“Mario Draghi lascia a Christine Lagarde una eredità estremamente positiva. Gli otto anni della sua presidenza hanno mostrato che la Bce ha arricchito enormemente gli strumenti di intervento di politica monetaria. È nata come una banca centrale con assetto istituzionale restrittivo, dovendo rappresentare molti Paesi con diverse politiche fiscali nazionali, e con vincoli molto stringenti in termini di interventi che normalmente sarebbero scontati per una banca centrale (ovvero l’acquisto di titoli di stato sul mercato secondario)”. A parlare è l’economista e Direttore della LUISS School of European Political Economy Marcello Messori, nel giorno dell’ultimo consiglio direttivo di Mario Draghi come presidente della Banca Centrale Europea. “Ecco, pur rimanendo nei confini, seppur fluidi, della politica monetaria e senza invasioni di campo, Draghi è riuscito ad ampliarne gli strumenti. Tutti i Paesi dell’Eurozona devono essere grati a Draghi per come ha trasformato la Bce”.
Ci sono anche nei, però, negli otto anni di Draghi. Partiamo da quello che molti ritengono centrale: il target dell’inflazione, vicina ma al di sotto del 2%, oggi molto lontano. Draghi poteva fare di più?
Domanda difficile, perché sul controfattuale ci si può sbizzarrire. I dati oggettivi ci dicono questo: la Bce, all’inizio della crisi e prima dell’era Draghi, ha reagito in modo molto più efficace della Federal Reserve. Poi però, in due occasioni della presidenza Trichet, vi è stato un aumento incongruo dei tassi di interesse: pochi mesi prima del fallimento della Lehman Brothers e pochi mesi primi del culmine della crisi dei debiti sovrani nell’area euro. Quando Draghi arriva corregge immediatamente questi aumenti e abbassa i tassi, ma nel frattempo la Fed aveva recuperato i suoi ritardi di strumentazione, e già dal 2009 aveva adottato il Quantitative Easing.
Draghi poteva lanciare prima il suo Qe?
Secondo me, e siamo nel campo delle ipotesi, no. Si era creato uno spazio per politiche molto innovative come Ltro, che ha interrotto temporaneamente il circolo infernale tra settore bancario e debiti sovrani. Ma la Bce ha potuto farlo perché si erano rafforzati i presidi di politica fiscale come il Fiscal Compact e il Six-Pack. Badi bene, l’equilibrio nell’area Euro è sempre molto delicato. Si può spingere sull’acceleratore della politica monetaria o se la situazione precipita, o se ci sono dei contrappesi. Dopodiché si possono discutere alcune scelte fatte dalla presidenza Draghi.
Quali?
Ad esempio quella dei tassi di interesse negativi. Sarei molto cauto nel dire che era necessario superare il limite del “pavimento zero”. Perché nel medio periodo inducono distorsioni, sia nella rischiosità degli investimenti finanziari, sia nei comportamento delle banche e investitori istituzionali. Si potrebbe aprire una riflessione su questo. Poi basta guardare il bilancio della Bce, dal momento che rappresenta una stima approssimata di quanta liquidità ha immesso nel sistema, per capirne le dimensioni: l’Eurotower ha aumentato in termini relativi il suo bilancio molto di più della stessa Federal Reserve. Certamente la politica monetaria è stata spinta molto avanti, questo è avvenuto in tempi dettati dal difficile equilibrio tra politiche monetarie accentrate e politiche fiscali nazionali. Però, insomma, è stato fatto.
Quanto all’inflazione?
Va notato che per tutta la vita dell’euro, l’inflazione è stata all’incirca all′1,7%, quindi vicina all’obiettivo della Bce. Poi abbiamo avuto un rischio di deflazione tra la fine del 2013 e il 2014, ma certo è che negli ultimi anni la Bce non è riuscita a raggiungere il suo target, tuttavia questo vale per molte banche centrali.
Oggi molti economisti temono che l’efficacia delle politiche monetarie sia arrivata al limite. Lei è d’accordo?
Secondo me, sì. Non credo che si possa stabilire un limite, ma certamente in una curva dell’efficacia della politica monetaria siamo ormai nel tratto in cui cresce di pochissimo. Ormai ha dato quasi tutto quello che poteva dare. Adesso è fondamentale che ci sia una articolazione diversa tra politica monetaria e politica fiscale.
Crede che la nuova presidente della Bce Christine Lagarde, su questo fronte, possa ottenere quei risultati che Draghi non è riuscito a ottenere?
Devo dire di sì, visto il profilo del nuovo presidente. Lagarde ha molta competenza, essendo anche stata ministro delle Finanze di uno dei maggiori Paesi dell’area Euro, la Francia. Lei potrà davvero spingere su questo aspetto che già Draghi ha sottolineato più volte: ormai per lasciare spazi di efficacia alla politica monetaria, quest’ultima deve combinarsi con una politica fiscale di segno diverso.
Draghi ha lanciato molti appelli ai governi dell’area euro, poteva fare di più per metterli spalle al muro?
Certo, in linea di principio poteva fare di più: se la politica monetaria non fosse stata espansiva, ci sarebbe stata una maggiore pressione sui governi. Ma attenzione: quante critiche sarebbero state rivolte a una Bce che in un momento di rottura dell’euro giocava col fuoco per mettere spalle al muro i governi Ue? Forse, ora non saremmo qui a fare questi commenti. Invece la Bce, pur rimanendo nei limiti del suo mandato, ha fatto opera di supplenza, deresponsabilizzando un po’ i Paesi membri ma credo che fosse inevitabile. Ora sarà la forza delle cose a smuoverli.
In che senso?
Guardi, per certi versi una politica monetaria espansiva combinata con una politica fiscale in certi casi neutra e in altri restrittiva ha funzionato, pur a costi sociali molto elevati, perché effettivamente la crescita è stata trainata dalle esportazioni. Ora questa fase sta subendo una battuta d’arresto estremamente severa, a causa della rottura del multilateralismo e dei dazi degli Stati Uniti. L’Europa dovrà per forza rilanciare il mercato interno e una crescita fondata sulle dinamiche interne. Sarà inevitabile.
In pratica, i responsabili delle politiche fiscali in Ue sono stati comunque messi spalle al muro, ma a posteriori...
Esattamente, e in questo caso non dalla politica monetaria ma dal contesto internazionale. Del resto, è un paradosso che la seconda area economica più grande del mondo regga la sua crescita sulle esportazioni nette. Dovrebbe crescere per una dinamica interna.
Draghi non è riuscito a scrollarsi di dosso, almeno agli occhi dei Paesi falchi in Ue come Germania e Olanda, l’immagine del banchiere italiano spendaccione.
Sono ingenerosi, anche perchè da questa combinazione di politica monetaria e politiche fiscali restrittive o neutrali, la Germania è il Paese che ha tratto il maggior giovamento, essendo un Paese più orientato alle esportazioni. Un modello di questo genere regge se c’è un traino esterno, ma se non c’è più o rallenta...
Ultima domanda. Oggi tra gli economisti è tornato prepotentemente il tema dell’helicopter money (detta volgarmente, soldi trasferiti dalla Bce direttamente ai cittadini senza passaggi intermedi per le banche ma a precise condizioni - ndr), come ulteriore strumento di intervento. Lei cosa ne pensa?
Questo è un tema al centro dell’attenzione degli economisti, ma mi sia consentito di essere un po’ scettico. Credo che quasi tutto si possa fare, ma francamente mi sembra un punto di non ritorno. Sono convinto che nella strumentazione delle banche centrali si sia raggiunto un livello di alto sfruttamento delle potenzialità e ora sia arrivato il momento di una interazioni con le politiche fiscali espansive. Detto questo non penso siano necessari né i tassi negativi né l’elicottero, due cose diverse ma che per ragioni diverse hanno impatto molto distorsivo sul funzionamento dell’economia.