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"Chi non vorrebbe visitare una regione che non esiste?". Il Molise incanta la BBC

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“Il Molise è famoso per una cosa: non esiste”. Con questo incipit la BBC apre un lungo reportage dedicato alla piccola regione del Sud Italia, precisando: “Beh, tecnicamente, esiste. Essendo una delle 20 regioni italiane, il Molise ha uno status pari a Toscana, Lombardia o Piemonte. Tiene elezioni, regionali e nazionali. Confina con Abruzzo, Puglia, Lazio e Campania, tutti luoghi indiscutibilmente reali. Allora perché agli italiani piace fingere che il Molise non esista?”. 

Il giornalista Alex Sakalis ha cercato di indagare i motivi del modo di dire “il Molise non esiste” esplorando, al contempo, le bellezze di questa perla del meridione. “La gente aveva iniziato a pubblicare l’hashtag #ilmolisenonesiste per scherzo, prendendo in giro le dimensioni ridotte della regione e il nostro relativo anonimato in Italia”, dichiara alla BBC Enzo Luongo, giornalista e autore del libro Il Molise non esiste

La “cospirazione molisana”, così la definisce Sakalis nel suo articolo, è diventata un vero fenomeno, generando libri, canzoni, video, monologhi teatrali, articoli e altro ancora. Insieme a meme e gadget, è stata aperta perfino una pagina Facebook chiamata Molisn’t - lo non credo nell’esistenza del Molise e un video YouTube del 2015 - intitolato “Il Molise non esiste!!” - conta oltre 1,6 milioni di visualizzazioni, oltre cinque volte la popolazione del Molise stesso, pari a 305mila abitanti.

In questo modo, sottolinea la BBC, nel giro di qualche anno la regione è passata dall’anonimato allo status di fenomeno nazionale. “Dieci anni fa, quando dicevo ad altri italiani di essere originaria Molise, mi guardavano interdetti. Non avevano mai sentito parlare di noi”, ha dichiarato la guida locale Maria Laura Pace alla BBC, quando Alex Sakalis l’ha incontrata in quel di Termoli. La donna ha aggiunto: “Ora, quando menziono la mia regione, la gente ride e mi dice che il Molise non esiste. In un certo senso, sono progressi”.

L’articolo della BBC passa in rassegna le bellezze del territorio: montagna e mare, incredibili borghi, antiche feste, cibo delizioso. “A differenza di altre parti d’Italia, in Molise puoi ancora trovare la vita di una volta, rimasta invariata da secoli”, si legge nell’articolo della testata britannica.

“‘Il Molise non esiste’ è, in un certo senso, un marchio perfetto”, ha detto il politico locale 5Stelle Simone Cretella intervistato dalla BBC. “Quella frase gioca coi nostri punti di forza: il nostro mistero, la nostra peculiarità, il fatto che questo è un luogo non toccato dal turismo massivo. Crea quella curiosità che fa desiderare alle persone di scoprire la nostra regione: quando lo fanno, rimangono sempre sorprese di quanto sia bello e vario il Molise. Nessuno resta deluso. Dobbiamo solo far sentire la nostra voce lì fuori”.

Insomma, un territorio tutto da scoprire. “Dopo tutto”, si legge ancora nell’articolo, “chi non vorrebbe visitare una regione che non esiste?”.


I Coldplay svelano le canzoni del nuovo album. E lo fanno con un annuncio pubblicitario

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“Sunrise”, “Guns”, “Church”. Con un annuncio pubblicitario sul giornale locale della città inglese di Exeter, nella contea di Devon, i Coldplay hanno (finalmente) rivelato i titoli delle canzoni del loro nuovo album. La diffusione della sequenza di brani di “Everyday Life” era stata anticipata da alcuni indizi che la band aveva dato ai suoi fan. Le canzoni sono 16 e sono suddivise in due differenti parti del disco: “Sunset e Sunrise”. 

L'annuncio con i titoli delle canzoni

D’altronde, che i Coldplay tornassero sulla scena con dei nuovi incisi si sapeva già da alcuni giorni. Fino ad oggi, però, la band non aveva dato nessun informazione sui titoli delle canzoni. Solo qualche piccolo dettaglio per incuriosire gli appassionati e attirare l’attenzione. 

I suggerimenti sull’arrivo del nuovo album sono iniziati con una serie di poster apparsi in città di tutto il mondo, tra cui Berlino e Hong Kong. Nei manifesti affissi si vedeva la band in bianco e nero, in versione old style, con a fianco quello che sembrerebbe essere il filosofo Friedrich Nietzsche. In alto la data: 22 novembre 2018.

I Manifesti apparsi in giro per le città (Nietzsche sarebbe il primo a sinistra)

Poi, la band ha deciso di lanciare un messaggio ai fan confermando l’uscita di “Every day life”: “Cari amici la mia calligrafia non è il massimo e mi dispiace.  Speriamo che stiate bene. Negli ultimi 100 anni, più o meno, abbiamo lavorato su una cosa chiamata Everyday Life. Una metà si chiama “Sunrise”, l’altra “Sunset”. Esce il 22 novembre. Parla di come ci sentiamo a proposito delle cose che accadono. Vi inviamo tanto amore, dall’ibernazione”, avevano scritto sui social. 

E ora, a distanza di qualche giorno, arrivano anche i titoli degli inediti. Scritti nero su bianco, in un piccolo box a pagina 50 del giornale locale di Exeter “Express and Eco” nella sezione delle inserzioni pubblicitarie. Appena sopra l’annuncio della vendita di un bagaglio e accanto a un appello per trovare un inquilino. 

La pagina del giornale con l'annuncio

Come si vede nella foto, i brani nella sezione “Sunrise” includono: Sunrise, Church, Trouble in Town, Broken, Daddy, Wotw / Potp, Arabesque e When I Need A Friend. Mentre nella sezione “Sunset”, ci sono: Guns, Orphans, Èkó, Cry Cry Cry, Old Friends, Champion of the World e Everyday Life. C’è anche il titolo di una canzone scritto in arabo. Ma il perché (per ora) rimane un mistero. 

La scelta di pubblicizzare il nuovo album su un piccolo giornale di provincia dipende dai forti legami che la voce dei Coldplay, Chris Martin, ha con Devon e con la cittadina di Exeter. Qui è cresciuto e ha scoperto la sua passione per la musica. 

Lo stesso annuncio era apparso anche sul Daily Post del Galles del Nord mercoledì 23. Ma non aveva suscitato tutta quest’attenzione. Anche in questo caso la decisione non era casuale e dipendeva da un legame affettivo. Con un post su Twitter, il chitarrista Jonny Buckland infatti aveva spiegato che una volta aveva svolto un lavoro per le vacanze al Daily Post, mettendo in vendita le foto delle case. 

 

 

Sofia Goggia: "Dagli uomini si impara, quando ti alleni con loro migliori sempre"

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“Dagli uomini si impara, quando ti alleni con loro migliori sempre”. A parlare è Sofia Goggia, 26 anni, la sciatrice azzurra oro in discesa ai Giochi del 2018 e vincitrice di due medaglie mondiali. Sofia ha rilasciato un’intervista a La Stampa alla vigilia della partenza della coppa del mondo di sci alpino, in programma da sabato 26 ottobre. Ha parlato delle sue sensazioni prima di cominciare la stagione invernale e di come spesso, per migliorarsi, si alleni non con le donne, ma con la squadra maschile

Sofia si sente fisicamente e psicologicamente in forma per l’inizio delle nuove gare. E le sembra anche di essere più tranquilla rispetto agli scorsi anni. Si legge sulla Stampa

“Sto vivendo un momento di calma particolare, mi sento tonica ma molto tranquilla. Sarà perché in questa stagione non ci sono né Mondiali né i Giochi, quindi non ho pressioni particolari come invece è successo negli anni scorsi. È un anno importante ma di transizione, il primo del quadriennio olimpico. Diciamo che nei prossimi mesi perfezionerò il mio percorso di crescita e di conoscenza di me stessa. Mi studio per progredire, ancora più di prima”.

Un equilibrio e una tranquillità che Sofia racconta di aver raggiunto con il passare degli anni, e che trova grazie al contatto con la natura, per lei fondamentale. 

″[...]Lunedì gli allenatori ci hanno lasciato un giorno di riposo e mi sono regalata una camminata in montagna. Ho preso la cartina e studiato il percorso in questa valle bellissima, a Hintertux in Tirolo dove siamo state in ritiro. Il verde, l’acqua dei ruscelli mi trasmettono felicità”. 

Sofia racconta di aver cambiato la propria preparazione alle gare invernali questa estate e rivela di essersi allenata spesso con la squadra maschile. 

″[...]Ho cercato di muovermi meglio e in velocità. Ho lavorato molto da sola e con la squadra maschile. [...] Allenarsi con gli uomini è sempre molto utile. Impari a spingere lo sci in uscita dalla curva per prendere velocità. Sono stati giorni molti intensi, ho rubato ai ragazzi qualche segreto.”

Mancano pochi giorni all’inizio della stagione e Sofia dice di essere determinata e pronta a raggiungere il suo sogno. Si legge sulla Stampa

“Una coppetta. Anzi a dire la verità due, una in un supergigante e l’altra in libera. E sogno di alzare al cielo un trofeo importante sul podio delle finali del 2020 a Cortina. Il posto del mio cuore”. 

Sassoli sospende il leghista Ciocca:"Ha gettato a terra in Aula cioccolatini turchi"

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Angelo Ciocca lancia a terra una scatola di cioccolatini turchi

Eurodeputato leghista sospeso per aver gettato a terra, in aula, una scatola di cioccolato turco. Il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, ha deciso stoppare le attività di Angelo Ciocca per cinque giorni e di sospendere l’indennità di soggiorno per dieci giorni, dopo il gesto di ieri. “Ieri durante la discussione dei militari turchi un membro di questo parlamento ha agito in modo inaccettabile mostrando un comportamento aggressivo e irrispettoso nei confronti dei colleghi e di questa istituzione”. ha detto Sassoli.

Ciocca, durante il dibattito a Strasburgo, si è alzato dal suo posto e ha gettato per terra una scatola di cioccolatini turchi, urlando “No a questa Turchia!”, comportamento che era già stato ripreso in Aula dalla prima vicepresidente Mairead Mc Guinness. Dal canto suo, Ciocca ha annunciato che farà ricorso: “La decisione del presidente Sassoli mi stupisce. Mi stupisce in modo particolare come il presidente si senta offeso e trovi irrispettoso gettare a terra un pacchetto di cioccolatini ricevuto da rappresentanti del governo turco e invece non mostri lo stesso sdegno di fronte a civili e bambini che muoiono e sono morti in queste giorni per mano turca. Non sarò mai un cartonato telecomandato dai diktat europei o dal presidente Sassoli”.

 

Continua Ciocca: “Non farò mai arredamento tra i banchi del Parlamento non mi tirerò mai indietro dal manifestare dissenso con gesti simbolici di vivacità politica, nel rispetto degli altri e delle istituzioni, verso situazioni irrispettose come quella oggetto del mio intervento. Come gesto di protesta verso una decisione che trovo assurda oggi non sarò in aula durante la seduta plenaria”.

Potete smetterla di spalmare la Nutella sui biscotti. Ora la Ferrero lancia quelli veri

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Biscotti alla nutella

L’impasto del biscotto è realizzato con la farina di frumento e lo zucchero di canna. Al loro interno c’è la crema spalmabile alla nocciola nata nel 1946 dal genio di Pietro Ferrero. Sono i Nutella Biscuits, il nuovo prodotto lanciato dalla Ferrero, che a novembre arriverà nei supermercati italiani.

Chi di voi non ha mai spalmato la Nutella su un biscotto? Un grande classico, alla base del concept del nuovo prodotto. I biscotti, lanciati in primavera in Francia, stanno per arrivare anche da noi e si potranno assaggiare in anteprima a Milano, in piazza Gae Aulenti dal 24 al 31 ottobre, dove sarà allestita Casa Nutella.

I Nutella Biscuits sono una nuova tentazione che rispecchia l’inizio di una nuova era dell’azienda italiana. In un’intervista alla Stampa rilasciata alcuni giorni fa Alessandro D’Este, ad di Ferrero Italia, aveva dichiarato di voler superare gli 80 milioni di vendite l’anno, per un totale di più di 25 milioni di unità di Nutella Biscuits. Per questo l’azienda di Alba ha investito nel progetto 120 milioni di euro. “Puntiamo ad espanderci nel mondo dei biscotti, il lancio a fine mese di Nutella Biscuits è destinato a cambiare il mercato” aveva affermato D’Este nell’intervista. 

L’intenzione di Ferrero è proprio quella di espandersi nel mercato dei biscotti, che oggi in Italia rappresenta il 20% del mercato dei dolci confezionati ed è il più redditizio del settore. I Nutella Biscuits arrivano dopo il lancio del biscotto Kinder e l’annuncio di voler proporre anche in Italia i biscotti dell’azienda belga Delacre, acquisita da Ferrero tre anni fa. 

Parlamento Ue si spacca sui migranti: no ai porti aperti alle navi delle ong

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CATANIA, ITALY - MAY 10: Migrants wait to disembark The ONG Aquarius at the Port of Catania on May 10, 2018 in Catania, Italy.  The Aquarius, chartered by SOS Mediterranean and Medecins Sans Frontieres arrived this morning with 105 migrants fleeing Libya. The migrants were stranded in the central Mediterranean for nearly three days, during a bureaucratic clash between rescue charities and the British, Italian and Libyan maritime authorities. (Photo by Fabrizio Villa/Getty Images)

Il Parlamento europeo si spacca sui migranti. Con due soli voti di scarto l’Eurocamera ha respinto oggi un testo di risoluzione sulla ricerca e salvataggio dei migranti nel Mediterraneo che tra l’altro invitava gli Stati membri a mantenere i loro porti aperti alle navi delle ong. La risoluzione ha ricevuto 288 sì, 290 contrari e 36 astenuti.

La giusta decisione della Consulta e la lotta alla mafia

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Dal momento del deposito della sentenza della Corte costituzionale un migliaio di detenuti condannati all’ergastolo potranno essere valutati da un giudice ai fini della concessione di un permesso finalizzato al loro futuro reinserimento sociale, tra cui anche Filippo, entrato in carcere ventisei anni fa con la seconda elementare e laureatosi ieri magistralmente a Rebibbia in giurisprudenza.

Nulla di più, nulla di meno. Esattamente quanto desumibile dall’articolo 27, comma 3 della Costituzione, secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Nessun automatismo e nessuna scarcerazione obbligata, né immediata, né futura, solo la restituzione al giudice della possibilità di valutare l’evoluzione nella personalità del condannato ai fini del suo eventuale reinserimento sociale auspicato dalla Costituzione.

In termini giuridici, la questione è lapalissiana, e stupisce che alcuni autorevoli operatori del diritto (in verità quasi tutti appartenenti ai ranghi della pubblica accusa) abbiano potuto sostenere che la Corte avrebbe dovuto decidere altrimenti. La Corte giudica le leggi sulla base dei parametri costituzionali e ne ha tratto le dovute conseguenze.

Altro sarebbe stato se la Corte fosse stata svincolata da parametri di diritto costituzionale e avesse potuto decidere, come curiosamente quegli uomini di legge le chiedevano di fare, sulla base di presunti parametri di efficacia dell’apparato repressivo dello Stato. Allora, certo, la Corte avrebbe potuto dire che la lotta alla mafia val bene una messa, e che la Costituzione, i suoi diritti e le sue garanzie non valgono per tutti.

Ma questo non era nel potere della Corte, perché in uno Stato costituzionale di diritto i vincoli valgono per tutti, e dunque anche per i poteri costituiti, siano essi la Corte costituzionale, il Governo o autorevoli magistrati.

Chiusa la questione giuridica, si apre quella politica. E’ giusto che così sia? E’ giusto che la Costituzione limiti il potere di punire anche nei confronti di autori di gravi reati commessi in un vincolo organizzativo criminale e riconosca anche a loro un’aspettativa di reinserimento sociale?

Potrei facilmente dire di sì, sulla base della coerenza interna di una Costituzione fondata sull’universalità dei diritti della persona umana e sulla distinzione tra l’amministrazione della giustizia di uno Stato costituzionale di diritto e la mera repressione della violenza di una giustizia primordiale e vendicatoria. Ma i sostenitori dell’ergastolo ostativo sul terreno etico e dei principi non hanno piacere a muoversi.

E parliamo allora di efficacia: qualcuno davvero crede che le organizzazioni criminali si battano attraverso l’eliminazione dal consesso civile di coloro che ne hanno fatto parte? Davvero qualcuno pensa che la mafia viene sconfitta dagli anni di carcere e dal simulacro di qualche capomafia che muore in galera? Dunque è solo questo la mafia? Un esercito di malfattori e criminali da reprimere militarmente?

Non è un potere talvolta antagonista e talvolta colluso a quelli pubblici e privati, che produce economia, società e cultura, da tempo non più solo nel Mezzogiorno d’Italia?

E il contrasto a questo potere autoritario e paternalista non dovrebbe essere proprio quel progetto costituzionale di integrazione e sviluppo sociale fondato sui diritti di tutti e in modo particolare dei più deboli e derelitti, quelli che finiscono per fare le braccia e la carne da macello delle organizzazioni criminali?

Non è in quest’altro modo che si contrasta il condizionamento e il consenso della criminalità organizzata in interi territori e dentro il sistema economico, gli apparati e le funzioni pubbliche?

Nessuna di queste domande, evidentemente retoriche, intende mettere in discussione la necessità di un intervento penale, dissuasivo e punitivo, dei grandi e gravi delitti commessi dalle organizzazioni criminali, ma – come ci ricordava all’indomani dell’analoga sentenza della Corte europea dei diritti umani Emanuele Macaluso - credere che la mafia si sconfigga così, con la bandiera della repressione e l’esibizione dei condannati a vita, è un immiserimento di una lunga storia di mobilitazione civile che ha segnato tanta parte del Mezzogiorno d’Italia, dalla occupazione delle terre al riscatto dei beni illeciti, su cui speriamo che il movimento antimafia voglia cominciare a interrogarsi.

Salvini, l'avversario perfetto (o il perfetto alibi del centrosinistra)

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Ci risiamo. La sinistra, o quel che ne resta del Novecento cerca ancora un nemico, un avversario totalizzante verso cui scagliare gli strali peggiori e indirizzare le proprie debolezze, come in un gioco di specchi freudiano.

È successo nel 1948, ma allora c’erano la Democrazia cristiana e il Partito comunista e Socialista, con classi dirigenti pensanti e pesanti. L’irruenza di Matteo Salvini, la sua capacità di stare sul palcoscenico politico sia dal governo che dall’opposizione ha dicotomizzato, ancora una volta, l’elettorato italiano.

Facilitando lo schema, perdente, della Sinistra o meglio del centro-sinistra. Un insieme indistinto e indistinguibile che pretende di immolarsi per salvare la Carta costituzionale, la democrazia (addirittura) dagli strali strampalati del senatore di Locri Epizephiri. Un raggruppamento assembleare per fare cosa non si capisce bene, in assenza di programma, un insieme di orfani in cerca d’autore, sebbene, ça va sans dire, persone in gamba ce ne siano, benché rappresentino una sparuta minoranza senza influenza.

Ma Salvini salva il centro-sinistra. È il bene rifugio per il lungo periodo di crisi, passato e futuro. Manca l’analisi; e quella poca che c’è è fuori fuoco, oppure rimane eco, sottofondo, brusio. La classe dirigente del centro-sinistra non conosce e non si riconosce nel Paese che governa, e che ha governato per 8 anni negli ultimi 10. Sconta la debolezza culturale e intellettuale (altro che egemonia), attestata com’è sullo schema del Novecento, che pure aveva un valore euristico, ma senza aggiornarlo. Mancanza di coraggio, di visione, di revisione, di ambizione (declinata in negativo, carrierismo o leaderismo), di volontà di cambiare in profondità la società, le contraddizioni, la diseguaglianza. Che è poi il tema centrale.

Il riflesso, di matrice comunista ortodossa mai elaborato fino in fondo, è la chiusura, la paura del “diverso”, dell’alieno, del nuovo, del futuro, dell’incertezza, che è la quintessenza della società umana. Salvini, come Nanni Moretti (mutatis mutandis), sostiene che con “questa sinistra” governerà per altri 30 anni.

È esattamente il contrario, con Salvini come spauracchio un ceto politico mediocre rimarrà ancorato non solo a un passato mitizzato, ma a un futuro senza speranze di dispiegare effetti politici. Salvini è un perfetto alibi, Salvini è il diamante (pardon) che garantisce transazioni in periodi di magra e di guerra civile, la casamatta per pavidi burocrati vagamenti brezneviani, Salvini è garanzia di restare in sella.

L’avversario perfetto, come del resto lo fu l’amato Silvio Berlusconi, che permise a incerti politici di lucrare sull’opposizione schmittiana “amico-nemico”, ricattando milioni di elettori affinché votassero per evitare le déluge, la fine del mondo civilizzato, l’arrivo dei barbari.

Funzionò per mascherare la pochezza. Ma il mascheramento è quasi finito nel 2013 quando un gruppo di ragazzotti senza troppe letture si è affacciato sulla scena politica. Anziché sfidare il Movimento 5 stelle, traendone anche linfa ed eventuali spunti di riflessione, il centro-sinistra è passato dalla demonizzazione spocchiosa alla esaltazione acritica del populismo di stile sud-americano.

Del resto, gli intellettuali, prima forse troppo pensosi e organici, ma certamente utili a comprendere i fenomeni sociali e politici, sono stati scacciati come appestati dal Tempio (ormai in rovina), e/o si sono ritirati a vita (de)privata. Sono stati sostituiti da altrettanto arguti scrittori di gialli, filosofi fuori tempo e fuori linea, strali da osteria, ma vicini “al popolo”.

Ci sarebbe da balzare sulla sedia, se non fosse patetico e ridicolo, ascoltare le tante Alice nel paese delle meraviglie destarsi e distrarsi avendo scoperto ieri l’altro che Salvini e Meloni sono vicini a CasaPound, che il centro-destra è a trazione estremista, che Berlusconi è ammaliato dalle sirene del centro-destra d’antan. Benvenuti.

Dunque, se la dualità amico-nemico è cruciale in politica, per il centro-sinistra rimane l’unico collante, l’unica alternativa, per evitare di mostrare le nudità del monarca. Per scoprire, come direbbe Gaber, che era “un uomo dell’Ottocento”.

Si spiegano così i corteggiamenti di Renzi e Zingaretti che senza avversario sarebbero costretti a dire di più, soprattutto meglio. È cruciale dunque tenere in vita politica Salvini. Que viva Matteo! Hasta siempre capitano.


Ocasio-Cortez incalza, Zuckerberg balbetta. "Cambridge Analytica è uno scandalo e lei non sa rispondere?"

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Mark Zuckerberg è stato messo sotto torchio dal Congresso statunitense in una seduta che doveva essere dedicata a Libra, la moneta virtuale ideata dal fondatore di Facebook. Ma non è andata esattamente in questo modo. Infatti il Ceo di Facebook è stato interrogato con decisione e messo in evidente difficoltà dalla deputata Alexandria Ocasio-Cortez sul caso Cambridge Analytica.

“Per poter prendere decisioni su Libra, penso che dobbiamo scavare nel comportamento del tuo passato e nel passato di Facebook”, ha detto la deputata di New York prima di chiedere a Zuckerberg quando aveva appreso per la prima volta delle operazioni riguardanti Cambridge Analytica.

Zuckerberg, insieme ad altri dirigenti di Facebook, avevano infatti rifiutato - in un primo momento - di fornire qualsiasi informazione dopo aver scoperto che un’altra società stava raccogliendo e vendendo i dati degli utenti per manipolare il risultato delle elezioni statunitensi. In realtà è già stato verificato che i dirigenti di Facebook erano a conoscenza della vendita impropria dei dati già nel settembre del 2015.

Il Ceo di Facebook ha dichiarato comunque di essere venuto a conoscenza di Cambridge Analytica solo a marzo 2018, cioè nel periodo in cui la questione è diventata di dominio pubblico. “Penso di essere stato a conoscenza di Cambridge Analytica come entità, ma non so come si stava monitorando il modo in cui utilizzava Facebook nello specifico”, ha affermato. 

A questo punto dell’audizione del Congresso il clima si è surriscaldato, con Ocasio-Cortez che a continuato a chiedere spiegazioni a Zuckerberg sulle politiche dei contenuti di Facebook, in particolare sulla sponsorizzazione ingannevole in materia elettorale.

Zuckerberg ha quindi risposto, specificando che Facebook supporta la rimozione di contenuti in caso di violenza, censimento o soppressione degli elettori. Non ha risposto invece sul fatto che la sua società avrebbe messo “in chiaro” bugie oltre che pubblicità politiche illecite.

Questo mese Facebook ha rifiutato di pubblicare un annuncio sulla campagna di Trump che includeva una rappresentazione fuorviante del lavoro dell’ex vicepresidente Joe Biden in Ucraina. “Vede, qua c’è un potenziale problema a causa di una completa mancanza di controllo sugli annunci politici?”, ha chiesto decisa Ocasio-Cortez.

La politica democratica ha anche chiesto a Zuckerberg di riferire sulle presunte cene con esponenti della destra popolare. Una domanda, quella di Ocasio-Cortez, alla quale il CEO di Facebook - in evidente difficoltà e balbettando spesso - non ha saputo rispondere. 

Ultimo Direttivo Bce per Mario Draghi: "La mia eredità? Non mollare mai"

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L’ultimo messaggio di Mario Draghi da presidente della Bce è “Never give up”, “non mollare mai”. Tassi e strategia non cambiano con l’ultimo Consiglio direttivo della Bce per Mario Draghi, che dal 1° novembre consegna il testimone della presidenza a Christine Lagarde, presente alla riunione. “Non c’è bisogno di consigli. lei sa perfettamente quello che deve fare e comunque ha un lungo periodo davanti a sé in cui potrà formare la sua visione, insieme al consiglio direttivo, su che cosa fare” dice Draghi in conferenza stampa. “Come mi sento? Mi sento come una persona che ha cercato di rispettare il mandato nel modo migliore possibile. Questo è parte della nostra eredità: non mollare mai”. 

 

 

Draghi difende le scelte adottate a settembre dalle critiche interne ed esterne: “purtroppo tutto ciò che è accaduto dalla decisione di politica monetaria di settembre ha mostrato abbondantemente che la nostra determinazione ad agire tempestivamente era giustificata”. La cassetta degli attrezzi è pronta, da settembre tutti gli strumenti sono stati messi sul tavolo, ma la Bce è anche pronta a modificare in corsa tutti gli strumenti monetari a sua disposizione. Non basta. Dinanzi a un’economia dell’Eurozona su cui ancora pesa la prolungata incertezza - “Il rischio principale è la recessione dell’economia, che sia globale o dell’Eurozona” - Draghi esorta nuovamente i Governi a intervenire: chi come la Germania “ha spazio di manovra di bilancio deve agire in modo efficace e tempestivo”, chi ha alto debito deve procedere a una politica “prudente” e all’attuazione delle riforme strutturali.

Tracciando un bilancio della strategia messa in campo durante la sua gestione, Draghi ha detto che “il giudizio complessivo sui tassi negativi è positivo. I miglioramenti dell’economia hanno più che bilanciato gli effetti indesiderati”. Il presidente minimizza gli scontri dentro il board di Eurotower: “Tutti discutono, ci sono divergenze nelle discussione sulle decisioni di politica monetaria e non è stata la prima volta” che non c’è stata unanimità nel Consiglio Direttivo, ha detto , commentando le uscite pubbliche di membri del Consiglio contrari alle scelte adottate nella riunione di settembre. Non teme quindi che queste divergenze possano intaccare la sua eredità: “Francamente, no, non sono stato sorpreso” replica Draghi alla domanda sulle sortite pubbliche del presidente della Bundesbank o della banca centrale olandese contro il pacchetto di misure.

In un comunicato, Eurotower rende noto di aver lasciato i tassi d’interesse invariati: il tasso principale resta fermo allo zero, quello sui prestiti marginali allo 0,25% e quello sui depositi a -0,50%. Conferme anche sul fronte della forward guidance, come stabilito a settembre, sparisce il riferimento a una scadenza temporale precisa. “Il consiglio direttivo - si legge nel comunicato - si aspetta ora che i tassi di interesse chiave della Bce rimangano all’attuale livello o più bassi finché le prospettive di inflazione non convergeranno robustamente su un livello sufficientemente vicino, ma al di sotto, del 2% e tale convergenza non sia consistentemente riflesse nelle dinamiche inflazionistiche sottostanti”. La Bce ribadisce inoltre il riavvio del Quantitative Easing da 20 miliardi di euro al mese a partire dal mese di novembre, inizio della gestione Lagarde. Come deciso nella scorsa riunione del Consiglio direttivo, tenuta a settembre, gli acquisti netti riprenderanno nell’ambito del programma di acquisto di attività  del Consiglio direttivo a un ritmo mensile di 20 miliardi di euro a partire dal primo novembre, scrive la Bce nella nota, aggiungendo che il Consiglio direttivo si attende che gli acquisti “proseguiranno finché necessario a rafforzare l’impatto di accomodamento dei suoi tassi di riferimento e che termineranno poco prima che inizierà a innalzare i tassi di riferimento della Bce”.

 

M5S affossa la risoluzione pro-Ong a Strasburgo

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Non è passata per soli 2 voti, in aula a Strasburgo, la risoluzione di ‘Socialisti&Democratici’, Liberali (Renew Europe), Verdi e sinistra del Gue che chiedeva, tra le altre cose, porti aperti alle ong che soccorrono migranti in mare e si esprimeva contro la criminalizzazione delle ong. Bocciata con 290 no contro 288 sì, 36 gli astenuti tra i quali anche i 14 del Movimento cinquestelle che avevano prima assicurato il loro sostegno dopo aver presentato un emendamento anti-Carola Rackete, la capitana tedesca che a giugno, senza autorizzazione allo sbarco, ha condotto in porto a Lampedusa la nave Sea Watch con 53 migranti a bordo. Caduto il loro emendamento, si sono sfilati.

Dice l’eurodeputata 5s Laura Ferrara: “Avevamo presentato degli emendamenti che restituivano concretezza e ambizione ad un testo altrimenti vago e polarizzato. Questi emendamenti non hanno trovato il sostegno della maggioranza, da qui la nostra astensione”.

I fatti stanno così: la risoluzione su ‘Ricerca e soccorso’ nel Mediterraneo era stata approvata in Commissione Libe da tutti i gruppi progressisti. Ma il Movimento aveva offerto il proprio sostegno a patto che fosse approvato un emendamento che chiedeva porti aperti nel rispetto delle “convenzioni internazionali e di tutte le norme applicabili”. Una formula vaga che ieri l’eurodeputata pentastellata Ferrara spiegava in questi termini davanti alle tv e alla stampa italiana a Strasburgo: “Vogliamo rifarci a quelle che sono le normative internazionali in materia, le convenzioni internazionali e le leggi nazionali applicabili ai diversi casi. Questo è ciò che deve rappresentare la bussola per le operazioni di sbarco”.

“Leggi nazionali”. Dunque anche le leggi sulla sicurezza di Salvini. Di fatto un emendamento anti-Carola, per impedire altri casi come quello della Sea Watch che, dopo oltre due settimane di mare aperto con 53 migranti a bordo, ha potuto sbarcare a Lampedusa per la decisione ferma della Capitana Rackete di sfidare i divieti di Salvini. Non è una forzatura giornalistica: è nelle cose, almeno per come le ha spiegate ieri Ferrara.

Diversa, se non opposta, l’interpretazione dei socialisti e dei Verdi che pure avevano firmato l’emendamento M5s. “Per noi il riferimento è soltanto alle convenzioni internazionali e non alle leggi di Salvini, che non appoggiamo assolutamente”, ci diceva ieri la Verde tedesca Alexandra Geese, stranita dalle dichiarazioni di Ferrara. Così anche il Dem Pierfrancesco Majorino: “E’ questa l’interpretazione corretta: nel rispetto delle convenzioni internazionali e basta”.

Polemica di ieri sera: oggi l’emendamento in questione non è stato messo ai voti. E’ caduto perché i Liberali ne hanno presentato un altro che chiedeva l’apertura dei porti “alle navi delle ong che hanno effettuato operazioni di salvataggio e intendono far sbarcare i passeggeri”. Stop. Questo emendamento è passato.

Ma a questo punto per il M5s l’accordo non c’era più. Perché volevano la specifica “tutte le norme applicabili”, che per i pentastellati significa, come ha spiegato ieri Ferrara: anche le leggi di Salvini, ancora in vigore. E’ la dimostrazione che davvero l’intento era quello di presentare un emendamento anti-Carola, a 20 giorni esatti dall’acclamazione di Rackete all’Europarlamento. Ospite in Commissione Libe il 3 ottobre scorso, la ‘Capitana’ della Sea Watch ha incassato una standing ovation di tutti i progressisti, sembrava l’eroina internazionale. Ricordi del passato, visto che oggi l’aula ha bocciato la risoluzione pro-ong e gli eurodeputati del M5s si sono sfilati.

C’è da dire che sono mancati anche alcuni voti nel gruppo S&d, socialisti dell’est. E che fin dall’inizio il destino della risoluzione appariva incerto: il Ppe non l’ha sostenuta, tanto meno i Conservatori e riformisti e i sovranisti di Identità e democrazia. Ma determinanti sono stati i 14 astenuti del Movimento: eppure ieri sera dicevano che l’emendamento anti-Carola è una “invenzione giornalistica”. Invece ci tenevano così tanto che hanno fatto saltare tutto.

L'annuncio di Speranza: "60 milioni a 6 officine per produrre Car-t contro i tumori"

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CAR T cell cancer immunotherapy, illustration

Le terapie Car-t sono “un segmento strategico su cui il governo ha deciso di investire 60 milioni di euro, prevedendo 10 milioni per ogni officina farmaceutica”, ovvero laboratori ad altissima tecnologia in cui vengono modificate le cellule immunitarie del paziente contro i tumori. Lo ha annunciato il ministro della Salute Roberto Speranza nel suo intervento davanti alle commissioni riunite Igiene e Sanità del Senato e Affari sociali della Camera sulle linee programmatiche del suo ministero.

Una decisione che è, nei fatti, una conferma di quanto già deciso dall’ex ministra Giulia Grillo, che nel Programma di investimenti in Edilizia sanitaria aveva previsto lo stanziamento di 60 milioni di euro per il finanziamento di sei officine farmaceutiche, come riportato da HuffPost nell’inchiesta sulla via italiana alle Car-t.

Speranza ha dunque confermato l’impegno del ministero della Salute “nella predisposizione e attuazione del progetto Italia Car-T Cell per individuare le officine farmaceutiche, nell’ambito delle strutture ospedaliere, in grado di produrre le terapie geniche”. Le sei officine farmaceutiche - ha aggiunto il ministro - “verranno individuate con un decreto ministeriale e con la Conferenza Stato-Regioni. A tal fine è in corso con le Regioni un confronto, per selezionare le strutture ospedaliere dove allocare gli investimenti avendo cura di garantire una distribuzione territoriale equa”.

La scelta dei centri destinati a realizzare questa forma avanzata di immunoterapia è fondamentale. A mettere in guardia sul rischio di disperdere le risorse è il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri. “Per le terapie innovative troveremo finanziamenti e le renderemo sostenibili e soprattutto accessibili a tutti coloro che ne hanno bisogno, purché non si generino dispersioni con centri che nascono come ‘funghi’ ma che poi non sono in grado di portare a termine i risultati”, ha detto intervenendo oggi al ministero alla presentazione del secondo report italiano sulle Atmp-Advanced Therapy Medicinal Products. “Serve un’adeguata locazione dei soldi - ha proseguito Sileri - nel senso che bisogna dare i soldi solamente a quei centri che sono in grado di produrre ricerca di livello e risultati. Questo per i pazienti significa garanzia che in quei centri possono ottenere il miglior trattamento”.

Le terapie Car-T sono una strategia immunoterapica di ultimissima generazione che utilizza i globuli bianchi prelevati dal paziente e appositamente ingegnerizzati per attivare il sistema immunitario; una volta reinfusi, entrano nel circolo sanguigno e sono in grado di riconoscere ed eliminare le cellule tumorali. Recentemente la terapia - sviluppata negli Usa e brevettata sotto forma di due farmaci dai giganti Novartis e Gilead – è stata approvata anche in Italia, con il via libera da parte dell’Aifa alla rimborsabilità di Kymriah, farmaco prodotto dalla Novartis.  Prezzo del trattamento per un singolo paziente: 320mila euro.

Per ora, la terapia è stata approvata per due tipi di tumori: linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) resistente alle altre terapie o che sia ricomparso dopo una risposta ai trattamenti standard, e leucemia linfoblastica acuta (LLA) a cellule B in pazienti fino ai 25 anni d’età. Recenti studi suggeriscono però l’efficacia delle Car-T anche su altri tumori, compresi quelli solidi.

L’Italia è uno dei Paesi più all’avanguardia dal punto di vista della ricerca sulle Car-T. Proprio per far tesoro di questa expertise - oltre che per delineare un percorso di sostenibilità economica per il futuro - la Commissione Cultura della Camera ha istituito con un decreto dell′11 marzo 2019 il Gruppo di Progetto Italia Car-T cells. Coordinatore scientifico: Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Onco–Ematologia e Terapia Cellulare e Genica dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, massimo esperto italiano della terapia.

“Le Car-T sono un settore terapeutico dalle potenzialità enormi e il nostro Paese è pioniere in questo tipo di trattamenti. Con i 60 milioni di euro previsti per le sei officine farmaceutiche che produrranno Car-T arriva ossigeno per queste terapie”, ha detto oggi Speranza. Fin qui, niente di nuovo. Ora si tratterà di monitorare sviluppi e tempistiche della via italiana alle Car-T, ben sapendo che i 60 milioni di euro decisi dalla Grillo e annunciati/confermati da Speranza non possono essere che un inizio.

Torna l'ora solare: lancette indietro di un'ora nella notte tra sabato e domenica

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Le giornate si accorciano, ma si dorme un’ora in più: nella notte tra sabato 26 e domenica 27 ottobre è previsto il consueto passaggio dall’ora legale all’ora solare, che segna l’ingresso nei mesi più freddi dell’anno. Lancette indietro dalle 3 alle 2: una vera e propria manna dal cielo per chi brama un po’ di riposo in più. Il buio in anticipo, però, può anche dare fastidio a qualcuno: si pone, infatti, come una specie di piccolo jet lag.

A farne le spese sono soprattutto le fasce più deboli della popolazione, quindi anziani e bambini. Tra i principali effetti del ritorno all’ora solare: cambi d’umore, insonnia e depressione. L’incidenza del cambiamento è soprattutto sulle abitudini. Perché chi è abituato a vivere da “allodola”, a svegliarsi al mattino e a partire con sprint, dovrà faticare di più, rispetto a chi invece è un nottambulo.

La vita da “gufo”, infatti, che porta molti ad allungare le giornate anche nei momenti in cui cala il sole e a trovare l’energia nella notte è favorita dal ritorno dell’ora solare che accorcia le ore diurne e allunga quelle di “buio”. Come riuscire a combattere questi piccoli traumi che possono protrarsi anche per una settimana? La prima cosa da fare è non farsi prendere da inutili paranoie: rilassarsi, coccolarsi e scandire la giornata sono i modi migliore per non risentire troppo del piccolo “shock”. Pian piano tutto tornerà “naturale”, in attesa del prossimo switch.

 

La gaffe di Trump: "Faremo un muro in Colorado". Ma lo stato non confina con il Messico

'''Sole' racconta il dramma delle adozioni illegali con la storia d'amore di due anime sole"

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Cosa si prova a posare lo sguardo su una creatura appena nata di cui ti devi prendere cura, di cui ti senti responsabile? Il primo lugometraggio di Carlo Sironi - “Sole”, in uscita nelle sale il 24 ottobre - esplora un universo di sentimenti, emozioni, fragilità e sofferenze legate a una genitorialità insolita e difficile, quella delle false adozioni. Prova a rispondere alla domanda, e lascia aperto il quesito.

Ermanno (Claudio Segaluscio) è un ragazzo che passa i suoi giorni fra slot machine e piccoli furti. Lena (Sandra Drzymalska) arriva in Italia dalla Polonia per vendere la bambina che porta in grembo e poter iniziare così una nuova vita. Ermanno deve fingere di essere il padre della bambina per permettere a suo zio e alla moglie, che non possono avere figli, di ottenere l’affidamento attraverso un’adozione fra parenti. Nell’attesa che la bambina venga al mondo cresce un legame inatteso tra i due ragazzi.

Una storia d’amore, di un’attrazione magnetica che sta facendo il giro del mondo, raccogliendo l’entusiasmo e i premi della critica. “Spero venga amato anche dal pubblico italiano”, ci dice il regista Sironi, alla vigilia del debutto nelle sale, “C’è questo pregiudizio in base al quale il cinema d’autore non s’interessi alla risposta del pubblico italiano, ma solo alla critica. Non è vero. Per me è importante toccare anche persone che sono meno cinefile e far capire loro che il cinema è un viaggio percettivo meraviglioso”.

È il tuo primo lungometraggio, ma non sei solo regista. In questo film partecipi al soggetto e alla sceneggiatura. Quando hai iniziato a lavorare a questa storia?

L’idea è nata da una ricerca che stavo facendo per un cortometraggio.  Documentandomi sulle leggi delle adozioni ho capito che questo meccanismo di vendita era possibile e mi sono documentato con la presidentessa del Tribunale dei minori. Da subito io e la sceneggiatrice Giulia Moriggi ci siamo detti che il punto di vista interessante attraverso il quale raccontare questa storia era quella della persona che si deve fingere padre. E nel fingere, in questo viaggio emotivo, arriva a diventarlo effettivamente.

Tu non sei padre. A che rapporto ti sei ispirato per la scrittura del personaggio?

In realtà è stato più facile vestire i panni emotivi di Ermanno non avendo un figlio. Se fossi padre forse sarebbe stato più difficile fare delle scelte adottate nel film. 

La genitorialità è raccontata attraverso una storia difficile: le false adozioni.

Volevo porre domande su un terreno molto complesso, ma allo stesso non prendere una posizione. Per me è importante che rimanga il dubbio se, nonostante noi parteggiamo per Ermanno e Lena, questa figlia stia effettivamente meglio con loro oppure con la coppia che ha pagato un’adozione illegale.

Quando si tratta cinematograficamente questi argomenti, il punto di vista di solito è femminile: la madre che dà alla luce, la madre che crescerà il bimbo. Qui invece entra in scena un elemento quasi inedito: il padre in affitto.

Mi sembrava interessante sfatare il cliché che gli uomini diventano padri solamente quando il bambino è proprio, quando c’è una relazione attiva. Volevo raccontare di un ragazzino che diventa padre di un figlio che non è neanche biologicamente suo. Ma anche se raccontiamo il viaggio di Ermanno, il cuore del film è lei, è Lena. Per questo per me prima di scegliere che tipo di atmosfera volessi dare, era fondamentale individuare l’attrice. Nel momento in cui ho trovato Sandra Drzymalska ho capito. Sandra ha questa presenza leggera, un po’ infantile, quasi fantasmatica. Una sceneggiatura che sulla carta era dura, drammatica, forte, con lei ottiene un tono tenero, delicato, quasi a contrasto. Perché alla fine è una storia d’amore, un’attrazione magnetica.

L’attrice che interpreta Lena è polacca, ma non è un volto noto in Italia. Porti a battesimo cinematografico il protagonista, per la prima volta su un set in questo film. È stata una scelta voluta non avere personalità già connotate?

Da un lato sì, avevo voglia di fare delle scoperte. Volevo che per il pubblico fossero Ermanno e Lena, prima che degli attori. Cercavamo personalità magnetiche, perché il film sono loro due. Su Ermanno avevo fin da subito l’idea che non fosse professionista e molto giovane. Claudio l’abbiamo trovato a scuola, all’Istituto tecnico che frequenta. Era identico a come lo immaginavo nei lineamenti. E aveva questo dolore negli occhi,  questa tenerezza: le caratteristiche principe del personaggio.

Lena è polacca e non conosce l’italiano, sul set parlavate in inglese, ma Claudio non parla inglese. Se non quando battevi il chat, i due protagonisti non erano in grado di comunicare tra loro. I loro unici discorsi prendevano forma attraverso la tua sceneggiatura. Cosa ha dato al film?

Per comunicare tra loro, trovavano questo modo molto goffo, a gesti. Forse questa cosa ha giovato. Perché alla fine ogni parola era calibrata, non era condivisa. Era fresca. 

La musica non è invasiva. C’è spazio per i silenzi, i rumori ambientali. 

Spesso al cinema la solitudine viene mostrata in maniera metaforica, con un’immagine. Invece la solitudine è una cosa reale, concreta: non è un’idea. Volevo farla sentire davvero. E per quello c’è bisogno di avere dei tempi particolari. Era importante che lo spettatore la sentisse, non solo la capisse. Io non volevo musiche di commento preciso ed emotivo. Ho lavorato con una compositrice polacca che ha composto le musiche originali del film: abbiamo lavorato per ottenere una litania elettronica, come i rumori delle slot.

È il tuo primo lungometraggio, ma tu, come figlio d’arte, hai respirato cinema sin da quando sei nato. È stata una scelta naturale quella di mettersi dietro una camera da presa?

Ho incominciato ad amare il cinema molto giovane. Quando sei bambino non ti rendi conto che non è la normalità guardare Charlie Chaplin a 9 anni. Ma forse anche in virtù del fatto che mio padre era regista, era difficile dirmi di voler fare il suo stesso mestiere. Ho iniziato lavorando nel reparto fotografia. Dopo qualche anno, ho capito che volevo raccontare delle storie. È una cosa che è arrivata molo tardi tutto sommato.


"Ci obbligava a sederci sulle sue ginocchia alle riunioni": sotto accusa il tycoon inglese Lawrence Jones

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Avrebbe obbligato le sue dipendenti a sedersi sulle sue ginocchia durante le riunioni di lavoro e si sarebbe aggirato a torso nudo in ufficio: sono queste alcune delle accuse che sono state mosse a Lawrence Jones, tycoon del settore tecnologico, che ha fondato e gestisce la società di cloud computing UKFast, con sede a Manchester. Il 51enne britannico, uno degli uomini più ricchi del Regno Unito, è ora al centro di un’inchiesta del Financial Times: due donne lo hanno infatti accusato di averle molestate sessualmente sul posto di lavoro. 

La vicenda ha fatto scalpore anche perché UKFast è stata da poco dichiarata dal Sunday Times uno dei posti migliori al mondo in cui lavorare: non soltanto gli uffici sono dotati delle più disparate comodità, ma ai dipendenti vengono concessi irresistibili benefit, come quello del pisolino da schiacciare o giornate extra di ferie. L’azienda è stata anche premiata a più riprese dalla regina.

Eppure proprio in questo luogo così “idilliaco” si sarebbero consumate le molestie: Lawrence - che chiede di essere chiamato «Loz» o «LJ» – avrebbe fatto sgradevoli richieste alle sue dipendenti, come quella di sedersi sulle sue ginocchia. Ma non solo: avrebbe portato la segretaria, appena assunta, in un negozio di sex toys e avrebbe molestato una donna nel suo lussuoso chalet in svizzera. Gli episodi di bullismo poi non si contano: sono almeno trenta i dipendenti che, sotto anonimato, avrebbero confermato le accuse ai giornalisti.

Sebbene abbia replicato con sufficienza alle accuse, Jones rischia di veder intaccata la sua immagine “perfetta” di marito e padre di quattro figli, in buoni rapporti con Richard Branson e la famiglia reale inglese. E di veder intaccata anche la reputazione dell’azienda che attualmente conta 400 dipendenti e che, almeno in apparenza, sembra un paradiso fatto di scivoli giganti, che portano dall’ultimo piano alla hall, con una mega-scacchiera e addirittura una pista di pattinaggio montata d’inverno nel parcheggio.

Il giornale tedesco rivuole l'elmetto prussiano che gli regalò nel 2012, ma Draghi: "Credo che me lo tengo"

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draghi

“Come dice un proverbio tedesco ‘Un dono è un dono’ per cui penso di tenermelo”. Così il presidente della Bce Mario Draghi in conferenza stampa risponde ironicamente a una domanda sul famoso elmetto prussiano che gli fu donato al suo arrivo a Francoforte dal direttore del tabloid tedesco Bild, all’epoca entusiasta per il piglio “prussiano” di Draghi e oggi capofila dei media tedeschi contro il banchiere centrale italiano, reo di aver preso di mira i “risparmiatori tedeschi”.

 

 

Il riferimento di Draghi è al dono fatto dal tabloid tedesco Bild al Governatore della Bce al suo arrivo a Francoforte: un elmetto prussiano del 1871, un Pickelhaube. Dietro la scelta del modello prussiano, come riporta oggi la Bild, era il “simbolo della missione principale Bce: mantenere la stabilità dei preszi e proteggere i risparmiatori”. 

Tuttavia la politica espansiva dell’Eurotower, i tassi bassi e il ricorso al bazooka non è mai piaciuto in Germania, com’è noto. E oggi il tabloid torna a chiedere la restituzione del dono: “Draghi oggi significa l’espropriazione per milioni di risparmiatori (tedeschi) attraverso la sua politica infinita di tassi d’interesse negativi. ‘Draghila’ ha svuotato i nostri conti: i risparmiatori tedeschi hanno perso sotto la guida Bce dell’elegante italiano 120 miliardi di euro di potere d’acquisto reale”.

Per questo motivo il tabloid titola a caratteri cubitali: “Rivogliamo il nostro elmetto”. Ma Draghi, citando un proverbio tedesco, ha replicato oggi in conferenza stampa al termine del suo ultimo consiglio direttivo: “Un regalo è un regalo”. E quindi ha aggiunto: “Credo che lo terrò”. 

Morto a 104 anni l'uomo più vecchio del mondo. Il suo segreto di longevità era un dolce al burro

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Gustav Gerneth con la sua torta preferita

A 104 anni è morto l’uomo più vecchio del mondo. Gustav Gerneth, nato in Polonia nel 1905, viveva a Havelberg, il piccolo borgo a ovest di Berlino. Come riporta il quotidiano tedesco Volksstimme, nel 2016 era diventato l’uomo più anziano della Germania. E dopo la scomparsa a gennaio del 2019 del giapponese Masazo Nonaka, aveva conquistato il “titolo” mondiale.

Negli ultimi tempi aveva perso gran parte della sua mobilità ed era costretto a letto. Non rinunciava mai, però, al suo dolce preferito: il Frankfurter Kranz, un ciambellone tipico della tradizione tedesca, fatto quasi completamente di burro. Per Gustav era il suo segreto di longevità: “Nessuna dieta, sempre burro, e non margarina. Mai una sigaretta, e alcol solo nei giorni di festa”, ripeteva a chiunque gli chiedesse come poter superare la soglia dei 100 anni. 

Fino al suo pensionamento nel 1972, ha lavorato a Havelberg nella fabbrica di gas. Era un meccanico di aereo e di bordo. Ha affrontato due guerre mondiali ed è stato prigioniero di guerra per tre anni in un campo sovietico. Da 31 anni viveva senza sua moglie Charlotte, conosciuta nel 1930. E senza due dei suoi tre figli, morti prima del papà. 

Chi era Luca Sacchi, il ragazzo ucciso a Roma mentre difendeva la ragazza. Personal trainer, alto e buono

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Amava la palestra e le moto. Si era diplomato al liceo scientifico Kennedy di Roma e lavorava come personal trainer. Luca Sacchi aveva appena 24 anni. “Era alto e buono”, dicono di lui i vicini di casa, tra le lacrime. Era. Luca è morto a Roma mentre difendeva Anastasia, la sua fidanzata, durante una rapina in strada alla Caffarella, colpito da un proiettile in testa.

Di legittima difesa, più volte parlava sui suoi profili social. 

Si legge sul Messaggero:  

A gennaio del 2016 Luca condivide un video di un anziano picchiato e ferito dagli aggressori durante una rapina in una tabaccheria e scrive: “A voi buonisti, pensate se questo fosse stato vostro nonno”. 

″È stata peggio di un’esecuzione. Sparare un colpo alla testa a bruciapelo, uccidere per uno zainetto è assurdo. È una tragedia enorme”, dicono gli amici. C’è grande dolore davanti all’ingresso del pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni. “Conoscevo Luca da quando era piccolo - racconta il papà di un amico storico del 24enne - è cresciuto con mio figlio. Quando abbiamo saputo ci siamo precipitati qui. Non ho avuto il coraggio di guardare negli occhi la madre”. Immagino il dolore della madre. Pensare che un figlio esca di casa per andare in un pub con la ragazza e non vederlo tornare più è una cosa terribile”, ha proseguito il papà di uno storico amico della vittima. In lacrime alcuni amici che conoscono da tempo Luca e Anastasia. “Stanno insieme da qualche anno - racconta un amico - Anastasia è sconvolta. Le hanno ucciso l’uomo della sua vita davanti agli occhi”.

 

Passa col rosso e scatena un incidente. Ma salva una famiglia che attraversa la strada (VIDEO)

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