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Morto Gianni De Michelis, aveva 78 anni

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È morto Gianni de Michelis, ex esponente di spicco del Psi di Craxi e per molti anni ministro degli Esteri. Lo si è appreso in ambienti parlamentari. Aveva 78 anni. De Michelis si è spento nella notte. Nato a Venezia il 26 novembre del 1940, era malato da tempo. I funerali si terranno nel capoluogo veneto in forma strettamente privata.

Si è laureato in Chimica industriale ed è stato docente universitario. Il suo percorso in politica inizia nel 1964 con l’elezione a consigliere comunale del capoluogo veneto e con il successivo incarico di assessore all’urbanistica. Nel 1969 diventa componente della direzione socialista e poi responsabile nazionale dell’organizzazione del partito. Più volte ministro, alle Partecipazioni statali nel secondo governo Cossiga e nel governo Forlani, riconfermato alla guida dello stesso dicastero nei governi Spadolini e nel V governo Fanfani. Diventa poi ministro del Lavoro e della previdenza sociale durante i due governi di Craxi. Nel governo De Mita ha il ruolo di vice presidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri nel VI governo Andreotti dal 1989 negli anni in cui l’Italia firmò il Trattato di Maastricht e nei giorni storici della caduta del Muro di Berlino. 

De Michelis è stato deputato per più legislature con il Psi ed europarlamentare con il Nuovo Psi, nonchè Presidente onorario dell’Aspen Institute.

De Michelis venne travolto, come tutto il Partito socialista, nello scandalo Tangentopoli. Dal 1992 è stato sottoposto a 35 procedimenti giudiziari e condannato in via definitiva a 1 anno e 6 mesi, patteggiati per corruzione, per tangenti autostradali del Veneto; a 6 mesi patteggiati per lo scandalo Enimont.


Quando Gianni De Michelis raccontava: ''I miei '80 tra Craxi, nani e ballerine''

Abusò di 10 minori, ex prete sconterà 20 anni di reclusione

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Dovrà scontare in totale 20 anni di reclusione, quattro dei quali già trascorsi in carcere, l’ex sacerdote 57enne foggiano Giovanni Trotta, condannato per violenza sessuale aggravata, produzione e diffusione di materiale pedopornografico e adescamento di minori, reati compiuti nel 2014 ai danni di 10 minorenni di età compresa, all’epoca dei presunti abusi, fra gli 11 e i 13 anni.
La Corte di Appello di Bari ha confermato la responsabilità dell’uomo che era stato condannato in primo grado a 18 anni di reclusione dal Tribunale di Foggia per abusi su nove bambini, aumentando la pena a 20 anni di reclusione e 150 mila euro di multa perché è stato riconosciuto il vincolo della continuazione con una precedente condanna definitiva a 6 anni inflitta dal gup di Bari con il rito abbreviato per abusi su un altro 11enne. Fu indagando sul primo singolo caso, infatti, che gli investigatori della Polizia Postale, coordinati dai pm di Bari Simona Filoni e Domenico Minardi, scoprirono gli altri episodi, tutti riconducibili allo stesso periodo e commessi con le stesse modalità.

Trotta, ridotto allo stato laicale fin dal 2012 proprio “per gravi crimini contro l’infanzia”, avrebbe violentato per mesi sei minori affidati alla sua custodia in quanto dirigente e allenatore della squadra di calcio frequentata dai bambini, nella provincia di Foggia, nonché loro insegnante di doposcuola. Dei minori avrebbe abusato nella sua abitazione singolarmente o in gruppo, fotografandoli durante gli atti sessuali. E’ stato anche condannato per pornografia minorile e divulgazione di materiale pornografico e adescamento di altri quattro 12enni attraverso le chat di Whatsapp e Facebook. È in carcere da aprile 2015.
Agli atti dei due processi ci sono le testimonianze dei minori, foto e messaggi, ma “nessuna denuncia è mai stata formulata” - avevano evidenziato gli inquirenti in occasione dell’arresto - dalla società sportiva che, nel novembre 2014, lo aveva allontanato. Il gup di Bari che per primo ha giudicato Trotta sottolineò anche “l’atteggiamento quantomeno superficiale tenuto dalle locali autorità religiose”, le quali, anche dopo la riduzione allo stato laicale, “hanno mantenuto assoluto silenzio, consentendogli addirittura di continuare ad indossare il clergy e a farsi chiamare don Gianni, così permettendo all’imputato di continuare impunemente a frequentare minori e a farne oggetto delle sue abominevoli perversioni”.

"Ora basta", i rapper napoletani cantano insieme per Noemi

Casi di epatite associati a integratori alla curcuma: l'ISS indaga

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L’Istituto Superiore di Sanità ha segnalato che alcun iintegratori a base di curcuma sono stati associati a due casi di epatite acuta che si sono risolti favorevolmente.


Si tratta degli integratori alimentari a base di curcuma della ditta NI.VA di Destro Franco & Massetto Loretta S.N.C con sede legale in via Padova 56, Vigonza (PD), prodotti dallo stabilimento FRAMA S.R.L. sito in via Panà 56/A, Noventa Padovana (PD). Curcumina Plus 95% lotto di produzione 18L823 scadenza 10/2021. Curcumina 95% lotto di produzione 18M861 scadenza 11/2021 sono stati associati a due casi di epatite acuta colestatica che si sono risolti favorevolmente.


In attesa delle verifiche da parte delle competenti autorità sanitarie territoriali si raccomanda di non consumare tali lotti. La ditta ha confermato di aver attivato il ritiro ed il richiamo dei prodotti nel proprio.

La svolta di Bergoglio ad Assisi, per un'economia che includa e non uccida

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Una scelta rivoluzionaria, quella di Papa Francesco, di convocare ad Assisi, per il prossimo marzo, i giovani economisti di tutto il mondo. Una scelta rivoluzionaria come quella di san Francesco, che rifiutò l’economia del tempo per costruire quella improntata al dono, alla fraternità e all’inclusività. 

La scelta di Assisi non è casuale, basti pensare che i francescani hanno dato vita ai monti di pietà, hanno inventato l’economia di mercato come risposta all’imbarazzo della ricchezza. Come ci ha detto il professore Stefano Zamagni:

“L’imbarazzo della ricchezza era stato scoperto dai monaci cistercensi – Bernardo da Chiaravalle – che accumulavano denaro nei loro monasteri, ma non riuscivano a farlo circolare, evidenziando la miseria all’esterno. È così che San Francesco e i francescani escono dai monasteri e creano i conventi: nel convento è un “con venire”, ed i conventi devono essere aperti a tutti, e stare nelle città, non fuori. Un’economia partecipata”.

L’idea francescana di economia è al servizio dell’uomo. Nell’incontro di Assisi ci saranno tantissimi giovani imprenditori che proveranno ad invertire sistemi economici iniqui a favore di sistemi circolari, fraterni e solidali. E se la Banca centrale europea, il Fondo monetario internazionale e i governi non hanno mai parlato di san Francesco in relazione all’economia ci penseranno Bergoglio e i giovani ed alcuni dei migliori cultori e cultrici della scienza economica, come anche imprenditori e imprenditrici impegnati a livello mondiale per un’economia coerente con questo quadro ideale.

I giovani sono per Papa Francesco il cuore della società. Più di una volta ha chiesto loro di tirare fuori il coraggio, “di essere rivoluzionari, di andare controcorrente e di ribellarsi a questa cultura del provvisorio. Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! […] Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore”.

Ora, nero su bianco, senza mezzi termini, il papa lancia il nuovo percorso: “l’economia di Francesco”. È questo il titolo dell’evento di Assisi, per siglare “un nuovo patto comune, un processo di cambiamento globale che veda in comunione d’intenti non solo quanti hanno il dono della fede, ma tutti gli uomini di buona volontà, al di là delle differenze di credo e di nazionalità, uniti da un ideale di fraternità attento soprattutto ai poveri e agli esclusi”.

È la quarta volta di Bergoglio ad Assisi in soli sei anni. Un record se pensiamo che Giovanni Paolo II in un quarto di secolo ha visitato la città di Francesco sei volte. 

Quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro – sono parole ricorrenti del Pontefice -, quando il denaro diventa un idolo, gli uomini e le donne sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da profondi squilibri. E così si ‘scarta’ quello che non serve a questa logica: è quell’atteggiamento che scarta i bambini e gli anziani, e che ora colpisce anche i giovani”.

Ad Assisi nel nome di Francesco, per un’economia diversa, che non uccide, non esclude, ma dà vita e umanizza.

Microsoft lancia il correttore "gender": scatterà ogni volta che vengono usate frasi discriminatorie

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Un correttore automatico per le formule e parole discriminatorie. Microsoft ha annunciato il lancio di un nuovo correttore, in arrivo con la prossima versione di Word, per suggerire modifiche alle parole digitate quando queste non siano rispettose della diversità. Lo scrive il quotidiano La Verità:

Microsoft ha annunciato il lancio di una nuova funzione informatica che “suggerisce” modifiche alle parole digitate sulla tastiera in maniera poco politicamente corretta. Si tratta insomma di applicare l’intelligenza artificiale per raccomandare agli utenti di scrivere in modo da non discriminare un determinato genere. L’intelligenza artificiale si attiverà ogni volta che qualcuno al computer, anche nel segreto della propria camera, sarà tentato di usare formule “discriminatorie”.

Scrive sempre La Verità che si tratta di modifiche suggerite come “agente di polizia” invece di “poliziotto”. La comunicazione di Microsoft assicura che “la scrittura richiede un pizzico di creatività unicamente umana. L’intelligenza artificiale da sola non può farlo per noi, almeno non molto bene. Ma l’Ia già adesso può aiutarci a fare cose come assicurarci di scrivere correttamente le parole e usare la grammatica corretta”. 

 

"Sei grassa", gli haters contro Miss Francia. Lei replica

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Gli haters la definiscono “grassa”, ma Miss Francia non le manda a dire e risponde: “Mi piace mangiare, fatevene una ragione”. Di origini polinesiane, 23 anni e occhi verdi, Vaimalama Chaves è stata votata dal 44% del pubblico francese. Lo riporta HuffPost France.

Su Instagram gli haters l’hanno definita “grassa”, sottolineando che “si farà umiliare al concorso di Miss Mondo con la sua pancia da nonna” e raccomandandole di “fare più attenzione al suo corpo”. 

Come riportano i media francesi, la ragazza ha raccontato che a 18 anni pesava oltre 80 chili: “Mi chiamavano mostro, non è stato facile sopportarlo. Ma oggi sono felice di avere fatto quell’esperienza perché mi ha reso più forte e più capace di incassare i colpi”. Queste le parole di Vaimalava Chaves poco prima di vincere il concorso. Col tempo, la Miss ha perso venti chili ed ha imparato a rispondere per le rime a chi la critica.

Durante un reportage televisivo, la giovane ha dichiarato: “Mi piace mangiare. Mangio molto perché tutti questi piatti che mi offrono da quando ho vinto il concorso non fanno parte della mia cultura, allora ne approfitto per scoprirli. Anche se non è l’immagine classica della Miss France che vi aspettereste. Mi piace scherzare, parlare forte e dormire, e continuerò a essere così, che vi piaccia o no. Quindi buona fortuna perché dovrete sopportarmi ancora per nove mesi”.

Parlando della reginetta di bellezza, il quotidiano Libération ha titolato: “Anche Miss France mangia, grazie Vaimalama”. Geneviève de Fontenay, 86enne storica organizzatrice del concorso di bellezza, sostiene a modo suo la vincitrice Vaimalama, concedendole il commento ”è comunque è ben proporzionata”.


Pippo Civati si ritira dalle Europee: "Estrema destra nella lista di Europa Verde"

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Giuseppe Civati annuncia la sospensione di ogni attività della campagna elettorale e si ritira dalla corsa alle Europee. Lo annuncia lo stesso Civati su facebook spiegando che “i valori costituzionali e l’antifascismo per me vengono prima di tutto. Ieri Luciano Capone su Il Foglio ha sollevato un problema - la presenza di esponenti di estrema destra nella lista di Europa Verde - che ha aperto una discussione molto accesa e per quanto mi riguarda necessaria. Ho chiesto che la questione fosse chiarita da parte dei Verdi italiani, che hanno fornito però risposte parziali e non chiare, sul motivo di questa presenza e sulla responsabilità di chi ha scelto di candidare queste figure”.


“Come sapete - prosegue Civati -, sulla base di un voto degli iscritti, Possibile ha optato per l’adesione alla sfida elettorale dei Verdi europei. Una sfida che ritengo avvincente perchè costruita intorno al vero motivo per andare a votare.
Ho accettato una candidatura che consideravo di servizio, a sostegno delle molte belle figure che il partito a cui aderisco ha indicato nelle liste di Europa Verde, a cominciare da Beatrice Brignone. Ciò che è accaduto in queste ore, la mancanza di chiarezza su un tema così delicato e per me fondamentale, cambia tutto quanto. Per questo - sottolinea -, non potendo cancellare il mio nome dalla lista, sospendo ogni attività della campagna elettorale e mi ritiro in buon ordine.
Peccato. Chissà cosa ne pensa Ska Keller, di questa storia. Quando avrò occasione, glielo chiederò”

Putin star dell'hockey, tra tanti gol e una caduta rovinosa

Chiara Giannini: "Il mio libro su Salvini censurato è la morte della libertà d'espressione"

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Chiara Giannini si aspettava tutto questo clamore attorno al suo libro? 
“No, non me lo aspettavo. Il mio è un libro intervista fatto da una giornalista, non credevo si arrivasse a censurarlo, non pensano si arrivasse a tanto”.

Anche il ministro Salvini ha parlato di censura. Ma la casa editrice, AltaForte, è vicina ai neofascisti di CasaPound.
“Il Salone del libro mi impedisce di presentare il mio libro, questo è il punto. Non esista una sentenza di condanna per AltaForte”.

Chiara Giannini ha il piglio battagliero di chi sa prendersi la scena. Seduta in una poltroncina nella hall dell’albergo in cui sta per svolgersi la conferenza stampa per presentare il suo “Io sono Matteo Salvini - Intervista allo specchio”. Una sorta di contro Salone organizzata dalla casa editrice AltaForte anche per protestare contro l’esclusione dalla trentaduesima edizione della kermesse torinese. Occhiali da sole sulla testa, giacca a righini e jeans, Giannini si sottopone volentieri al fuoco di fila dei flash e dei microfoni. Qualcuno la accosta a Oriana Fallaci, lei si schermisce. “Me lo dicono tutti anche perché sono Toscana ma non oso accostarmi a un mostro sacro come la Fallaci”. Alle sue spalle, l’avvocato Elisabetta Aldrovandi. “Abbiamo già presentato diffida formale contro il Salone del libro - interviene Aldrovandi - per il danno da perdita di chance subìto in seguito all’esclusione della casa editrice dalla manifestazione, addirittura a 24 ore dall’apertura. Regione e Comune non c’entrano, il contratto stipulato era con Salone del libro Srl.

“Elisabetta è un avvocato molto competente”, annuisce Giannini. Presidente dell’Osservatorio nazionale Sostegno vittime, Aldrovandi, da marzo scorso garante della Regione Lombardia a tutela delle vittime di reato, una manifesta simpatia per  Matteo Salvini. Come Giannini, che a proposito del vicepremier ripeterà “è una persona molto corretta, che parla col cuore, un vero padre di famiglia, un uomo che ama l’Italia. Di persone così ce ne sono poche in questo Paese”. 


L’autrice del libro finito al centro del dibattito che ha preceduto il Salone respinge sorridendo l’eventualità, paventata da un giornalista, di una sua discesa in politica - “Non ci penso proprio” - e rivendica, una due tre volte, il fatto di non essere fascista. “Non sono fascista, non sono iscritta ad alcun partito - dice - ho fatto l’inviata di guerra per quasi dodici anni e ho scritto anche per testate di centrosinistra come “Il Tirreno”, “Il Corriere di Livorno”. 


Ora lavora per “Il Giornale”, ma “un giornalista deve essere imparziale. A tal proposito - aggiunge -mi meraviglio che l’Ordine dei giornalisti e la Federazione nazionale della stampa non abbiano preso una posizione contro questa censura”.  Poi: “Tutti coloro che accosteranno il mio libro al fascismo saranno diffidati, la mia professionalità non deve essere offuscata dal trattamento riservato ad AltaForte”.

Lei parla di censura Giannini, ma Francesco Polacchi, editore di AltaForte, si è detto “fascista”.
“Polacchi è un soggetto singolo, risponderà lui delle sue parole e delle sue azioni”.

È l’editore della casa che ha pubblicato il suo libro. In lei quelle dichiarazioni e la vicinanza di AltaForte a CasaPound non provocano alcun imbarazzo?
“No. Polacchi ha dichiarato che quelle sue dichiarazioni sono state strumentalizzate e anche cambiate. Ma il punto non è questo”.

E qual è?
“AltaForte non è CasaPound e CasaPound non è illegale. Ripeto, le dichiarazioni di Polacchi sono affari suoi e io non sono fascista. Sono una giornalista che ha pubblicato un libro. Anzi due, sempre con AltaForte e mi sono trovata benissimo. A questo proposito vorrei fare una domanda”.

Dica.
“AltaForte ha pubblicato anche “Come la sabbia di Herat”, la storia dei 54 militari italiani caduti in Afghanistan, frutto del mio lavoro da inviata di guerra. Perché nessuno ha protestato per quel volume e per gli otto libri che questa casa editrice ha pubblicato fino ad oggi?”.

Perché secondo lei?
“Perché è un attacco strumentale a Salvini”.

Che è quello che ha sostenuto anche Polacchi. Perché attaccare Salvini?
“Perché con lui la Lega è arrivata a percentuali bulgare”

Salvini l’ha incontrato dopo le polemiche di questi giorni? 
“L’ho visto qualche giorno fa in un comizio in Toscana”.

Che le ha detto il ministro?
”Ci siamo salutati come sempre. Lo conosco da anni”.

Come l’ha conosciuto?
“Avevo pubblicato un post su Facebook nel quale mi lamentavo della mia precarietà  lavorativa e delle censure attuate all’epoca da alcuni soggetti del Governo Renzi”.

A chi si riferisce?
“Ne sentirete parlare. Comunque a breve provvederò a portare il libro a Salvini”.

Non l’ha ancora visto il libro, Salvini?
“Ha visto la copertina. È uscito il 9 maggio,  le polemiche sono iniziate prima, senza che fosse manco letto”. 

Intanto è primo nella classifica di Amazon. Queste polemiche e il dibattito che ne è scaturito le hanno fruttato molta pubblicità, è indubitabile.
“Siamo alla ristampa, ma non c’è stato sfruttamento di polemiche che ritengo vergognose e che, ripeto, sono esplose prima che il libro fosse pubblicato, senza che alcuno lo avesse letto. Da alcune parti, penso a una presentazione in via di organizzazione a Spezia, mi arrivano notizie di possibili critiche e polemiche. Comunque sto avendo anche riscontri positivi”. 

Cioè? 
“Sto ricevendo un sacco di inviti e di certo c’è che andrò a Londra a presentarlo. Mi hanno contattato molte comunità di italiani all’estero, non si rendono conto di come possa essere accaduto tutto questo, di come possa essere stato censurato un libro”.

Dal Salone AltaForte è stato escluso, ma nessuno vieta la vendita del libro.
“Non potendolo portare con la casa editrice, posso andare al Salone solo da spettatrice. È la morte della libertà di espressione, manca solo il ritorno ai roghi dei libri”.

E pure questo ha detto Salvini. Com’è stato intervistare il vicepremier?
“Ripeto, lo conosco da anni, è sempre disponibile e corretto. E parla col cuore”. 

Da più parti si stigmatizza un certa vicinanza di Salvini ad ambienti della destra estrema.
“Sono accuse strumentali. Salvini è un uomo che ama davvero il suo Paese, una persona seria. Ma poi, scusi, non capisco una cosa”.

Cosa?
“Matteo Renzi e Roberto Saviano hanno pubblicato per Mondadori, casa editrice della famiglia Berlusconi. Perché io non posso pubblicare per AltaForte?”. 

Medico annuncia interruzione cure per Vincent Lambert

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Il medico curante di Vincent Lambert, l’uomo tetraplegico in stato vegetativo da 10 anni e diventato il simbolo del dibattito sul fine vita in Francia, ha annunciato oggi che interromperà le cure che permettono di tenere vivo il suo paziente a partire dal 20 maggio prossimo.

Sulla sorte di Lambert, 42 anni, immobilizzato dal 2008 in seguito a un incidente stradale, si è combattuta in Francia e in Europa una vera battaglia legale. La decisione del medico arriva in esecuzione dell’ultima decisione, adottata il 24 aprile dal Consiglio di stato, di convalidare la decisione di interrompere le cure, alla quale si oppongono i genitori di Lambert. A favore dell’interruzione, la moglie ed altri parenti.


Lambert è dal 2008 in uno “stato vegetativo cronico irreversibile”, secondo i medici. Respira con una macchina, non può esprimersi né muoversi ed è alimentato artificialmente

Mistero sulla morte del campione Major. Accanto una pistola, ma nessuna ferita

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Il mondo dello sport paralimpico è sotto choc per la morte di Lorenzo Major. L’atleta, campione mondiale di arrampicata e originario di Forlì, è stato trovato in un parcheggio di Viareggio (Lucca) il giorno 10 maggio. Lì si sarebbe sparato, vicino a una sede dell’Agenzia dell’Entrata, ma il luogo è casuale perché non si ipotizzano motivi economici dietro a un gesto che nessuno riesce a spiegarsi. Sono in corso accertamenti da parte della Polizia. Secondo quanto riportato da La Nazione, accanto al corpo sarebbe stata ritrovata una pistola ma nessun segno di ferita:

In terra, sull’asfalto, una pistola di piccolo calibro, una 22, compatibile col fatto che Lorenzo in passato aveva praticato anche il tiro a segno. La polizia scientifica ha rinvenuto alcuni pallini - forse sparati da quella stessa Calibro 22 - conficcati sui vetri di porte e finestre dell’edificio. Però sul suo corpo gli esperti della scientifica non hanno trovato né segni di violenza, né visibili e chiari fori d’ingresso di un proiettile. Per questo il pm ha disposto che venga effettuata un’autopsia.

Major era in Toscana perché stava partecipando al raduno con la Nazionale in vista della Coppa del Mondo di scherma in carrozzina. Arrampicata e scherma, ma anche kayak, basket, paratriathlon, pesistica e tanto altro: Lorenzo era un atleta a 360 gradi. Quando iniziava un’impresa sportiva la portava sempre fino in fondo, arrivando al massimo. Prima dell’incidente in moto che, quando aveva 31 anni, gli provocò una paraplegia permanente, era un agonista di alto livello nelle arti marziali.


Poi ha scoperto lo sport paralimpico per rilanciarsi. Non ha mai partecipato alle Olimpiadi, ma è arrivato comunque ai vertici mondiali in diverse specialità. Tra quelle che praticava c’era il tiro a segno e probabilmente proprio per questo possedeva un’arma.

Aveva ripreso a fare scherma da non molto, e si allenava con la Zinella Scherma di San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna, realtà che da anni porta avanti progetti integrati.


Persona descritta da tutti come solare e con grandi capacità comunicative, partecipava anche a incontri all’università, insieme a Melissa Milani, presidente del comitato paralimpico dell’Emilia-Romagna e docente. “Tutto quello che faceva Lorenzo diventava oro”, lo ricorda ora Milani, sconvolta dalla notizia, così come tutte le persone a lui vicine. Da pochi mesi Lorenzo era diventato papà.

 

I docenti della Sapienza con Mimmo Lucano. Il questore di Roma vieta manifestazione Forza Nuova

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Con Mimmo Lucano, contro Forza Nuova. I docenti dell’Università Sapienza di Roma lanciano un appello per negare la manifestazione indetta dal partito di estrema destra in Piazzale Aldo Moro il prossimo lunedì. E la richiesta trova esito positivo nella decisione del questore di Roma, che ha vietato la
manifestazione. Secondo quanto si è appreso, alla base della decisione ci sarebbero motivi di ordine e sicurezza pubblica.

 

“Lunedì all’università ‘La Sapienza’ ci sarò. E ci andrò senza scorta, perché non ho mai fatto male a nessuno e perché non temo il clima di odio, che mi sembra assurdo. Sarò lì per raccontare l’esperienza di accoglienza che abbiamo vissuto a Riace, fatta di bene e di umanità per tutti”, ha detto all’ANSA Mimmo Lucano, sindaco sospeso di Riace, in relazione alla presa di posizione di Forza Nuova che ha annunciato la volontà di bloccare conferenza del sindaco sospeso di Riace prevista per lunedì prossimo nell’ ateneo romano.

 

Ecco il testo e le firme della lettera dei prof della Sapienza:

 

Il gruppo neofascista «Forza Nuova» ha indetto una manifestazione per lunedì 13 maggio a Piazzale Aldo Moro di fronte all’ingresso della Sapienza. L’intento è evidentemente quello di intimidire chi voglia recarsi ad ascoltare Domenico Lucano che è stato invitato, il 13 maggio alle 15.00, dal Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte e Spettacolo insieme a Vito Teti a partecipare al seminario dottorale “Convivenze”. Questo intento è stato esplicitato attraverso un vergognoso manifesto che indica in Lucano “il nemico dell’Italia”. Nel riaffermare con forza la vocazione antifascista e democratica della Sapienza, i docenti della Facoltà di Lettere e Filosofia chiedono che venga negata la manifestazione indetta da Forza Nuova e che si consenta il regolare svolgimento degli eventi previsti.

 

Donatella Di Cesare

Laura Faranda

Elettra Stimilli

Stefano Petrucciani

Stefano Gensini

Piergiorgio Donatelli

Virgionio Marzocchi

Stefano Velotti

Francesco Verde

Marcello Mustè

Simone Pollo

Cesare Cozzo

Orietta Ombrosi

Pierluigi Valenza

Antonio Valentini

Sarin Marchetti

Francesco Fronterotta

Chiara Adorisio

Candida Carella

Stefano Bancalari

Emiliano Ippoliti

Luisa Valente

Luca Marchetti

Caterina Botti

Federico Lijoi

Marina De Palo

Daniele Guastini

Sergio Botta

Sonia Gentili

Andrea Fara

Emanuela Prinzivalli

Claudio Zambianchi

Elena Zocca

Paola Buzi

Francesca Gallo

Gaetano Lettieri

Carla Maria Rita

Ivana Ait

Flavia Cristaldi

Francesca Cocchini

Vito Di Bernardi

Giovanni Ragone

Alfonso Marini

Claudio Zamagni

Cinzia Capalbo

Eugenio Testa

Tessa Canella

Bruno Bonomo

Marco Di Maggio

Giorgia Caredda

Alberto Sobrero

Roberta Cerone

Ilaria Tani

Giovanna Gianturco

Alessandro Guerra

Franco Piperno

Francesco Giannattasio

Michela Rosellini

Marco Mancini

Giorgio Inglese

Paolo Di Giovine

Giovanni Solimine

Fulco Lanchester

Luca Scuccimarra

Tito Marci

Beatrice Bonafè

Alessandro Guerra

Sandro Guerrieri

Augusto D’Angelo

Fabio Giglioni

Maria Cristina Marchetti

Giovanni Ruocco

Gianluca Passarelli

Mario Toscano

Raffaele Cadin

Valeria Ferrari

Roberta Iannone

Pierpaolo D’Urso

Emma Galli

Giuseppe Ricotta

Luciano Zani

Salvatore Nisticò

Domenico Carrieri

Margherita Carlucci

Guido Pellegrini

Letteria Fassari

Marco Marini

Laura Franceschetti

Carmelo Bruni

Pierluigi Montalbano

Marina Ciampi

Guglielmo Rinzivillo

Alessia Giorgia Salvatrice Melcangi

Fabrizio Battistelli

Annalisa Di Clemente

Luca Salmieri

Orazio Giancola

Alessandro Toni

Sara Bentivegna

Ernesto d’Albergo

Ornella Tarola

Giulio Moini

Bruno Mazzara

Paolo Montesperelli

Fiorenzo Parziale

Alberto Marinelli

Maria Romana Allegri

Laura Ferrarotti

Paola Marsocci

Lucia Anna Natale

Andrea Guiso

Silvia Leonzi

Francesca Colella

Alessandra Mignolli

Enrico Sarnelli

Renato Fontana

Stefano Nobile

Pierluigi Cervelli

Marco Bruno

Veronica Lo Presti

Marco Binotto

Isabella Mingo

Alberto Mattiacci

Mauro Sarrica

Giovanna Gianturco

Roberta Cipollini

Fabiola Sfodera

Giuseppe Anzera

Giovanni Ciofalo

Barbara Mazza

Marzia Antenore

Simone Mulargia

Giovanna Leone

Mihaela Gavrila

 

Attenzione, cambiano pezzi della Costituzione

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Lo so. La testa è altrove. Su un altro lutto nel Mediterraneo e un vicepremier che vuole multare chi salva disperati e innocenti. Ma il pensiero va anche al calore che ti dà Papa Francesco con l’abbraccio a una famiglia minacciata perché rom. E poi il voto decisivo del 26 maggio. In mezzo a tutto questo, giovedì alla Camera è passato un altro “pezzo di ricambio” della Costituzione voluto dal governo gialloverde. Si tratta della riduzione del numero dei parlamentari. Scrivo un altro pezzo, perché il voto segue quello sul referendum propositivo, già vagliato dai deputati e ora al Senato. Lunedì prossimo sarà la volta della terza gamba del disegno, la leggina correttiva del sistema elettorale pronta a recepire la riforma.

Tutto è definitivo? Non ci giurerei. Il tabellone illuminato non ha consegnato al governo e a una maggioranza allargata un esito blindato. Le luci rosse (hanno votato contro PD, Leu, radicali e dissidenti vari), le luci verdi (i favorevoli sono stati 5Stelle, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia), le bianche (le astensioni) hanno registrato 310 sì. Certo, non è poco. Tuttavia, per l’approvazione definitiva serve la maggioranza assoluta che alla Camera è di 316 voti, quindi ne sono mancati 6.

Le regole prevedono un intervallo, circa due mesi, prima che il Senato riesamini il testo per poi passarlo nuovamente alla Camera. Attenzione, perché avendo la maggioranza respinto anche una sola riga di correzione da pare delle opposizioni, nei prossimi passaggi non saranno più possibili cambiamenti. Conteranno solo i sì e i no. Dunque la proposta o passerà con la maggioranza assoluta lasciando a una scelta solo politica la richiesta o meno di referendum. O, ipotesi più improbabile, passerà con la maggioranza dei due terzi, condizione per diventare da subito legge dello Stato. Oppure, per divergenze nella maggioranza, finirà su un binario morto.

E’ partito un treno ad alta velocità. Le differenze tacite in Forza Italia e le assenze della Lega lasciano però l’esito finale incerto. Peseranno convenienze, contingenze, scambi, competizione, con buona pace del significato vero di una revisione costituzionale a riprova che questo governo meno dura meglio è.

E il PD e la sinistra? Abbiamo parlato con una voce sola. Prima in Commissione e poi in Aula abbiamo tentato ogni via per migliorare e dare un senso a quel trittico di riforme. La posta in gioco era e rimane evidente. La scelta è se usare l’insieme delle riforme come grimaldello per scardinare la democrazia parlamentare o, viceversa, per innovare e consolidare la democrazia rappresentativa.

Purtroppo finora il governo ha inteso le riforme come un dépliant per la campagna elettorale. Lo scalpo da esibire. In una divisione dei ruoli dove il capo leghista si scaglia contro migranti, rom o ong mentre e il “vendicatore” pentastellato aggredisce la casta e i parlamentari colpevoli di danni e sprechi. Poi, io continuo a pensare che la sfida dei duellanti preveda un vincitore. E lo penso perché chi vanta una identità né di destra né di sinistra, diventa storicamente utile a chi una ideologia la possiede, di destra, vera e ramificata in Occidente come mai era accaduto dal dopo guerra. Il sogno di una democrazia diretta purificatrice delle ingiustizie ma consegnato nelle mani di un gruppo di potere cinico è destinato ad arenarsi.

Lo scrivo con chiarezza, non eravamo e non siamo contrari alla riduzione del numero dei parlamentari. Fra l’altro lo testimoniano proposte di legge e, al di là dei loro risultati, i nostri disegni di riforma. Anche in questa occasione abbiamo avanzato soluzioni più nette come l’abolizione del Senato e l’innalzamento delle funzioni della Conferenza Stato Regioni Città, riconoscendo quell’autonomia che mai potrà dividere il paese, perché scuola e sanità pubblica sono diritti uguali dalla Lombardia alla Sicilia. Respinta questa ipotesi più coraggiosa, ci siamo battuti per una riduzione del danno. Non abbiamo usato la clava come fece l’ostruzionismo di Calderoli coi 500 mila emendamenti. I nostri erano circa 60. Ripeto, 60!. Eppure, prima in Commissione e poi in Aula, i Presidenti hanno usato ogni espediente per dichiarare inammissibili miglioramenti del tutto congruenti con la materia. Hanno negato anche solo la possibilità di discuterli e votarli. Giù con l’accetta e basta sull’estensione ai diciottenni del voto per il Senato, sulla tutela delle minoranze linguistiche come previsto dall’articolo 6 della Costituzione e dai trattati internazionali, sulla rappresentanza di specificità territoriali fino all’assurdo di un solo collegio al Senato per l’intera regione Friuli Venezia Giulia.

Noi non siamo contrari alla potatura degli alberi. Ma una buona potatura sa scegliere quali rami tagliare. Se invece la potatura si risolve nell’abbattere il tronco, allora molto banalmente la pianta muore. E temo si stia mettendo a rischio il tronco dell’equilibrio costituzionale e istituzionale. E non è poco.

Un’occasione perduta, questa volta da loro! Un’offesa alla democrazia, o più semplicemente alla saggezza. Lo scrivo con l’umiltà dei nostri errori del passato. Non ho rimosso gli scacchi trentennali né la bocciatura del 4 dicembre del 2016 che aveva chiuso una stagione e anticipato la sconfitta di un anno dopo. E’ come una lunga dannazione su cui riflettere per ricostruire l’autorevolezza delle classi dirigenti e un prestigio della democrazia insidiata dalla “democrazia illiberale” di quel premier ungherese che, assieme a Salvini, scrutava col binocolo il filo teso contro il nemico da cacciare.

A tutto questo noi stiamo reagendo. Lo facciamo scegliendo un campo largo contro una destra che scatena odio e divisione. Lo facciamo con piazze e movimenti che riscoprono il conflitto necessario per non lasciare abbandonati bisogni, diseguaglianze e persone. Sappiano che cultura e dialogo sono una forza per l’Alternativa. Sappiamo soprattutto che in Europa non siamo soli. Come si diceva un tempo, adesso e fino al 26 maggio, nessun voto vada perduto.


Nostalgia e politica. Rassegnazione, scetticismo e sconfitta possono disegnare un progetto per il futuro?

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“Il sapersi soli di fronte alla storia, senza speranze – senza nessuna garanzia, senza nessuna ideologia, senza nessuna consolazione. Eppure non restare incantati a seguire presunte destrutturazioni del soggetto o fughe nell’immaginario teologico. Ma scommettere, impegnarsi nella virtù: saper resistere e dire di no anche di fronte a un fallimento sicuro. Spendersi in un’alleanza civilizzatrice”: da un’intervista a Cesare Luporini, studioso che ha rivoluzionato radicalmente la lettura di Leopardi.

È del 1987 ma senza informazioni rischierebbe una datazione diversa, assai vicina a noi. Si trova in un volume di Massimiliano Biscuso (Gli usi di Leopardi. Figure del Leopardismo filosofico italiano) che ripercorre il destino unico della figura maggiore di poeta romantico, italiana ed europea, il cui spessore di riflessione culturale e politica, filosofica e storica non ha mai smesso di pulsare dagli anni ’30 ad oggi, da Croce fino a Emanuele Severino, da Luporini – una figura di critico, filologo e intellettuale militante davvero interessante e singolare come dimostra Biscuso – a Toni Negri. Leopardi, insomma, come riferimento unico per una epoca in cui sentirsi soli di fronte alla indifferenza della natura, le avversità della storia e l’inutilità delle ideologie è il sentimento dominante, il set universale del pensiero ad ogni latitudine.

Insomma, come dimostra anche il lavoro di un autore come Mario Martone che tra cinema e teatro, ha lavorato su Leopardi in profondità, il pessimismo dell’ autore delle liriche indistruttibili ma anche delle Operette morali, è la fonte di un pensiero che racconta meglio di qualsiasi altra forma il pessimismo che ci circonda, e insieme la forza di conoscenza e anche progetto che esso possiede. Possono l’ angoscia, la rassegnazione, la dolcezza del naufragio del nulla, diventare categorie filosofiche o addirittura politiche?

“Nostalgia: il vero sentimento che muove il futuro”, scrive Goffredo Bettini in Agorà. L’ ago della bilancia sei tu. Tra i protagonisti del sogno controverso della realizzazione del PD, Bettini sembra essere tra i pochi ad aver il coraggio di affrontarne il fallimento (“Se dopo vent’ anni durante i quali abbiamo governato largamente anche noi, l’Italia è più ingiusta e le differenze sociali sono aumentate, che riformismo abbiamo praticato?”) e soprattutto ad avere la determinazione e il desiderio necessari a esplorare nuove forme di pensiero e pratica politica, dopo quel fallimento.

Nel libro, che contiene una delle piu’ accoglienti ricostruzioni del desiderio e del sogno dell’idea di Europa oggi in circolazione – l’autore ha da poco completato il mandato di parlamentare europeo - la solitudine, l’angoscia e soprattutto la nostalgia sono analizzati e affrontati come sentimenti in grado di produrre orizzonti e programmi per il “desiderio irrinunciabile di vivere, di riscattarsi, di affermare sé medesimi”, per “trovare una nuova misura di pensiero ed azione”. Bettini, che da giovane riuscì a riavvicinare Pasolini ai giovani comunisti della FGCI e fu, dopo la sua morte, insieme a Bernardo Bertolucci a presentare il suo ultimo film a Parigi, Salò o le 120 giornate di Sodoma, conosce bene il segreto di quel film che, secondo il suo stesso autore, consisteva nel potere della rassegnazione, poiché niente può essere piu’ destabilizzante per il potere che questa sensazione, muove proprio da forme di esperienza e conoscenza, di empatia e solidarietà, generate dalla disillusione e dallo scetticismo che somigliano da vicino a quel programma di fraternità che rende unico il pensiero politico del poeta di Recanati.

Il libro di Biscuso mostra in maniera abbastanza sorprendente come voci autorevoli e molteplici del materialismo e del marxismo italiano, da Sebastiano Timpanaro a Toni Negri, abbiano sentito il bisogno di confrontarsi con la voce di quello che una volta veniva etichettato come “irrazionalismo” romantico, quello di Bettini che ha vissuto dall’interno la storia e le turbolenze del passaggio dal PCI al PD, parla la politica attraverso forme soggettive (soprattutto la solitudine) che sono radicalmente innovative rispetto a quella tradizione (ma entrambi, significativamente, si soffermano sul pensiero di Emanuele Severino come un polo filosofico contemporaneo indispensabile).

Ma che la nostalgia – categoria che suonava un insulto per il pensiero politico e per il dibattito culturale degli anni ’70 – possa diventare un sentimento decisivo del sapere e della politica era già evidente, con la forza del racconto e con il pensiero delle immagini, in un film, della scorsa stagione.

La casa sul mare di Robert Guédiguian: il regista europeo di sinistra, paradigma della militanza sul grande schermo, si abbandonava ad una ricapitolazione crepuscolare e drammatica di reduci, sconfitte e suicidi che però finiva con un incantevole flashback, capace di colpirti come quelle fotografie del passato che ritrovi per caso cercando qualcos’altro e che ti colpiscono per il sentimento di futuro che liberano, la promessa di qualcosa di compleamente diverso – la nostalgia dell’ Altro, come la chiama Adorno - che ti sembra di ricominciare a respirare di nuovo a pieni polmoni.

Nicola Zingaretti: "Il DL Sicurezza bis è l'ultima pagliacciata"

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Stiamo parlando di salvare la vita di un essere umano per 5 mila euro. Penso che l’istinto umano debba portarci a salvarlo. Ma non accetto che questo decreto si chiami Sicurezza, qui c’è un imbroglio anche nei nomi che si usano: assumessero più personale nelle forze dell’ordine, aprissero i commissariati nelle zone difficile, si impegnassero con più nettezza contro la criminalità organizzata. Questa è l’ultima pagliacciata dei dispetti Lega-M5S, mentre il paese soffre”.

A L’Intervista di Maria Latella su Sky Tg24, il segretario del Pd, Nicola Zingaretti afferma che sta “combattendo tra la gente” perché “siamo alla vigilia di un appuntamento fondamentale: o si torna indietro e si distrugge l’Europa, oppure si prova a rilanciare l’unico progetto che può rilanciare questo paese”. E dopo il voto potrebbe esserci una crisi di Governo, “perché il contratto del governo Lega-M5S è fallito” e perché “i conti dello Stato sono saltati”. A quel punto “dovrebbe toccare agli italiani dire a chi affidare queste responsabilità. Un governo tecnico in caso di crisi di governo sarebbe una ulteriore perdita di tempo. E chi ha sbagliato si prenda le responsabilità”.

 

Alla domanda sulla proposta del socialista francese Jean-Luc Melenchon, oggi su Repubblica, di cancellazione del debito pubblico in tutta l’Europa perché i giocani non possono lavorare per colmare i buchi del passato, Nicola Zingaretti replica con una proposta del Pd per i giovani nelle famiglie meno abbienti. “Proponiamo che nelle famiglie che guadagnano meno di 30 mila euro l’anno, dall’asilo nido all’università non si spenda nulla. Non solo libri e tasse, ma anche trasporti. Per un vero diritto allo studio. Costa 3-4 miliardi, non costa molto. Vanno azzerati i costi per ragazzi e ragazze che non hanno nessuna colpa”.

 

Capitolo cannabis. “Critico la guerra di Salvini contro gli shop della cannabis, la lotta allo spaccio va fatta per le strade con la repressione del traffico” dice Zingaretti, senza chiarire se voterebbe la proposta di legge di un senatore M5S sulla legalizzazione della cannabis.

De Michelis fu banalizzato ma resta un protagonista del riformismo craxiano

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Gianni De Michelis è stata una personalità di grande rilievo nella seconda parte della prima Repubblica (dal 1976-fino al 1992-’94). Lo fu innanzitutto sul piano della dialettica interna al PSI. Egli fu uno dei leader dei giovani lombardiani che, in contrapposizione alla duplice subalternità nei confronti della DC e del PCI praticata da De Martino, appoggiarono Bettino Craxi come nuovo segretario del PSI in nome di una linea “corsara” conflittuale con il moderatismo politico della DC e con il conservatorismo ideologico del PCI berlingueriano. Poi quando i lombardiani entrarono in conflitto con Craxi De Michelis lo appoggiò a fondo favorendo il suo definitivo consolidamento alla guida del PSI.

Da quel momento in poi De Michelis fu fondamentalmente un uomo di governo. Prima concentrò la sua attenzione sulle politiche industriali e del lavoro con riferimento sia alla ristrutturazione dell’industria italiana sia alla revisione della contingenza che costituì l’oggetto del referendum vinto da Craxi e perso dal PCI di Berlinguer. Successivamente egli divenne ministro degli Esteri e, d’intesa con Andreotti e Craxi, si confrontò in più occasioni con la Thatcher per la costruzione dell’Europa. In seguito tentò in molti modi di mediare con i serbi di fronte alla disarticolazione della ex Jugoslavia.

De Michelis fu uno dei leader socialisti più demonizzato nella vicenda di Mani Pulite. La demonizzazione ebbe un aspetto mediatico concentrato sul fatto che egli occupava in modo ostentato parte del suo tempo libero nelle discoteche. Da un certo momento in poi passò sui media la leggenda metropolitana secondo la quale avrebbe passato la maggior parte del suo tempo nelle balere. Da quel momento in poi nessuno si è misurato con quello che realmente fece come ministro. A questa operazione ha dato il suo contributo anche Massimo Cacciari raccontando che, a De Michelis che auspicava la sua iscrizione al PSI, egli avrebbe risposto “grazie Gianni, ma sono già ricco di famiglia”.

Fino a quando è stato in grado di ragionare e di parlare De Michelis ha sempre negato che questa battuta sia mai stata pronunciata. Il riformismo socialista, impregnato politicamente su Bettino Craxi, è stato sul piano politico-culturale una cosa assai seria. Forse anche per questo esso è stato banalizzato e demonizzato da chi solo a implosione avvenuta capì che il comunismo era un fallimento sul piano economico e un’oppressione sul piano politico e culturale.

La nostra Guerra d’Algeria era persa ma preferivamo dimenticare

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Gianni De Michelis è stato un uomo politico eccellente che faceva parte di una generazione formatasi nella fase avanzata di rifondazione della vita democratica del paese nel secondo dopoguerra. Giovanissimo Professore di Chimica all’Università di Venezia contrasse subito il virus della politica militando nelle formazioni giovanili socialiste e negli organismi universitari nazionale ( UNURI) di cui divenne presto un leader riconosciuto; Nella sua città percorse tutto l’apprendistato del militante e del dirigente politico incominciando ad affrontare i temi e problemi legati allo sviluppo imponente e sregolato degli anni sessanta. Volantinava dinanzi alle fabbriche e nelle assemblee cittadine incominciò a duellare con quelli che sarebbero stati i compagni di una vita ed allo stesso tempo i suoi avversari.

 

 

Come altri della generazione che diede vita al rinnovamento generazionale del Partito Socialista al Midas, pur provenendo da un’estrazione correntizia legata alla figura di Riccardo Lombardi, indimenticato leader autonomista, Gianni de Michelis scelse per il post-guerra fredda una logica politica bipolare di tipo europeo; scelse assieme a mio padre Bettino Craxi chiaramente la Sinistra ma una Sinistra socialdemocratica, una sinistra liberalsocialista, una sinistra che, come ebbe modo di dire “ doveva in qualche modo mettere sotto i comunisti; Forse l’errore fu quello, pagammo in quel passaggio nel 1989, un’articolazione non ancora sufficiente della politica democratica di Unità Socialista”.

 

 

Non sarà difficile in queste ore leggere su di lui dei giudizi facili, un uomo sbrigativo, eccessivo un uomo di potere arrogante, e immagino non verrà neanche tralasciata la caricatura dell’uomo dai lunghi capelli e dai vizi privati che superavano le pubbliche virtù.

La verità è che come tutta la generazione formatasi negli anni sessanta il valore delle libertà acquisito si traduceva in un esondante dinamismo del pensiero e dell’azione. 

 

Gianni è stato un politico instancabile, colse come altri l’elemento decisivo che potesse fare dell’Italia una delle nazioni più dinamiche nel nuovo scenario politico mondiale che si andava aprendo dinnanzi al declinante impero sovietico, alla indubitabile vittoria dell’occidente e la costruzione di quell’Unione Europea di cui divenne un protagonista primario.

Da Ministro degli esteri più ancora che al Ministero delle partecipazioni Statali De Michelis seppe imporsi come uomo di punta nello scenario mondiale, al netto delle sue inclinazioni filo-atlantiche egli seppe sviluppare una politica coerente con l’impostazione di neo-protagonismo italiano nel Mediterraneo e nei Balcani ereditata dai predecessori, Moro e Andreotti ed in totale sintonia con la visione socialdemocratica imposta dal nuovo corso Craxiano.

 

 

 

Aveva ben compreso l’importanza fondamentale di giungere ad un accordo a Maastricht che vedesse la politica continentale forte e non debole, purtroppo, sosteneva spesso è che l’Italia si presentò con il fardello del debito pubblico aggravato dalla scellerata decisione di Andreatta di separare Banca d’Italia e Tesoro, una delle battaglie perse dai socialisti ma decisiva affinché il primo ostacolo della negoziazione dei parametri non risultasse per l’Italia troppo difficile da superare.

Il Pentapartito non riuscì a portare a termine il lavoro e le condizioni della discussione delle norme per l’ingresso della Lira nell’Euro avvennero in una condizione di estrema debolezza della politica travolta dalla rivoluzione giudiziaria italiana.

Anche Gianni ne fu travolto, fu uno dei primi dirigenti socialisti a rivecevere il famigerato avviso di garanzia, gli levarono l’anima, irridendolo e conducendolo nel girone degli appestati dell’inferno di Mani Pulite.

 

  

Si tagliò i capelli quasi per voler trasfigurarsi e diventare un uomo nuovo, scoprì affetti e pur caracollando, già vittima di malattie incombenti, non cessava di occuparsi di politica internazionale e si diede e riuscì a dare coraggio a chi voleva, nel cuore degli anni novanta, ricostruire il Partito Socialista. Cosa che facemmo assieme in particolare alla scomparsa di Bettino Craxi, che di Gianni amava dire che lo considerava innanzitutto un uomo leale, generoso ed entusiasta, e qualche volta l’entusiasmo lo faceva diventare un po’ “facilone”, ma posso testimoniare che l’elemento fondamentale di quella squadra straordinaria che uscì dalla stagione del Midas ( Giuliano Amato, Claudio Martelli, Claudio Signorile ed altri) fu il senso del rispetto reciproco e dell’ammirazione per le rispettive capacità e competenze, esattamente come in una squadra dove ognuno sa interpretare ed esercitare il proprio ruolo nell’interesse certamente del Partito ma anche e soprattutto di un paese che loro stavano contribuendo a cambiare anche sfidando le impopolarità e duellando furiosamente a sinistra come avvenne per la manovra economica di San Valentino.

Voglio dire di avere avuto il privilegio di lavorare con lui, di cercare di ricostruire il partito socialista facendone di esso quello che amava definire , nei tempi della seconda repubblica, almeno una “minoranza efficace”.

 

 

Discutemmo a lungo e ci dividemmo persino perché ritenevo fondamentale che i socialisti tornassero nel campo della sinistra italiana e ritenendo solo “transitorio” il dialogo con il partito di Berlusconi, per fare questo una volta ricordo che affrontammo una cena rocambolesca in una piovosa notte di Tunisi dove invitai lui e Luciano Violante che Gianni considerava una delle anime nere del rovescio giudiziario della politica italiana; Gianni non serbava rancore, era un uomo profondamente buono che aveva nella politica il cuore della sua ragione di vita.

Inquilino ormai divenuto solitario di una piccola casa nel mio quartiere quando lo andavo a trovare facevo fatica a scorgerlo immerso com’era dalle carte e dai suoi libri, a volte si piegava con una lente di ingrandimento perché una delle sue maggiori passioni era la Geografia Politica, e scrutava mappe fino a tarda ora.

Io confesso che conoscendo il suo stato di salute non ho più voluto reincontrare avendo saltuarie notizie dal figlio Alvise. Ho colto anche in questo caso dentro una inevitabile fine di un’esistenza anche tutto il senso della tragedia collettiva che ci ha colpito e che ci ha per sempre segnato. Era un sottointeso che non ci confessavamo mai durante le riunioni, la nostra Guerra d’Algeria era stata persa e preferivamo dimenticare e pensare che la vita fosse andata avanti. Sapevamo che non era così. Con Gianni de Michelis non scompare solo il compagno, un maestro politico, l’amico ma anche una figura di primo piano della Storia della Repubblica, mi auguro che venga ricordato con tutto il senso di giustizia di cui gli italiani si sentano capaci.

Toto Cutugno: "Così Al Bano mi ha salvato la vita"

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Toto Cutugno è salvo grazie ad Al Bano Carrisi. Non si tratta di una salvezza artistica, ma di una questione di salute vera e propria. A rivelarlo è Cutugno ai microfoni di Radio Due durante la trasmissione “I Lunatici”.

“Mi sentivo una roccia, mi sentivo di spaccare tutto il mondo, invece mi alzavo di notte, tre quattro volte, per andare a fare la pipì. Mi sono confidato con Al Bano e mi ha consigliato un medico. Quel medico che si è accorto, alla prima visita, che non avevo una prostata, ma un melone”, ha detto il cantante.

Il medico consigliato a Cutugno da Al Bano era stato categorico: “Non mi ha fatto uscire dall’ospedale, ha detto subito che era una cosa grave, avevo le metastasi del cancro che arrivavano quasi ai reni. Se non mi facevo operare subito le metastasi del cancro mi arrivavano ai reni ed ero finito. Il professor Rigatti, il medico che Al Bano mi ha consigliato, mi ha salvato la vita”.

Insomma, la riconoscenza di Toto Cutugno è profonda, tanto che ai microfoni di Radio Due confida: “Io sono, grazie ad Al Bano Carrisi, un miracolato. Ora sto bene, ogni mese vado a fare i controlli, faccio un po’ fatica a camminare, mi stanco facilmente, però sto da Dio”.

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