gli altri sovranisti in vista delle europee del 2019: su di lui a Strasburgo si consuma forse l'ultimo atto dell'Unione Europea come l'abbiamo conosciuta finora.

Il Parlamento si riunisce in plenaria per discutere la messa in stato di accusa del governo Orban per violazione dei diritti fondanti dell'Unione. Un dibattito all'ultimo sangue che porta al pettine tutti i nodi europei: domani si vota e i numeri sono incerti. Contro Orban ci sono i socialisti, i liberali dell'Alde, il Gue i Verdi e anche il M5s. Il Ppe è spaccato e concederà una disarmante libertà di scelta, con Forza Italia che però ha già deciso si accoda alla Lega: in difesa di Orban. Su Orban si divide dunque l'alleanza italiana gialloverde, ma soprattutto si graffia il volto dell'Unione Europea in maniera indelebile, come mai era accaduto finora.

"Voteremo in difesa di Orban, l'Europarlamento non può fare processi ai popoli e ai governi eletti", dice Salvini seguendo il dibattito dall'Italia e citando così il cuore dell'arringa di Orban, l'alleato nel Ppe che il leader leghista ha incontrato a Milano quest'estate, il suo 'gancio' tra i Popolari per cercare una maggioranza filo-sovranista nel prossimo Parlamento europeo. "L'obiettivo è quello. Lavoriamo per quello. Vogliamo finalmente allontanare la sinistra dal malgoverno europeo. Cancellare il duopolio socialisti-democristiani", dice ospite a 'Porta a porta'.

"Questa non è una condanna del governo, ma dell'Ungheria", si difende il premier ungherese in plenaria a Strasburgo. "Deviare così dalle accuse è da vigliacchi, da codardi!", gli risponde Frans Timmermans, il commissario Ue cui tocca il compito di illustrare all'aula la scelta convinta di Palazzo Berlaymont di appoggiare il processo europeo a Orban.

L'ungherese resta impassibile seduto al suo banco. "L'Ungheria da mille anni è membro della famiglia dei popoli, con il suo lavoro e col suo sangue ha contribuito alla storia di questa magnifica Europa, ha combattuto l'esercito sovietico e ha pagato forte scotto per la democrazia europea...". E questo è l'altro punto: chi attacca Orban è un comunista, più o meno è questo il senso, ed è "venduto a Soros", come recitavano i titoli della stampa ungherese filo-governativa.

Tutto nasce dalla relazione di Judith Sargentini, 44 anni, olandese, eurodeputata dei Verdi, relatrice del rapporto sull'Ungheria già approvato a giugno dalla Commissione Libertà civili di Strasburgo. "L'Ungheria ha imbavagliato i media indipendenti, limitato il settore accademico, ha sostituito i giudici indipendenti con giudici più vicini al regime, ha reso la vita difficile alle ong. Nulla è migliorato da quando questa relazione è stata votata a giugno, anzi", dice Sargentini in aula esponendo la sua relazione. "Noi tutti abbiamo il compito di tutelare i cittadini europei per farli vivere nei valori della solidarietà, della parità tra uomini e donne, giustizia, come dice l'articolo 2. Quindi si deve agire ed è giunto il momento di operare una scelta importante".

Domani la scelta è nelle mani degli eurodeputati. Dovranno decidere a maggioranza dei due terzi se attivare l'articolo 7 del Trattato dell'Unione. Il che significa sanzioni per il governo di Budapest, tra cui anche quella di togliere all'Ungheria il diritto di voto in consiglio europeo pur continuando a versare la propria parte di contributi per l'Ue. Ma stavolta, a seconda degli schieramenti, si decide il futuro dell'Unione: Orban di fatto è l'argine tra il passato e un futuro che incombe. In plenaria il dibattito conosce picchi tra lo storico e il filosofico. "Stalin pensava di fermare i fiumi, ma il vento è impossibile fermarlo. C'è un vento di cambiamento in Europa, lo si è visto anche in Svezia alle politiche di domenica: voi volete fare dei trattati uno strumento di polizia per dividere l'Europa...", dice Marek Jurek, eurodeputato del Ppe polacco filo-Orban.

In plenaria il premier ungherese è un fiume in piena: "Difenderemo le nostre frontiere anche contro di voi se sarà necessario. Abbiamo deciso di difendere l'Ungheria e l'Europa e non accettiamo che le forze pro-migrazione ci ricattino". Gode degli interventi a favore. Tra gli altri pure l'eurodeputato leghista Mario Borghezio, che nel 2013 fu espulso per razzismo dal gruppo Efd. Lui scomoda addirittura la storia: "Presidente Orban, la sua battaglia è degna di quella contro i carrarmati russi del '56 in Ungheria".

"Mr. Orban, per fortuna c'è chi vi difende da questi atteggiamenti di bullismo così estremo!", questo è 'Mr.Brexit' Nigel Farage. "Stanno adottando la dottrina di Breznev sulla sovranità limitata. Ma lei è stato coraggioso contro Soros che ha speso denaro per promuovere l'immigrazione clandestina nel vostro paese e lei gli ha chiuso la fondazione... Venga anche lei nel club della Brexit: le piacerà tantissimo!".

Una delle accuse mosse contro Orban riguarda la legge varata contro le ong che si finanziano con fondi stranieri, finita anche nel mirino nell'ultimo report di Amnesty International che, tra le altre cose, accusa l'Ungheria di "repressione sistematica dei diritti di rifugiati e migranti". Ma per i sovranisti in plenaria queste denunce sono nulle: non valgono di fronte al consenso di cui gode Orban e di cui "non gode Timmermans", per esempio, come fa notare lo stesso Farage.

"Avere la maggioranza in democrazia non vale per legittimare qualsiasi tipo di azione", alza la voce il co-presidente del gruppo dei Verdi Philippe Lamberts. Un'argomentazione che per la verità arriva anche dagli anti-Orban nel Ppe. Per esempio, Anna Maria Corazza Bildt, eurodeputata dei Moderaterna, partito svedese di centrodestra che fa parte del Ppe al pari di Fidesz, il partito di Orban: "La democrazia è qualcosa di più che vincere le elezioni: la retorica altisonante e la negazione della realtà non ci aiutano ad andare avanti insieme. La 'democrazia illiberale' – aggiunge citando un'espressione di cui Orban si pregia - non esiste. Al di là della democrazia liberale ci sono solo i regimi. Ora lei vuole esportare il suo modello, diffondendo la 'salvinite', il virus di cui soffre oggi l'Italia, insieme agli Sverigedemokraterna (il Partito democratico svedese di estrema destra) e persino a Vladimir Putin: cattive compagnie".

Pure il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz propende per il voto a favore della relazione Sargentini, eppure lui è un interlocutore di Salvini e dei sovranisti. Ma in tutti i paesi europei il Ppe ancora si sta giocando le sue carte con la 'nuova destra' che avanza, nel dilemma tra alleanza o competizione.

In Italia, Forza Italia ha sciolto la riserva da un pezzo: con Salvini, con Orban. In plenaria, l'eurodeputata Elisabetta Gardini la spiega così: "Rischiamo di aprire il vaso di Pandora, è rischioso quello che stiamo facendo: allora perché non Malta o la Slovacchia o la Romania?".

La risposta arriva subito dopo dalla stessa Sargentini in chiusura di dibattito. "La Romania è nell'ordine dei lavori per la prossima volta, c'è già una proposta dei Verdi. E la commissione andrà a Malta (per l'omicidio della blogger Daphne Caruana Galizia, che ha agitato una coltre di sospetti sul governo Muscat, ndr.) e in Slovacchia per gli episodi di corruzione...".

Ma è proprio questo il punto, per la Lega almeno. Ci pensa l'eurodeputata del Carroccio Mara Bizzotto a esprimere il timore che dopo Orban possa toccare a Salvini: "Questa Europa delle lobby, delle banche e dei finanzieri alla Soros oggi attacca Orban e l'Ungheria, domani attaccherà l'Italia di Matteo Salvini. Coraggio, presidente Orban, noi siamo al suo fianco. E insieme, dopo le elezioni del 2019, costruiremo un nuova Europa, dei popoli, delle patrie e della libertà".

Domani il voto. Lo strascico sull'Unione rischia di essere pesante comunque vada: sia che passi la relazione Sargentini, sia che venga bocciata. E c'è da considerare la coda italiana di questo dibattito. Gli eurodeputati del M5s non sono in aula quando parla Orban, tranne Massimo Castaldo che non applaude. "Ci rammarichiamo del loro silenzio in aula", dice in una nota la capodelegazione degli eurodeputati Pd Patrizia Toia.

Il gruppo pentastellato ha deciso di votare contro il premier ungherese, di fatto contro l'alleato Salvini. Ma non senza preoccupazioni per il rischio di subire la propaganda leghista in Italia, quella che miete consensi. In una nota ufficiale, il gruppo cinquestelle di Strasburgo prova ad argomentare: "Orban è uguale a Merkel e Macron. Hanno lasciato sola l'Italia perché non aprono i loro porti e confini. Il M5s difende gli interessi degli italiani".

In aula invece Orban si inchina a Salvini: "Mi tolgo il cappello di fronte a quanto sta facendo l'Italia". Certo, tatticamente, l'ungherese traccia un po' di distanze perché domani gli servono più voti possibili dal Ppe: "Il mio rapporto con Salvini non ha un rapporto partitico", dice. Ma l'asse da Budapest a Roma è inscalfibile e se ne infischia dell'Ue quanto dei 5s. "Collaboriamo a livello di governi – continua Orban in conferenza stampa a Strasburgo - Salvini è il ministro degli Interni in Italia ed è molto deciso e risoluto a proteggere le frontiere. Come premier ungherese anche io ho iniziato a lottare contro l'immigrazione illegale sul continente, Salvini potrebbe farlo alle frontiere del Mediterraneo. Io lo appoggio al 100%".


L'uragano Florence avanza sulla Carolina a 160 chilometri all'ora. A rischio 20 milioni di americani

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Il mostruoso uragano Florence avanza verso la Carolina del Sud e del Nord a 160 chilometri all'ora. A rischio ci sono 20 milioni di persone e per oltre 1 milione è stata ordinata l'evacuazione. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dichiarato lo stato di emergenza.

Almeno due gli ospedali evacuati nella Carolina del Sud, il Tidelands Waccamaw Community Hospital e il Georgetown Memorial Hospital che hanno trasferito i pazienti in altre strutture lontano dalla costa. La Fema, ovvero la protezione civile Usa ha già distribuito 8 milioni di pacchi di viveri e acqua nella Carolina del Sud, del Nord e in Virginia per l'approssimarsi dell'uragano.

Quattromila anni dopo riapre la tomba di Mehu in Egitto

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Riaperta dopo 4000 anni la tomba di Mehu, una delle più belle della necropoli di Saqqara, in Egitto: restaurata e resa visitabile ai turisti per la prima volta a 78 anni dalla sua scoperta.

Le sue pareti sono riccamente decorate e al suo interno si trovano tre camere funerarie: una per Mehu, che ha avuto un ruolo influente nella corte reale della sesta dinastia e altre due erano destinate al culto del figlio Mery Ra Ankh, sorvegliante della regione di Buttu e di ispettore dei profeti della piramide di Pepi, e del nipote Hetep Ka II.

Questo sito archeologico è stato scoperto nel 1940, durante una missione diretta dall'egittologo Zaki Saad. E ora, grazie al restauro, sono riemersi tutti i colori che ne decorano le pareti, rimasti segreti per millenni.

"Ho la terza media, ma studio sempre e sono bravo in italiano"

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Il senatore leghista Mario Pittoni, capo della commissione Istruzione a Palazzo Madama, balzato agli onori delle cronache per occuparsi di scuola in Parlamento avendo solo la terza media non ci sta.

"I giornali non sanno più a cosa attaccarsi per contestare questa maggioranza - dice intervistato dal Corriere della sera - Io sono un grande appassionato e studio di continuo, più di tanti altri. Il mo punto di forza è essere bravo in italiano".

Quindi smonta chi lo attacca con argomenti forse discutibili, ma tant'è: "Ero e sono interessato a imparare, non a portare a casa un titolo di carta. I miei cinque anni di medie superiori li ho fatti, anche se in due scuole diverse".

E non accetta alcun paragone con l'ex ministra Valeria Fedeli.

"Tra me e lei c'è una differenza abissale: lei ha scritto il falso nel suo curriculum, mentre io solo la verità"

"O le rate o il sequestro"

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Genoa chief prosecutor Francesco Cozzi during a press conference about the Morandi highway bridge, which

Il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi, sulla questione dei 49 milioni che la Lega deve restituire secondo sentenza è abbastanza serafico, intervistato dalla Stampa:

"I pubblici ministeri hanno il titolo per procedere immediatamente con l'esecuzione dei sequestri - osserva il procuratore -. L'ipotesi della rateizzazione mi pare intelligente. E dire che è impraticabile perché non si hanno soldi (come ha fatto Salvini, ndr) non ha senso, anzi. Si lavora sulle rate proprio quando una persona deve estinguere una pendenza, ma ha poco disponibilità economica".

Per la procura di Genova, quindi non ci sono molte altre strade da scegliere per Salvini e i suoi. E non hanno nemmeno molto tempo. E fa anche intendere, il procuratore, che il debito da restituire potrebbe essere minore "se venisse approvata una nuova legge o qualcosa di simile in quella direzione", ma "non dipenderebbe da noi".

E poi comunque c'è sempre la certezza del diritto:

"I soldi sequestrati mica spariscono, finiscono si un fondo di giustizia. E se le confische saranno annullate in Appello o in Cassazione sarà restituito tutto. E' ovvio"

"Porta al Nord il meglio del Sud", lo slogan di Busitalia scatena la polemica

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Una ragazza sta per salire su un autobus rosso. È in procinto di partire, si gira, forse per salutare chi l'ha accompagnata alla fermata. Fin qui niente di strano: a suscitare la polemica sui social è stata la scritta impressa sul manifesto pubblicitario di Busitalia, la società di Ferrovie dello Stato che si occupa del trasporto su gomma. "Porta al Nord il meglio del Sud", si legge sul cartellone. Parole, queste, che hanno fatto infuriare molti utenti sui social.

Sono in tanti a definire "vergognosa" la frase che campeggia sul manifesto. Alcuni polemizzano "il meglio del Sud dovrebbe rimanere a Sud", altri ancora scrivono di essere rimasti senza parole leggendo lo slogan. C'è poi chi - con una punta di ironia - scrive in dialetto "ma o'ver facimm?" (ma facciamo sul serio?) e chi ricorda che spesso i giovani del Sud sono costretti a emigrare al Nord per cercare lavoro.

Dopo la rivolta social arriva la risposta di Busitalia e al Corriere della Sera dice di essere "dispiaciuta". Lo slogan, sostiene l'azienda, aveva un intento "gioioso" e non voleva urtare la sensibilità delle persone del Sud. In un secondo cartellone, hanno specificato dalla società, il messaggio "giocoso" sarà più chiaro.

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