Quantcast
Channel: Huffington Post Italy Athena2
Viewing all 105427 articles
Browse latest View live

Anastasia, la ragazza di Luca, ucciso a Roma per difenderla: "Gli hanno sparato davanti ai miei occhi"

$
0
0

“Anastasia è sotto shock. L’ho incontrata un attimo. Ha detto che lei era a terra e hanno sparato a Luca davanti ai suoi occhi”. A dirlo un amico di famiglia di Luca Sacchi, il ragazzo ucciso con un colpo di pistola durante una rapina a Roma.

“È sconvolta - prosegue l’amico, lasciando la terapia intensiva dell’ospedale San Giovanni - è una tragedia enorme. Luca naturalmente ha reagito quando ha visto che la fidanzata era stata colpita con una mazza alla testa ed era finita a terra. Certo non pensava che tirassero fuori la pistola”.

VIDEO - I rilievi dei carabinieri sul luogo del delitto 

 

C’è grande dolore davanti all’ingresso del pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni. ”È stata peggio di un’esecuzione”, aggiungono altri amici, “Sparare un colpo alla testa a bruciapelo, uccidere per uno zainetto è assurdo. È una tragedia enorme”. 

“Conoscevo Luca da quando era piccolo - racconta il papà di un amico storico del 24enne - è cresciuto con mio figlio. Quando abbiamo saputo ci siamo precipitati qui. Non ho avuto il coraggio di guardare negli occhi la madre”.

Luca Sacchi

Robbie Williams: "Non sono uscito di casa per tre anni per colpa dell'ansia"

$
0
0

Ha ammesso di non essere uscito da casa per tre anni per colpa di una forma di fobia sociale “estrema” e ha raccontato che, le poche volte in cui ci provava, non sapeva come comportarsi con le persone, come intrattenere una conversazione. Robbie Williams, la popstar di successi planetari come “Angels”, ha parlato delle difficoltà che ha incontrato lungo il suo percorso e che lo hanno condotto alla dipendenza. “Sapevo che se non fossi intervenuto per tempo, sarei morto”, ha affermato nel corso dell’intervista rilasciata per il programma “Wellness That Works”, a cura di WW, Weight Watchers

Ripercorrendo la sua battaglia, il cantante ha detto di essere riuscito a risollevarsi, ma con fatica: “Puoi cadere da cavallo così tante volte, ogni giorno, ogni secondo, ogni minuto, ma devi riuscire a rimetterti in sella. Solo allora la percentuale di quello che sei, di dove sei e di come avverti te stesso e la tua vita potrà salire e migliorare. Ma è un percorso difficile”.

Non deve essere stato facile per un personaggio del suo calibro, abituato al successo, ad essere riconosciuto dai fan, combattere contro la cosiddetta fobia sociale, ovvero quell’ansia che si sviluppa in contesti sociali. Nel corso dell’intervista, la popstar ha toccato anche questo argomento: “Non capivo che stavo semplicemente riempiendo i miei vuoti, non mi sentivo abbastanza. Non mi sentivo abbastanza magro, abbastanza carino, abbastanza carismatico, abbastanza divertente”. 

Nel disperato tentativo di sentirsi comunque “giusto”, Robbie Williams è ricorso ad altri espedienti fuori di sé: “Ho scoperto che l’alcool riusciva in qualche modo a riempire i miei vuoti. Poi è diventato il mio sostegno e ne sono diventato dipendente e questo ha cambiato del tutto la mia vita”. “Non riuscivo a capire quello che stava succedendo all’epoca - ha aggiunto - perché quando ci sei dentro non lo capisci mai, lo capisci soltanto dopo. Ci è voluto un tempo molto lungo (e terribile) per rimettere mano a tutto quel casino”. 

Ma c’è qualcosa che l’ha aiutato a tirarsi fuori dal caos in cui era precipitato: riuscire ad esprimere i suoi sentimenti. La società, secondo il cantante, è sempre più aperta a tematiche che concernono la salute mentale. E questo è un bene perché parlare di queste cose è l’inizio del processo di guarigione. Per lui almeno è stato così: “Oggi posso dire che la mia ‘età dell’oro’ è questa, anche se ne ho avute diverse insieme a mia moglie. Ho iniziato a sentirmi a mio agio con quello che sono e ho 45 anni, ci ho impiegato così tanto. È come se i secondi vent’anni della tua vita dovessero essere spesi a sistemare i primi venti”.

La lezione di Arrigo Sacchi: "Il nostro calcio è come l'Italia: difettiamo di cultura. E quando non c'è, si diventa pessimisti"

Il look di Roshelle al Roma Film Festival lascia poco spazio all'immaginazione

$
0
0

Roshelle, ex concorrente di X-Factor 10, ha fatto parlare di sé sulla passarella del Roma Film Festival per il suo look audace e trasgressivo. In occasione della prima di “Hustlers”, la cantante, che all’epoca del programma tv aveva gareggiato nella squadra di Fedez, ha indossato un abito color oro a dir poco trasparente. 

Il vestito a rete ha lasciato ben poco spazio all’immaginazione: ha messo in risalto le forme dell’artista facendo intravedere il perizoma color carne. Sul seno le maglie larghe della rete non hanno avuto alcun effetto coprente. A completare l’outfit, un paio di sandali gold dal tacco alto e i capelli rosa con la ricrescita in vista e le codine.

La cantante si è presentata all’evento accompagnata dal designer Rediet Longo, che non è stato da meno in fatto di stile trasgressivo: su un completo total black ha infatti indossato una lunga pelliccia animalier.

 

Sull'omicidio di Luca Sacchi si consuma un nuovo scontro Conte-Salvini sulla sicurezza a Roma

$
0
0
Luca Sacchi insieme alla fidanzata

Il mondo della politica si infervora sull’omicidio di Luca Sacchi, il 25enne ucciso a Roma con un colpo di pistola alla testa in zona Colli Albani mentre cercava di difendere la fidanzata. Sulla tragedia si consuma l’ennesimo scontro tra il premier Giuseppe Conte e il suo ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. “Oggi, commosso e addolorato, prego per Luca e sono vicino alla sua famiglia”, ha dichiarato il leader leghista. “Ma sono anche incredulo e sdegnato – ha aggiunto - perché è inconcepibile quello che è accaduto. Da ex ministro dell’Interno fa ancora più male vedere tutta l’insicurezza della Capitale governata dai 5 Stelle e i tagli disastrosi che Renzi, Conte e Zingaretti fanno al fondo per le forze dell’ordine”.

VIDEO - Conte risponde a Salvini: “Miserabile chi specula su questo episodio”

 

Accuse alle quali ha prontamente risposto il premier Conte. “Se qualcuno si permette di fare speculazione in campagna elettorale su un episodio del genere, io lo trovo miserabile”, ha risposto ai cronisti che gli chiedevano di commentare le dichiarazioni di Salvini. “Roma rimane una delle città più sicure di Europa”, ha rivendicato il premier. 

 

La sindaca Virginia Raggi ha espresso su Twitter il suo cordoglio: “Profondo dolore per la morte di Luca, il ragazzo di 24 anni ucciso per una rapina. Questi criminali vanno arrestati e puniti severamente. @Roma è vicina alla famiglia e agli amici della giovane vittima”.

“Dolore e sconcerto per la morte di Luca Sacchi. Chiediamo giustizia di fronte a questa tragedia che lascia tutti noi senza parole”, ha scritto su Twitter Nicola Zingaretti, segretario Pd e presidente della Regione Lazio.

 

A denunciare la mancanza di sicurezza nella Capitale, in realtà, sono un po’ tutte le forze politiche. Dal Pd è Riccardo Corbucci, coordinatore del Partito Democratico di Roma, a puntare il dito apertamente contro l’amministrazione. “La Sindaca Raggi proclami una giornata di lutto cittadino il giorno dei funerali di Luca Sacchi. Quanto accaduto a Roma ieri notte poteva succedere ad ognuno di noi, in una città ormai abbandonata e alla mercé di gruppi criminali”, ha dichiarato Corbucci in una nota.

Anche Forza Italia denuncia l’escalation di violenza a Roma. “La Capitale si presta ormai al racconto di scene da paese Sud Americano mentre la sindaca Raggi parla di far iniziare le lezioni universitarie un po’ più tardi per alleggerire il traffico nelle ore di punta”, afferma in una nota Davide Bordoni, coordinatore romano di Forza Italia e capogruppo in Assemblea Capitolina. “È da mesi che Forza Italia denuncia l’escalation di violenza in città sulla quale la sindaca ha preferito lasciar correre invece di richiedere la convocazione tempestiva di un tavolo sulla Sicurezza e sull’Ordine pubblico. La Raggi rivendica pieni poteri per Roma ma non sa neanche dialogare con i suoi amici al governo. Come al solito tante parole e zero fatti. La morte di Luca Sacchi colpevole di aver difeso la propria ragazza da una rapina all’uscita di un pub vicino al parco della Caffarella è una vera tragedia. È necessario un Consiglio straordinario dell’Assemblea Capitolina dove invitare il ministro dell’Interno Lamorgese, il Prefetto di Roma e il presidente di Regione Zingaretti perché a Roma abbiamo un problema legato alla criminalità violenta. Una piaga che deve essere contrastata con politiche mirate che fanno parte dei 10 punti per la sicurezza nella Capitale presentati da FI con il presidente Antonio Tajani. Presenterò inoltre una interrogazione urgente a tutti gli organi deputati al mantenimento e al controllo della Sicurezza sul territorio della Città”, conclude l’esponente di Fi.

Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia si dice “scioccata e infuriata dalla notizia dell’omicidio di Luca Sacchi”. “Non si può morire in questo modo a 25 anni. Non è accettabile l’idea che nella Capitale d’Italia si possa essere aggrediti, derubati e infine uccisi con un colpo di pistola alla testa mentre si va al pub con la propria fidanzata”, prosegue Meloni. “Roma vive da tempo una gravissima emergenza sicurezza ma questo non sembra importare a nessuno, a partire dalle istituzioni che dovrebbero occuparsene. Il mio pensiero va alla famiglia di Luca e alla sua ragazza, Anastasia. Fratelli d’italia chiede al governo e al ministro dell’Interno Lamorgese di riferire immediatamente in Parlamento e spiegare nel dettaglio che cosa intende fare per far fronte a questa ignobile situazione. I cittadini romani chiedono risposte immediate. Basta con le promesse e gli slogan”.

Per Adriano Palozzi, consigliere regionale del Lazio di Cambiamo, la Capitale grillina è ormai “preda dell’illegalità”. “Vogliamo esprimere la più sentita vicinanza ai familiari e ai cari di Luca Sacchi, il ragazzo ucciso la scorsa notte a Roma durante una rapina in zona Colli Albani. Si tratta di un episodio tragico, che ci addolora nel profondo. L’ennesimo atto cruento in una Capitale d’Italia, quella governata dalla sindaca Raggi e dalla amministrazione grillina, ormai sempre più preda di violenza e illegalità”.

Stefano Fassina, consigliere di Sinistra per Roma e deputato LeU, punta il dito sul mancato arrivo delle forze dell’ordine che erano state promesse. “Ci stringiamo alla fidanzata, alla famiglia e agli amici di Luca Sacchi ucciso ieri sera per difendere la sua ragazza aggredita in un tentativo di rapina in strada a Colli Albani. È allucinante e inaccettabile quanto avvenuto. Per un anno e mezzo chi ne aveva la responsabilità di governo ha sventolato la bandiera della sicurezza, tante chiacchiere senza però far arrivare a Roma l’integrazione di forze dell’ordine richiesta e necessaria. Chiediamo alla ministra dell’Interno di venire quanto prima in aula alla Camera a riferire le chiediamo soprattutto di fare il massimo sforzo possibile per dotare la Capitale delle risorse, uomini e donne innanzitutto, di cui ha necessità e urgenza. Auspichiamo che gli assassini siano individuati e catturati al più presto”.

Campione marocchino di taekwondo getta la medaglia nella traversata in mare: "Non ha valore"

$
0
0

Il campione marocchino di taekwondo, Anouar Boukharsa, ha deciso di fuggire dal suo Paese. Durante la traversata in barca che ha compiuto insieme a 30 migranti, ha gettato la sua medaglia in mare. Come riporta il quotidiano sportivo As, con questo gesto ha voluto protestare contro le oppressioni che stava subendo in Marocco.  

 

Nel video che ha registrato pochi istanti prima di lanciare la medaglia in acqua, parla apertamente: “In ogni caso è inutile”. Con queste poche parole Anour ha voluto sottolineare quanto quel trofeo perda di significato nel suo paese. E quanto ancora meno ne abbia su quella barca, che faticosamente stava cercando di raggiungere le coste europee.

Nonostante il maltempo e le difficoltà, dopo quattro giorni Anour e i 30 migranti sono riusciti ad arrivare nell’isola spagnola di Lanzarote. Qui il campione marocchino vorrebbe continuare la sua carriera sportiva. “Nel mio paese non ha nessun valore”, ha detto ai media una volta sceso dall’imbarcazione. Come ha spiegato a Hespress, la situazione è veramente ostica per gli atleti: “Mio fratello è stato quattro volte campione del Marocco e non è mai stato selezionato per le principali competizioni. Da parte mia, ho vinto la Coppa del Trono ma non ho mai avuto alcun riconoscimento dalla Federazione. Non riuscivo a trovare un vero lavoro nonostante i miei diplomi”. Ora spera “di poter ricominciare da zero una nuova vita” e di poter seguire la sua passione. 

Parlando con i giornalisti, Anour ha anche raccontato quanto sia stato difficile attraversare il Mediterraneo. Lui e i suoi compagni “hanno visto la morte in faccia”. 

Per alcuni il gesto del campione di taekwondo nativo di Safi ricorda quello di Muhammad Alì, che nel 1960, dopo aver vinto la medaglia alle Olimpiadi di Roma, la gettò nel fiume dell’Ohio in segno di protesta verso il suo Paese e le discriminazioni razziali. 

La storia di Anour, però, non è un unicum. Come lui sono tanti gli atleti che stanno scappando dal Marocco. Territorio in cui vige una monarchia che, seppur definita da molti “illuminata”, tende ancora a limitare le libertà individuali.

Nell’agosto del 2018, ad esempio, la calciatrice Meriem Bouhid della squadra marocchina Olympique de Safi ha approfittato di un torneo internazionale organizzato in Spagna per scomparire e non tornare più nel suo paese. E sempre a settembre di quell’anno il calciatore Ali Hababa, anch’egli proveniente da Safi, è emigrato nella città spagnola di Huelva.

Non tutti, però, riescono a raggiungere sani e salvi la propria destinazione. Il campione nazionale di boxe Ayoub Mabrouk , nativo di Salé, è annegato nel suo tentativo di migrare illegalmente. Il suo corpo fu pescato vicino alla spiaggia di Barbate, nella provincia di Cadice. 

Il discorso del "Whatever it takes" che ha fatto storia. Quando Draghi disse ai mercati: "Credetemi, sarà abbastanza"

Draghi super ma il cavallo non ha bevuto

$
0
0

Mario Draghi è l’uomo delle crisi, quello che ti riacciuffa dal pozzo in cui sei precipitato e ti indica la strada, quello che quando la speranza ha abbandonato gli altri lui sa cosa fare. Si potrebbe quasi dire che nella sua trentennale carriera questo è stato il suo vero mestiere. Nel 1992 da direttore generale del Tesoro ha contribuito ad affrontare il più grande shock finanziario mai capitato all’Italia, nel 2006 è stato chiamato alla guida della Banca d’Italia per risollevarne la reputazione caduta fin troppo in basso durante il regno di Antonio Fazio, nel 2012 come presidente della Bce ha salvato l’euro dall’autodistruzione.

Quando la prossima settimana, raccolte le sue ultime cose, uscirà definitivamente dal suo ufficio al 40mo piano della Eurotower, dire che lascerà un vuoto è dir poco. Al momento di assumere l’incarico di presidente della Bce nel novembre del 2011 l’euro era nella tempesta, la crisi della Grecia aveva contagiato Italia e Spagna, il sistema della moneta unica poteva saltare e nessuno, né i governi, né gli organismi internazionali né gli studiosi di tutte le scuole di pensiero sapevano cosa fare, molti pronosticavano il crollo dell’intero sistema nell’arco di pochi mesi.

VIDEO - Draghi: “Io Presidente della Repubblica? Chiedete a mia moglie”

 

Con quelle poche parole pronunciate il 26 luglio del 2012 a Londra davanti a un pubblico attonito - “Faremo qualunque cosa per salvare l’euro e credetemi basterà” - Draghi riuscì ad arginare la speculazione, riportare la calma sui mercati e passare alla controffensiva, avviando una politica di tassi d’interesse minimi o negativi e immettendo nel sistema circolatorio dell’economia europea una enorme massa di denaro con il Quantitative easing. L’obiettivo era una crescita nella stabilità finanziaria. Tutto ciò gli è stato possibile grazie al sostegno o meglio alla non opposizione della cancelliera Angela Merkel e della Francia dato che la Bundesbank e i media tedeschi lo hanno sempre ferocemente avversato. Un comportamento questo che è stato per lui un cruccio costante.

Ma dato che come diceva Milton Friedman nessun pasto è gratis, anche il salvataggio dell’euro ha avuto un costo che non si misura solo nella ostilità dell’opinione pubblica del paese europeo leader. Per far crescere l’Europa e rianimare l’inflazione quel tanto che basta ad allontanarsi dalla linea di demarcazione della deflazione Mario Draghi ha dato fondo con creatività a tutto l’armamentario di una politica monetaria espansiva. Ha messo in campo gli Omt, ovvero gli acquisti di titoli di Stato dei paesi in affanno sotto condizioni, un programma generalizzato di interventi sul mercato dei debiti sovrani con volumi e tempi predeterminati ma senza condizioni (il Quantitative easing), la riduzione dei tassi sui depositi delle banche presso la Bce a livelli negativi in modo da stimolarle a utilizzare la liquidità nel finanziamento dell’economia e non parcheggiarla a Francoforte. Più molto altro.

Ma come diceva Guido Carli negli anni Sessanta “il cavallo non ha bevuto”. L’economia europea dopo un biennio di ripresa nel 2016-2017 è tornata a rallentare ed ora si avvia alla recessione. Draghi che aveva rimesso nella cassetta degli attrezzi il Qe è stato costretto a riprenderlo in mano in fretta e furia.

L’eredità che Super Mario lascia al suo successore è dunque pesante. Intanto Christine Lagarde con ogni probabilità si troverà a convivere per anni con il fantasma di quello che il premio Nobel Paul Krugman ha definito “il miglior banchiere centrale sulla faccia della Terra”. Ogni sua mossa sarà misurata in rapporto a quello che avrebbe fatto Draghi, nonostante il suo compito sia per certi versi anche più difficile di quello del suo predecessore. E questo perché la cassetta degli attrezzi utili a tirare su l’economia dalle sabbie del suo immobilismo sembra essersi esaurita e Madame Christine dovrà inventarsi qualche nuovo strumento da impiegare nella lotta a questa strisciante stagnazione nella quale sembra essere precipitata l’economia europea. Molto dipenderà anche dal comportamento dei governi europei. Se essi riusciranno in modo coordinato ad azionare la leva della politica fiscale per la crescita, il lavoro della Lagarde sarà facilitato. Ma se resterà come è stato per molti anni Draghi sola, il suo sarà un mandato molto impegnativo.


"Il palco di Narni è un errore, Italia Viva è invitata, ma non ci sarà"

$
0
0
Davide Faraone e Matteo Renzi

Il capogruppo di Italia Viva al Senato, Davide Faraone, risponde al telefono: “Sto andando verso l’aeroporto”.

Scusi senatore, da Roma per andare in Umbria non serve l’aereo.
“Infatti non vado in Umbria. Torno a Palermo”.

Ma venerdì mattina sullo stesso palco a Narni ci saranno Giuseppe Conte, Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio per la chiusura della campagna elettorale. Fate parte della stessa coalizione, ma voi di Italia Viva non ci sarete?

“Pur sostenendo come governatore Vincenzo Bianconi, noi di Italia Viva non andiamo, perché non abbiamo candidati di Italia Viva”.

Ma siete stati invitati?

“Certo, non è un problema di invito. Hanno invitato Ettore Rosato e il ministro Teresa Bellanova, ma hanno declinato. Non andiamo perché non c’è la nostra lista in questa competizione. Siamo appena nati. Poi se le posso dire di più, secondo me politicizzare queste elezioni è un errore”. 

Per quale ragione?

“È legittimo che loro abbiamo organizzato questa manifestazione, per carità. Ma un evento che vede sul palco i leader nazionali rischia di dare a queste elezioni un significato politico che è sbagliato dare”.

L’Umbria però ha battezzato l’alleanza tra Pd, Italia Viva e Movimento 5 Stelle. E domani il palco consegnerà questa foto.

“Qui sta l’errore. Io avevo interpretato le elezioni in Umbria come una coalizione civica, gli altri evidentemente no”.

Probabilmente perché siete insieme al governo, non crede?

“Noi vogliamo sostenere il governo fino alle fine della legislatura, ma è un’esperienza temporanea. È questa la differenza strategica tra noi e il Pd. Noi non pensiamo ad un’alleanza strategica con il M5s”.

Il prossimo anno si voterà in Calabria e in Emilia Romagna. Vi presenterete con la lista di Italia Viva?

“Saremo presenti in tutte le elezioni amministrative e regionali perché stiamo costituendo la nostra organizzazione su tutto il territorio. Sulle elezioni più ravvicinate faremo una valutazione anche con la nostra classe dirigente locale per capire se saremo pronti per presentare la lista o se abbiamo bisogno di più tempo”.

Comunque sia, farete l’alleanza con Pd e M5s?

“La questione è tutta legata alla vicenda della presentazione delle liste. In Emilia Romagna sosteniamo Stefano Bonaccini. E non mi risulta che in Calabria e in Emilia si sia messa in piedi un’alleanza. È tutto molto complicato per adesso”.

State aspettando i risultati dell’Umbria per capire cosa fare? In caso di sconfitta ci saranno ripercussioni sul governo?

“No, ripeto, al voto in Umbria noi diamo una rilevanza regionale e non nazionale. La differenza tra noi e Matteo Salvini doveva essere che noi pensiamo agli interessi degli umbri e il nostro candidato è infatti un civico, mentre a Salvini interessano i figuranti. Si vota per gli interessi dell’Umbria e degli umbri, non per dare segnali romani. Non era un federalista Salvini? L’evento di domani con i leader sul palco rischia di snaturare tutto questo e dare un significato politico a questa elezione che invece sono locali. Salvini dice ‘votando la Tesei votate me’. Con Di Maio e Zingaretti sul palco si fa la stessa cosa”

Senatore Faraone, diciamoci la verità, voi di Italia Viva avete fatto campagna elettorale in Umbria? Chi farete votare?

“Ovviamente il civico Vincenzo Bianconi. Sosteniamo lo stesso candidato del Pd e del Movimento 5 Stelle. Non saremo sul palco ma auspichiamo che vinca il candidato che sarà lì”.

L'ultimo azzardo di BoJo. "Elezioni il 12 dicembre"

$
0
0

Costretto ad abbandonare il suo motto - Brexit entro il 31/10, do or die - alla fine Boris Johnson ha confermato il suo ultimo azzardo: chiedere alla Camera dei Comuni elezioni anticipate il 12 dicembre, nella speranza di riuscire a far passare il suo accordo con Bruxelles entro il 6 novembre, ringalluzzito dal primo (parziale) via libera ottenuto due giorni fa dal Parlamento. Pur sapendo che difficilmente la mozione sul voto anticipato otterrà il sostegno dei due terzi del Parlamento, come vuole la legge.

 

 

La posizione ufficiale del Labour è quella di non sostenere elezioni anticipate fino a quando l’Unione europea non avrà accordato al Regno Unito una proroga per la Brexit. Ma il punto centrale è proprio questo: il verdetto di Bruxelles sulla Brexit, in realtà, ancora non c’è. Potrebbe arrivare domani e da esso dipenderà la successiva strategia di BoJo ma anche delle opposizioni. Se la Brexit sarà rimandata alla fine di novembre – scrive la Bbc – il premier proverà ancora a far approvare il suo accordo dal Parlamento. Se invece la proroga sarà più amplia (ad esempio fino alla fine di gennaio), Johnson chiederà un voto al Parlamento la prossima settimana sulla possibilità di convocare elezioni anticipate per il 12 dicembre. Se i laburisti accetteranno il voto, il governo – prevede sempre la Bbc – proverà nuovamente a far passare il suo deal in Parlamento prima dello stop che scatterebbe il 6 novembre per la campagna elettorale.

“Sembra che i nostri amici della Ue stiano per rispondere alla richiesta del Parlamento di prorogare la Brexit, cosa che invece io non voglio affatto”, ha detto Johnson in un’intervista alla Bbc. “Quindi, il modo per realizzare la Brexit, credo, è essere ragionevoli con il Parlamento e dire che se veramente vogliono avere più tempo per studiare questo eccellente accordo, possono averlo, ma devono acconsentire a elezioni il 12 dicembre”, ha aggiunto il premier. Secondo i media britannici, la mozione per il voto anticipato potrebbe essere presentata ai Comuni lunedì.

Johnson ha formalizzato la sua offerta in una lettera indirizzata al leader laburista Jeremy Corbyn.

“Caro Jeremy,

La scorsa settimana ho concordato un nuovo accordo di recesso con l’Unione europea. È un grande nuovo accordo che il Parlamento avrebbe potuto ratificare e che ci avrebbe permesso di onorare le nostre promesse e di realizzare la Brexit entro il 31 ottobre. Purtroppo sei riuscito a convincere il Parlamento a chiedere all’Ue di ritardare la Brexit fino al 31 gennaio 2020″.

Il premier prosegue prospettando i due possibili scenari di proroga concessa da Bruxelles: al 31 gennaio (più probabilmente) oppure al 15-30 novembre. BoJo prosegue accusando il Parlamento di aver fatto del “ritardo” una strategia.

“Questi ripetuti ritardi sono stati negativi per l’economia, negativi per le imprese e negativi per milioni di persone che cercano di pianificare il proprio futuro. Se le imprese riterranno che questo Parlamento rimarrà paralizzato, rifiutando di assumersi la responsabilità mese dopo mese fino al 2020, questo causerà infelicità per milioni di persone. È nostro dovere porre fine a questo incubo e fornire al Paese una soluzione non appena ragionevolmente possibile”.

 Dunque l’offerta:

“Se ti impegni a votare per le elezioni la prossima settimana (nel caso in cui l’Ue offra una proroga fino al 31 gennaio e il governo accetti, come è legalmente costretto a fare dal Parlamento), allora metteremo a disposizione tutto il tempo possibile tra adesso e 6 novembre per discutere e votare il Brexit Withdrawal Agreement, inclusi venerdì e fine settimana. Ciò significa che potremmo portare a termine la Brexit prima delle elezioni del 12 dicembre, se i parlamentari decidessero di farlo. Ma se il Parlamento rifiuta di cogliere questa opportunità e non riesce a ratificare entro la fine del 6 novembre, come temo, il problema dovrà essere risolto da un nuovo Parlamento. Le elezioni del 12 dicembre consentiranno a un nuovo Parlamento e governo di essere in carica entro Natale. Se vincerò la maggioranza in queste elezioni, ratificheremo quindi il grande nuovo accordo che ho negoziato, faremo Brexit a gennaio e il Paese andrà avanti.

Infine, il richiamo alla responsabilità contro un “Parlamento che non può continuare a tenere in ostaggio il Paese”:

″È giunto il momento per i parlamentari di assumersi le loro responsabilità. Più persone hanno votato Leave nel 2016 di quanti abbiano mai votato per qualsiasi altra cosa. Il Parlamento ha promesso di rispettare il risultato del referendum, ma ha ripetutamente evitato di farlo. Data questa situazione, dobbiamo dare agli elettori la possibilità di risolvere lo stallo il prima possibile entro la prossima scadenza del 31 gennaio. Non possiamo rischiare di sprecare i prossimi tre mesi [...]. Questo Parlamento ha rifiutato di prendere decisioni. Non può rifiutare di lasciare che gli elettori lo sostituiscano con un nuovo Parlamento in grado di prendere decisioni. Prolungare questa paralisi nel 2020 avrebbe conseguenze pericolose per le imprese, i posti di lavoro e la fiducia di base nelle istituzioni democratiche, già gravemente danneggiata dal comportamento del Parlamento sin dal referendum. Il Parlamento non può continuare a tenere in ostaggio il Paese”.

Sul finale BoJo getta il suo guanto di sfida:

“Hai ripetutamente affermato che una volta che l’Ue accetterà la richiesta del Parlamento di una proroga fino al 31 gennaio, [il Labour] sosterrà immediatamente le elezioni. Presumo che questa rimanga la vostra posizione e che quindi sosterrete le elezioni la prossima settimana in modo che gli elettori possano sostituire questo Parlamento rotto”.

Le prime reazioni dei partiti di opposizione sono improntate a confermare l’ostruzionismo, almeno per ora. Ma la sfida sale di tono e Johnson appare determinato a mettere in imbarazzo i rivali descrivendoli come notabili asserragliati nel palazzo, impauriti dall’affrontare il giudizio “del popolo”. Per lui la campagna elettorale è già cominciata.

Riluttanti a Narni

$
0
0
Leader M5s, Pd, Leu

Andare in Umbria senza parlare d’Umbria. Tirare la volata a Vincenzo Bianconi, candidato presidente, senza farlo parlare. Mettere la faccia del governo sul voto della piccola regione del centro Italia senza farlo. “Un gesto importante per dare una prospettiva a questa alleanza” (cit. quartier generale di Nicola Zingaretti), “solo un modo per rilanciare l’azione di governo lì dove il clima politico è più caldo (cit. war room di Luigi Di Maio).

L’evento concepito dai giallorossi in un venerdì mattino a Narni, che vedrà per la prima volta sul palco tutti insieme Di Maio, Zingaretti, Speranza e Conte, rischia di essere troppo e troppo poco, troppo tardi e troppo presto. Troppo perché quella che passerà agli annali delle cronache politiche come la foto di Narni, ritrarrà un governo nella (quasi) interezza che vuole mettere la faccia sul risultato delle urne di domenica. Troppo poco perché dice di non volerlo fare. “Gli argomenti che tratteremo saranno quelli della manovra e del decreto sisma che abbiamo approvato nell’ultimo Consiglio dei ministri”. spiega un uomo molto vicino al capo politico M5s. Scusi, e l’Umbria? “No, l’Umbria non sarà argomento diretto dell’incontro”. Sembra paradossale, è tutto vero. Al punto che, al momento, è prevista la presenza di Bianconi, ma incredibilmente un suo intervento non è in agenda.

“Sono un po’ di giorni che ci stiamo lavorando”, spiegano dal Partito democratico. “È un’iniziativa nata dalla volontà e con il contributo di tutti”, aggiungono dai 5 stelle. “Ci saremo, ma non ne sapevamo nulla”, allargano le braccia da Leu. “Noi non veniamo”, dice Italia viva. Anzi. Proprio su queste colonne il capogruppo renziano al Senato, Davide Faraone, attacca a testa bassa: “Si sta facendo un grave errore. Ma la coalizione in Umbria non doveva essere civica?”. Un uomo vicino a Roberto Speranza è appena più delicato: “Stiamo facendo un errore a esporci così”. La situazione è grave ma non è seria.

Raccontano che Enrico Fermi, parlando con un collega un po’ approssimativo, gli disse: “Prima di venire qui ero confuso su questo argomento. Dopo aver ascoltato la sua conferenza sono ancora confuso, ma a un livello più alto”. Ecco perfettamente centrato il rischio al quale si espongono i partner dell’esecutivo. Perché la presenza del premier, insieme a quella dei leader di partito, non potrà non marcare con evidenza la natura dell’evento. Nonostante la linea dell’avvocato sia quella del “sarà una bella occasione per parlare del decreto terremoto”. Punto.

Conte è in Umbria già da oggi, ha visitato l’azienda di Brunello
Cucinelli e incontrato gli imprenditori di Confindustria Umbria. Poi si è recato in visita privata da Gualtiero Bassetti, presidente della Cei e arcivescovo di Perugia-Città della Pieve. Un incontro che non era in agenda, ma che rinnova la prossimità e consolida la rete di relazioni fra il premier e le istituzioni ecclesiastiche.

L’Umbria non sarà forse l’Ohio all’amatriciana come tanti la stanno dipingendo, ma sicuramente è un crocevia da non sottovalutare sia per il M5s sia per il Pd. E più in generale per gli assetti presenti e futuri del governo. Perché una vittoria sarebbe volano per altre alleanze future e per la stabilità del governo. Una sconfitta, come presupponevano gli ultimi sondaggi pubblicati, potrebbe mettere a repentaglio la strana amalgama Mazinga, e terremotare le prossime corse regionali, a partire da Emilia Romagna e Calabria.

“Dobbiamo dare un segnale, dobbiamo giocare tutte le nostre carte”, il ragionamento fatto da Di Maio con chi lo ha sentito negli ultimi giorni. Un ultimo colpo di reni per provare a fare il colpaccio. Con modalità bizzarre (il comunicato che invita giornalisti e reporter all’Auditorium San Domenico parla addirittura di “conferenza stampa”), tempistiche dell’ultima ora e uno svolgimento previsto che presenta dosi robuste di surrealismo. “Non è un test nazionale”, ha detto il coordinatore umbro del Pd Walter Verini, ha ripetuto oggi Giuseppe Conte. Eppure per parlare di manovra e terremoto saranno tutti lì, nell’ultimo giorno utile di campagna elettorale.

Si matta nel mazzo anche il fatto che i due principali partiti di maggioranza hanno idee radicalmente differenti su quel che significherà quella foto una volta sviluppata. Le radici di un percorso comune, per i democratici, solo un evento a suggello del buongoverno per i pentastellati. Confusione. Ma a un livello più alto.

M5s vuole recuperare Ici e Imu dalla Chiesa per finanziare la manovra

$
0
0

Recuperare l’Ici non pagata dalla Chiesa tra il 2006 e il 2011 e far pagare l’Imu per quegli immobili sfruttati commercialmente ma che “eludono l’imposta”.
Questo è l’obiettivo di un ddl sottoscritto da 76 senatori M5s, depositato oggi al Senato, che i parlamentari sono pronti a tradurre in un emendamento alla legge di bilancio. La misura, proposta da Elio Lannutti e firmata anche dall’ex ministro Danilo Toninelli sarebbe in grado di “produrre risorse per 5 miliardi” di euro.

“Tali somme sarebbero sufficienti a evitare gli aumenti della cedolare secca, della tassa sulle transazioni immobiliari, dei bolli sugli atti giudiziari, del biodiesel e della plastic tax”, afferma Elio Lannutti, primo firmatario della proposta che è volta a “evitare questi balzelli che non esiterei a definire - dice ancora - una stangata su cittadini e famiglie”.

L’iniziativa prende spunto dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea che aveva stabilito il recupero da parte dello Stato italiano dell’imposta non versata dalla Chiesa tra il 2006 e il 2011, in quanto “aiuto di Stato irregolare”.

Nel frattempo, secondo i firmatari, l’intervenuta legge Monti del 2012 che esonera la Chiesa dal pagamento dell’imposta laddove non vengono svolte attività economiche, “presenta molte scappatoie” che consentono di evitare il pagamento dell’imposta anche dove si produce reddito. Un nodo che secondo i firmatari si potrebbe risolvere “facendo controllare i bilanci delle società o delle associazioni che li gestiscono da soggetti terzi, che se ne assumono la responsabilità”. La norma, in particolare, prevede che tutte le associazioni o società legate alla religione cattolica o congregazioni “il cui giro d’affari è pari o superiore ai 100 mila euro annui sono tenute a farsi convalidare i propri bilancio da un certificatore esterno” che in caso di bilancio non veritiero può essere “condannato ad un periodo di detenzione dai 3 ai 5 anni”.

Dalla relazione al ddl risulta inoltre che secondo delle stime dell’Anci, l’Ici (all’epoca era questo il nome dell’imposta) non versata tra il 2006 e il 2011 si aggira intorno ai 5 miliardi di euro, circa 800 milioni l’anno.

Ho visto il presente, il passato e il futuro del rock e il suo nome è Bruce Springsteen

$
0
0

C’è un tizio di settant’anni che ne dimostra venti di meno e suona in un fienile di fine ’800 annesso alla sua fattoria di Colts Neck, New Jersey. Suona e canta i 13 pezzi del suo nuovo album, “Western Stars”- con la E Street Band e una discreta sezione di archi e fiati, più quattro coriste, più Patti Scialfa, a intervalli - “per qualche amico e per i cavalli della stalla sotto di noi”. Ho visto il presente, il passato e il futuro del rock ’n roll e il suo nome è Bruce Springsteen.

Mi scuso per la scherzosa parafrasi di Jon Landau, che 45 anni fa profetizzò la leggenda del ‘Boss’, ma Landau, che firma tra i producers, è parte in causa nel film-concerto in cartellone alla Festa del cinema di Roma e atteso in sala per il 2 e 3 dicembre. “Western Stars” è un evento anche perché Springsteen ha personalmente diretto le riprese in coppia col fedelissimo Thom Zimny.

Non mi dilungo sui brani. Chi li ha ascoltati sa che questa “meditazione sul conflitto tra libertà individuale e vita comunitaria che segna quotidianamente la vita degli americani” (Springsteen) è scandita da ballads struggenti e melodie sontuose, salvo slittare su ritmiche country da ballare al bar il sabato notte. Ma è il ‘parlato’ a rendere unici gli 83 minuti del film.

Le canzoni di Bruce parlano per immagini. Sono storie personali che diventano collettive, istantanee di vite che non fanno rumore, alla periferia dell’America ‘che conta’. Tra i video sgranati che corredano il film compaiono i filmini domestici di Bruce e Patti Scialfa, gente qualunque tra gente qualunque. Non è una posa.

Il fatto è che il Boss, meditando ad alta voce nell’altra location western delle riprese - il deserto californiano dei cavalli, delle ‘strade blu’e dei Joshua tree - getta un ponte tra le sue canzoni e i suoi più profondi ‘perché’. La sua forza è che ora, come tante volte in passato, le sue domande sono le nostre. Noi da qualunque altra parte del mondo e lui lì, con le stesse ferite, le stesse cadute e rinascite, a dargli forma e sostanza.

Western Stars

Qui gioca di autoironia sui nuovi testi: “Sono al 19esimo album e scrivo ancora di automobili”. Però ai tempi di “Born to run” erano metafora di strade senza fine e di libertà, “oggi forse solo di movimento”. Per andare dove? “Il più delle volte ci spostiamo e basta”. Racconta maturazioni che appartengono a tutti: “Per molto tempo se avevo una persona cara, che amavo, appena potevo la ferivo”. Sono tappe di crescita, e fallimenti, e misteriose risorse, che diventano le persone vive delle canzoni: lo stuntman, il cavaliere che cura le pene d’amore domando cavalli, il cowboy in disarmo che una volta comparve in un film con John Wayne.

È rock ’n roll più nell’anima che nella forma, quella “voglia di scappare quando non hai fatto ordine dentro te stesso”, così universale, o quel bisogno “di rifugiarti nel dolore, perché ti è più familiare dell’amore”. Quando chiacchieri al bar con gli amici veri, a bassa voce e una mano sulla spalla, di questo in fondo finisci a parlare. 

Il meglio di sé “parlante” lo ha dato però nel suo one man show acustico dello scorso anno, a Broadway (facile verificare, la registrazione è su Netflix), schizzando a braccio pezzi di prosa da antologia. Il racconto di quando, bambino, la madre lo spediva a raccattare suo padre al bar è, senza scherzi, da Pulitzer. 

Scriveva Jon Landau 45 anni fa: “Lui è un rock ’n roll punk, un poeta latino di strada, un ballerino, un attore, un jolly, un band leader, un f..chitarrista ritmico, uno straordinario cantante e un vero grande compositore rock”. Paradossalmente, l’elenco è ancora da completare. 

Western Stars

Elezioni Umbria: Assisi, dove Salvini non sfonda

$
0
0
People attend a ceremony at the Basilica of St. Francis of Assisi, in Assisi, Italy March 29, 2019. REUTERS/Yara Nardi

Il lupo di San Francesco oggi è Salvini ma questa volta il Santo non vuole ammansirlo, bensì tenerlo fuori dalla città. E allora chi lo avrebbe mai detto che Assisi, il centro di spiritualità le cui pietre costituiscono un sito inserito nella lista del Patrimonio mondiale, potesse finire al centro di uno scontro politico. Assisi, in verità, è anche uno dei più solidi avamposti politico culturali che si ritrova ogni anno agli incontri del Cortile di San Francesco, un appuntamento che rafforza l’autorità dell’attuale pontifice, che trova così in Assisi la sua Stalingrado nella battaglia contro il sovranismo. 

Eppure dentro il Sacro Convento aspettano in silenzio le elezioni di domenica, dove la destra a trazione salviniana, guidata dalla senatrice leghista Donatella Tesei, tenta il colpaccio ai danni di un centrosinistra che ha siglato un patto con i cinquestelle proponendo l’alleanza di Palazzo Chigi con in testa alla coalizione l’imprenditore di Norcia, Vincenzo Bianconi. “Benvenuti ad Assisi, città della Pace”, si legge prima di entrare ad Assisi. E dopo cento metri la frase si può rileggere: “Benvenuto ad Assisi, città della pace”. Ed è come se questa affermazione voglia tenere a distanza di sicurezza quel “diavolo” di Matteo Salvini, il Capitano leghista che da settimane consuma ogni piazza di questo regione rossa, che nel giro di pochi anni si è trasformata in un fortino di centrodestra. La coalizione guidata da Salvini già governa a Terni, Todi, Perugia, Foligno, Orvieto, Umbertide. Alle Europee dello scorso maggio qui il Carroccio ha sfiorato il 40 per cento. 

Ma Assisi è un’altra cosa, confida al telefono Stefania Proietti, sindaco civico della città di San Francesco, sostenuta dal Partito democratico: “Assisi – si sgola – non l’ha visto mai Salvini”. E forse verrebbe da dire non lo vuole vedere. “Credo – insiste - non verrà più visto che ormai la campagna elettorale sta per finire. Ecco, l’ondata salviniana la stanno vivendo altri”. Proietti assicura di non avere mai incontrato il leader del Carroccio, né pubblicamente, né privatamente. Quasi se ne vanta: “No, no”, risponde alla domanda. Ed è un modo di dissimulare che si registra attraversando le vie limitrofe al Sacro Convento. Una direttrice di un istituto, ad esempio, entra in un bar e a un amico sussurra: “Sono abbastanza terrorizzata perché Salvini è un incubo”. Incubo e diavolo, siamo oltre il Lupo. E in via San Francesco persino il proprietario di un bar che alle europee ha votato per il leader del Carroccio, ora per il match delle regionali dice no alla destra in maniera forte e chiara. E perché? “Io sono un elettore di Matteo ma voterò per il centrosinistra, voterò per Vincenzo Bianconi. E sa perché? Perché la sinistra, al netto di tutto, a livello locale, regionale, sa governare. Funziona tutto in questa regione. Conosco gli amministratori di Salvini qui e posso solo immaginare cosa combinerebbero. Spero solo e soltanto che il Signore e San Francesco ci proteggeranno”. 

E sempre di Assisi è Claudio Ricci, colui che alle regionali del 2015, sempre da civico moderato, ma sostenuto dalle sigle del centrodestra, sfidò Catiuscia Marini. Ora Ricci, ingegnere trasportista con una lunga esperienza nell’amministrazione – è stato al comune di Assisi per lunghi 19 anni come vicesindaco e sindaco – gioca a fare il terzo incomodo, il guastafeste, per arginare la destra a trazione salviniana. Ricci infatti si candida in solitudine con l’appoggio di tre liste civiche. “Ma altro che terzo incomodo, io sono molto di più. Chi come me è molto noto avrà un ottimo risultato”, sorride prima di sciorinare un lungo programma di governo che va dall’eliminazione delle spese superflue “da destinare allo sviluppo” alla diminuzione dell’Irpef. Più crescerà la percentuale di Ricci, più scenderà quella della Tesei, è l’assioma che ripetono ai piedi della Basilica di San Francesco. “Perché Ricci, da moderato, toglierà voti a Forza Italia e alla Lega”. 

Qui impazza una tradizione moderata. Qui Silvio Berlusconi, che nel 1994 nessuno voleva riceverlo, si è presentato ieri per far visita ai francescani e gli ha sussurrato: “Stiamo cercando di portare Salvini al centro. Questa è la manovra”. Qui c’è il sospetto che un pezzo di partito democratico - che è uscito dal Nazareno dopo l’inchiesta sulla sanità starebbe votando - stia facendo sotto traccia campagna elettorale per la candidata Tesei. Impazzano i veleni e le veline, ma l’unica cosa certa resta Assisi. Con i suoi riti, le sue preghiere, i suoi silenzi. “Benvenuti ad Assisi, città della pace”. E argine al sovranismo salvianiano. 

 

L'Unione europea sfida la Cina. Il premio Sakharov va all'uiguro Tohti

$
0
0

Un segnale politico forte ma soprattutto un messaggio di sfida alla Cina. È quanto ha voluto dare il Parlamento europeo conferendo il premio Sakharov 2019 dei diritti umani a Ilham Tohti, intellettuale uiguro, condannato all’ergastolo dalle autorità di Pechino per la sua lotta a difesa dei diritti della minoranza musulmana che abita nella regione nordoccidentale dello Xinjiang.

Dall’inizio degli anni Duemila, Tohti, professore moderato e laico, si è distinto per le sue pubblicazioni alquanto critiche rispetto all’ortodossia cinese, in particolare sul bilinguismo e sui temi economici. Le numerose interviste concesse ai quotidiani internazionali non sono per nulla piaciute alle autorità che lo hanno accusato di volere internazionalizzare la questione uigura, nei confronti della quale la Cina usa il pugno di ferro. Prese di posizione che gli sono valse nel 2014 la condanna alla prigione a vita con l’accusa di fomentare il “separatismo”, sebbene lui abbia negato di essere una separatista, stando alla Bbc on line.
La sentenza all’ergastolo ha suscitato sdegno da parte delle organizzazioni a difesa dei diritti umani e di numerose cancellerie occidentali, oltre che dalle Nazioni Unite.

Nel conferirgli l’onorificenza a sostegno del suo lavoro, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ne ha chiesto “l’immediato rilascio” oltre che “il rispetto dei diritti delle minoranze in Cina”, riscuotendo un applauso della plenaria riunita a Strasburgo. Sassoli ha poi parlato di ‘processo farsa’ ricordando che Tohti ha “dedicato la sua vita a difendere i diritti della minoranza uigura in Cina” e che “nonostante sia stato una voce di moderazione e riconciliazione, è stato condannato all’ergastolo”.

Pechino sta attuando da anni una vera e propria repressione nei confronti degli uiguri. A inizio ottobre l’amministrazione Trump ha inserito 28 entità cinesi nella sua lista nera, accusandole di essere implicate nelle violazioni dei diritti umani contro le minoranze musulmane nella regione del Xinjiang.
L’annuncio era seguito al video diffuso dalla Cnn che ritraeva centinaia di uiguri con gli occhi bendati e le mani legate dietro la schiena.
La candidatura di Tohti, sostenuta dal gruppo dei Liberali di Renew Europe al Parlamento europeo, è riuscita ad imporsi a Strasburgo su quella degli altri due finalisti: le giovani studentesse del Kenya che hanno creato una app per combattere le mutilazioni genitali femminili e le tre personalità brasiliane impegnate nella difesa della minoranze e dell’ambiente, tra cui il capo indio Raoni. La cerimonia di consegna del premio si terrà al Parlamento Ue il 18 dicembre.

A elogiare la figura di questo intellettuale anche l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che a fine settembre gli aveva conferito il premio Vaclav Havel. A ritirare il premio in quella occasione era stato Enver Can, presidente dell’organizzazione che porta il suo nome.


"Draghi ha salvato l'euro, ma la Bce non basta più". Intervista a Pier Carlo Padoan

$
0
0

Mario Draghi “ha salvato l’euro” e questo risultato ipoteca “un bilancio ampiamente positivo” del suo mandato alla guida della Bce. L’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, in un’intervista a Huffpost, spiega però che ora che Draghi sta per lasciare e tocca a Christine Lagarde, ora che non solo i falchi europei, ma anche i mercati sono scettici sull’efficacia del quantitative easing, all’Europa servono ricette nuove. Per Padoan è arrivato il momento di inaugurare la stagione della politica fiscale. Espansiva, con investimenti sul green e politiche per la crescita. Ma anche una ricetta che contempla la revisione del Patto di stabilità. 

Siamo all’addio di Mario Draghi alla Bce. Otto anni fa l’euro rischiava di saltare per aria, poi è arrivata la cura del quantitative easing. Oggi però la recessione preme alle porte. Qual è il bilancio del mandato di Draghi?

Il bilancio è ampiamente positivo. Anche se i suoi detrattori dicono che non ha raggiunto l’obiettivo dell’inflazione vicina al 2%, è doveroso ricordare che Draghi è stato uno degli artefici della difesa dell’economia europea e mondiale. Durante il suo mandato c’è stata la più grande crisi finanziaria dal dopoguerra in poi, non bisogna dimenticarlo. Sono d’accordo con chi dice che Draghi ha salvato l’euro.

Draghi ha riattivato il bazooka. Avrebbe dovuto fare qualcosa di aggiuntivo o comunque di diverso?

La politica monetaria, vale soprattutto per l’Europa, si è dimostrata essere l’unico strumento a disposizione. Ora, e questo lo dice anche Draghi, direttamente o indirettamente, la stessa politica monetaria non basta più. Serve una politica fiscale e riforme strutturali. Draghi ha fatto parecchio. Avrebbe voluto, e non solo lui, un sostegno da parte delle politiche di bilancio degli Stati e a livello dell’Unione.

Perché è mancato questo sostegno?

Perché non c’è. In Europa non c’è una politica fiscale, ma solo quelle dei singoli Stati membri.

Draghi consegna la Bce a Christine Lagarde. Quindi la ricetta per il nuovo presidente è la politica fiscale. Ma come?

Ci vuole una politica fiscale espansiva. E questo tocca due livelli.

Quali?

Il primo è come si possono migliorare le regole fiscali dei singoli Paesi, cioè in grandi linee il Patto di stabilità. Il secondo è come l’Europa si può dotare di una capacità fiscale indipendente. Questo secondo passo è da costruire, ma è indispensabile.

Ecco appunto, le regole europee. Vanno cambiate?

A mio avviso è giunto il momento di rivedere il Patto di stabilità mettendo l’accento su due cose: far calare rapidamente il debito e prevedere investimenti ad alta sostenibilità ambientale.

L’Europa ha gli anticorpi per abbandonare il Qe e passare a un nuovo protocollo, cioè alla sola politica fiscale espansiva?

Proviamo a ragionare come fanno gli economisti, con i controfattuali. Ammettiamo che la Bce decida di interrompere il quantitative easing. L’economia europea è vicina alla stagnazione, l’intonazione delle politiche fiscali è neutrale, cioè né espansiva né recessiva. Ci sono Paesi, come la Germania e l’Olanda, che hanno spazi di bilancio per fare investimenti e non lo fanno. La politica fiscale deve dare il suo contributo perché l’Europa deve tornare a crescere.

Alla fine il punto è lo stesso: i falchi contro gli “espansivi”. L’Europa è destinata a restare ingabbiata in questa lotta?

Ai critici va riconosciuto il fatto che la politica del Qe e dei tassi bassi o negativi ha delle conseguenze anche negative. Per esempio mette in grave difficoltà il mercato del risparmio e i sistemi bancari. Alcuni Paesi fanno notare che i costi di questa politica sono parecchi e sono aumentati. Il modo per uscire da questa dicotomia è proprio puntare sulle politiche fiscali e su quelle strutturali, che sono in grado di far crescere la produttività nel medio periodo. C’è il rischio di una stagnazione secolare e bisogna rispondere con misure strutturali.

La ricetta, quindi, è più investimenti e riforme. Su cosa bisogna puntare?

Sul green, a maggior ragione che c’è un accordo a puntare sulla sostenibilità ambientale. E poi ci sono le riforme per sostenere la crescita, che permettono di far scendere il debito. Se il debito cala, si liberano più risorse per la crescita.

Draghi il costruttore

$
0
0
Draghi

Mario Draghi ha presieduto il suo ultimo consiglio direttivo della Bce dopo otto anni di mandato nei quali l’Europa è passata attraverso la più grave crisi economica dalla fondazione della Comunità e dell’Unione. Una crisi che, se avesse portato allo scardinamento dell’euro, avrebbe anche determinato quella del mercato unico e quindi il precipitare verso forme di disunione politico-istituzionale europea.

Nella conferenza stampa dopo il consiglio Bce, Draghi ha confermato che le decisioni di politica monetaria di settembre erano necessarie, anche perché i rischi di recessione per l’Eurozona, ma anche globali, sono consistenti, che gli Stati dell’Unione monetaria con disponibilità di bilancio devono fare politiche espansive e quelli con finanze pubbliche deboli devono essere prudenti. Ha aggiunto infine alcun considerazioni di metodo e di merito che hanno caratterizzato tutto il suo mandato. Di questo voglio trattare.

 

Visione progettuale e impostazione dogmatica

Draghi ha segnato un periodo della storia della costruzione europea, anche se la sua opera andrà commentata con calma. Si potrà allora confermare analiticamente che il suo lavoro, sia in termini di metodo e di merito, sia per il movente storico-politico, è stato cruciale per salvare l’area euro (e l’Ue) dalla disgregazione.

Le critiche a Draghi, che si sono recentemente accentuate da parte di membri del Consiglio Direttivo della Bce, sono sbagliate perché considerano la moneta e la banca centrale come un’entità chiusa in dogmi meccanicisti quali che siano le situazioni e le conseguenze economiche e istituzionali. Un errore, questo, che sarebbe stato gravissimo soprattutto per una Banca centrale nascente come la Bce che, a confronto della Banca Centrale Usa (la Fed) appariva all’inizio una microentità posta a governare la moneta di una macroentità economica come l’Eurozona e l’Unione Europea. Un’operazione impossibile.

Adesso la Bce è adatta per una grande economia.

Draghi è stato però sempre rigorosamente rispettoso dello Statuto della Bce e dei Trattati Europei, come ha stabilito la Corte di Giustizia europea. Nello stesso tempo, Draghi ha portato la Bce a un livello non dissimile alla Fed cioè a essere una banca centrale adatta a grandi aggregati economico-finanziari. Quindi la nuova politica della Bce è sempre stata calibrata sull’obiettivo di riportare l’inflazione verso il 2% annui, mentre le innovazioni si sono avute sugli strumenti utilizzati e sulle loro conseguenze.

Due sono state le grandi strumentazioni usate. La concessione di ampia liquidità, a condizioni di vantaggio, ai sistemi bancari dell’Eurozona, ma anche gli incentivi ad aumentare la loro erogazione di credito ai sistemi economici. L’acquisto diretto, tramite le banche centrali nazionali, dei titoli di Stato dei Paesi membri dell’Unione monetaria. Semplificando, si potrebbe dire che le prime strumentazioni erano rivolte al sistema privato e le seconde al sistema pubblico, anche se poi nei fatti si sono avute molte combinazioni.

A questi interventi sono seguite conseguenze dirette e indirette. Quelle dirette hanno portato a immettere nel bilancio della Bce una grande quantità di titoli, ad abbassare i tassi di interesse fino allo zero, a ridurre il costo di finanziamento dei debiti pubblici per vari Paesi pure allo zero o in negativo su tutta la durata temporale delle emissioni (come per la Germania e per molti altri) e ad abbassare ai minimi storici i tassi dei titoli di Stato (per tutti e per l’Italia). Quelle indirette hanno favorito enormemente la ripresa in media della economia dell’Eurozona e dell’Ue e il calo della disoccupazione.

Molti sono i distinguo possibili, ma credo nessuno possa affermare che senza queste misure l’euro avrebbe resistito alla crisi. Detto in altri termini, nessuno ha credibilmente fornito ricette alternative che avrebbero portato allo stesso risultato. Anche perché un conto è scrivere saggi, un altro è decidere su scelte così difficili, mentre la politica economica europea era debole e ondivaga.

 

 

Quali politiche future in Europa

Draghi ha detto e ripetuto, con un crescendo negli ultimi tempi, che le politiche della Bce adesso non hanno altri spazi risolutivi di intervento davanti, e che devono accentuarsi le riforme strutturali sia a livello dell’Eurozona, sia a livello di Stati membri, per assicurare uno sviluppo dell’economia europea.

In occasione di tre lauree honoris causa in Italia tra il dicembre 2018 e l’ottobre 2019 - alla scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, all’Università di Bologna, all’Università Cattolica di Milano - Draghi ha espresso le sue convinzioni europeiste, ma anche le sue preoccupazioni che richiamiamo con passi da me scelti e ricombinati delle tre lezioni.

A Milano ha ricordato che “la creazione dell’Unione europea, l’introduzione dell’euro e l’attività della Bce hanno incontrato molti ostacoli e hanno dovuto fronteggiare molte critiche. Hanno dimostrato nondimeno il loro valore; oggi sono coloro che dubitavano a essere messi in discussione. Ciò riflette lo sviluppo normale delle unioni monetarie, che è lento, non lineare, accidentato. Gli Stati Uniti, ad esempio, non ebbero una banca centrale per più di 130 anni dopo la loro fondazione; il bilancio federale ha assunto un vero ruolo solo negli anni Trenta dello scorso secolo. Oggi pochi penserebbero di ritornare indietro”.

A Pisa ha ricordato con i dati come l’integrazione tra moneta unica e mercato unico abbia portato enormi vantaggi a tutti i cittadini europei e come nell’epoca della globalizzazione le soluzioni nazionali di piccoli Stati non avrebbero retto. Ha poi segnalato che “non è stato per una pulsione tecnocratica ad assicurare la convergenza fra paesi e il buon funzionamento dell’unione monetaria che in questi anni ho frequentemente affermato l’importanza delle riforme strutturali”. Proseguendo poi nel dire che le molte indispensabili azioni a livello nazionale per far crescere stabilmente salari, produttività, occupazione e per sostenere il nostro stato sociale vanno sostenute a livello europeo. Queste sono scelte strutturali per tenere il passo del XXI secolo, ma anche per affrontare le crisi cicliche future. Infatti “occorre che i due strati di protezione contro le crisi – la diversificazione del rischio attraverso il sistema finanziario privato da un lato, il sostegno anticiclico pubblico attraverso i bilanci nazionali e la capacità fiscale del bilancio comunitario dall’altro - interagiscano in maniera completa ed efficiente”.

A Bologna, trattando di sovranità in un mondo globalizzato, Draghi ha inoltre affermato che ”nel mondo di oggi le interconnessioni tecnologiche, finanziarie, commerciali sono così potenti che solo gli Stati più grandi riescono a essere indipendenti e sovrani al tempo stesso, e neppure interamente. Per la maggior parte degli altri Stati nazionali, fra cui i paesi europei, indipendenza e sovranità non coincidono. L’Unione europea è la costruzione istituzionale che in molte aree ha permesso agli Stati membri di essere sovrani. È una sovranità condivisa, preferibile a una inesistente. È una sovranità complementare a quella esercitata dai singoli Stati nazionali in altre aree. È una sovranità che piace agli Europei. L’Ue è stata un successo politico costruito all’interno dell’ordine internazionale emerso alla fine della seconda guerra mondiale. Dei valori di libertà, pace, prosperità, su cui quest’ordine si fondava, l’Unione europea è stata l’interprete fedele.”

 

Conclusioni

Draghi è un modello di visione e di professionalità straordinario che ha sostenuto una coerenza di policy che passerà alla storia della costruzione europea, ma anche di quella ben più lunga delle banche centrali e del Governo della moneta. La nuova presidente della Bce, Christine Lagarde, riceve un’eredità importante, ma anche pesante, perché crescerà la pressione su di lei da parte dei “settorialisti”, per smontare le politiche di Draghi e quindi per riportare la Bce a essere un’appendice della Bundesbank tedesca. Sarebbe un danno anche per la Germania, già in recessione. Lagarde dovrà perciò insistere affinché le politiche di rilancio della crescita con investimenti passino attraverso un bilancio forte dell’Eurozona, anche con l’emissione di eurobond che servirebbero anche a ricollocare parte dei titoli di Stato che oggi sono nel portafoglio della Bce. Anche perché una situazione con tassi di interesse zero, bassa crescita e bassa inflazione indica un pericolo grave di stagnazione. Dovrebbe adesso, invece, aprirsi un ulteriore progresso nella costruzione europea, sempre in quella combinazione di Federalismo, Confederalismo e Funzionalismo che caratterizza l’area euro e l’Unione europea. Vedremo se questo accadrà. Intanto esprimo la mia stima profonda a un italiano europeista che si è laureato in Italia con Federico Caffè e quindi ha conseguito il dottorato negli Usa con Franco Modigliani (maestri che Draghi ha spesso ricordato), che ha avuto ruoli importanti in istituzioni pubbliche internazionali ed italiane dando prova che competenza e visione, coraggio e consapevolezza, dovevano e potevano andare assieme.

Marcello Messori: "Draghi ha spinto la Bce al limite, ma i tassi negativi sono un rischio"

$
0
0
draghi

“Mario Draghi lascia a Christine Lagarde una eredità estremamente positiva. Gli otto anni della sua presidenza hanno mostrato che la Bce ha arricchito enormemente gli strumenti di intervento di politica monetaria. È nata come una banca centrale con assetto istituzionale restrittivo, dovendo rappresentare molti Paesi con diverse politiche fiscali nazionali, e con vincoli molto stringenti in termini di interventi che normalmente sarebbero scontati per una banca centrale (ovvero l’acquisto di titoli di stato sul mercato secondario)”. A parlare è l’economista e Direttore della LUISS School of European Political Economy  Marcello Messori, nel giorno dell’ultimo consiglio direttivo di Mario Draghi come presidente della Banca Centrale Europea. “Ecco, pur rimanendo nei confini, seppur fluidi, della politica monetaria e senza invasioni di campo, Draghi è riuscito ad ampliarne gli strumenti. Tutti i Paesi dell’Eurozona devono essere grati a Draghi per come ha trasformato la Bce”. 

Ci sono anche nei, però, negli otto anni di Draghi. Partiamo da quello che molti ritengono centrale: il target dell’inflazione, vicina ma al di sotto del 2%, oggi molto lontano. Draghi poteva fare di più?

Domanda difficile, perché sul controfattuale ci si può sbizzarrire. I dati oggettivi ci dicono questo: la Bce, all’inizio della crisi e prima dell’era Draghi, ha reagito in modo molto più efficace della Federal Reserve. Poi però, in due occasioni della presidenza Trichet, vi è stato un aumento incongruo dei tassi di interesse: pochi mesi prima del fallimento della Lehman Brothers e pochi mesi primi del culmine della crisi dei debiti sovrani nell’area euro. Quando Draghi arriva corregge immediatamente questi aumenti e abbassa i tassi, ma nel frattempo la Fed aveva recuperato i suoi ritardi di strumentazione, e già dal 2009 aveva adottato il Quantitative Easing.

Draghi poteva lanciare prima il suo Qe?

Secondo me, e siamo nel campo delle ipotesi, no. Si era creato uno spazio per politiche molto innovative come Ltro, che ha interrotto temporaneamente il circolo infernale tra settore bancario e debiti sovrani. Ma la Bce ha potuto farlo perché si erano rafforzati i presidi di politica fiscale come il Fiscal Compact e il Six-Pack. Badi bene, l’equilibrio nell’area Euro è sempre molto delicato. Si può spingere sull’acceleratore della politica monetaria o se la situazione precipita, o se ci sono dei contrappesi. Dopodiché si possono discutere alcune scelte fatte dalla presidenza Draghi.

Quali?

Ad esempio quella dei tassi di interesse negativi. Sarei molto cauto nel dire che era necessario superare il limite del “pavimento zero”. Perché nel medio periodo inducono distorsioni, sia nella rischiosità degli investimenti finanziari, sia nei comportamento delle banche e investitori istituzionali. Si potrebbe aprire una riflessione su questo. Poi basta guardare il bilancio della Bce, dal momento che rappresenta una stima approssimata di quanta liquidità ha immesso nel sistema, per capirne le dimensioni: l’Eurotower ha aumentato in termini relativi il suo bilancio molto di più della stessa Federal Reserve. Certamente la politica monetaria è stata spinta molto avanti, questo è avvenuto in tempi dettati dal difficile equilibrio tra politiche monetarie accentrate e politiche fiscali nazionali. Però, insomma, è stato fatto. 

Quanto all’inflazione?

Va notato che per tutta la vita dell’euro, l’inflazione è stata all’incirca all′1,7%, quindi vicina all’obiettivo della Bce. Poi abbiamo avuto un rischio di deflazione tra la fine del 2013 e il 2014, ma certo è che negli ultimi anni la Bce non è riuscita a raggiungere il suo target, tuttavia questo vale per molte banche centrali. 

Oggi molti economisti temono che l’efficacia delle politiche monetarie sia arrivata al limite. Lei è d’accordo?

Secondo me, sì. Non credo che si possa stabilire un limite, ma certamente in una curva dell’efficacia della politica monetaria siamo ormai nel tratto in cui cresce di pochissimo. Ormai ha dato quasi tutto quello che poteva dare. Adesso è fondamentale che ci sia una articolazione diversa tra politica monetaria e politica fiscale.

Crede che la nuova presidente della Bce Christine Lagarde, su questo fronte, possa ottenere quei risultati che Draghi non è riuscito a ottenere?

Devo dire di sì, visto il profilo del nuovo presidente. Lagarde ha molta competenza, essendo anche stata ministro delle Finanze di uno dei maggiori Paesi dell’area Euro, la Francia. Lei potrà davvero spingere su questo aspetto che già Draghi ha sottolineato più volte: ormai per lasciare spazi di efficacia alla politica monetaria, quest’ultima deve combinarsi con una politica fiscale di segno diverso. 

Draghi ha lanciato molti appelli ai governi dell’area euro, poteva fare di più per metterli spalle al muro?

Certo, in linea di principio poteva fare di più: se la politica monetaria non fosse stata espansiva, ci sarebbe stata una maggiore pressione sui governi. Ma attenzione: quante critiche sarebbero state rivolte a una Bce che in un momento di rottura dell’euro giocava col fuoco per mettere spalle al muro i governi Ue? Forse, ora non saremmo qui a fare questi commenti. Invece la Bce, pur rimanendo nei limiti del suo mandato, ha fatto opera di supplenza, deresponsabilizzando un po’ i Paesi membri ma credo che fosse inevitabile. Ora sarà la forza delle cose a smuoverli. 

In che senso?

Guardi, per certi versi una politica monetaria espansiva combinata con una politica fiscale in certi casi neutra e in altri restrittiva ha funzionato, pur a costi sociali molto elevati, perché effettivamente la crescita è stata trainata dalle esportazioni. Ora questa fase sta subendo una battuta d’arresto estremamente severa, a causa della rottura del multilateralismo e dei dazi degli Stati Uniti. L’Europa dovrà per forza rilanciare il mercato interno e una crescita fondata sulle dinamiche interne. Sarà inevitabile. 

In pratica, i responsabili delle politiche fiscali in Ue sono stati comunque messi spalle al muro, ma a posteriori...

Esattamente, e in questo caso non dalla politica monetaria ma dal contesto internazionale. Del resto, è un paradosso che la seconda area economica più grande del mondo regga la sua crescita sulle esportazioni nette. Dovrebbe crescere per una dinamica interna. 

Draghi non è riuscito a scrollarsi di dosso, almeno agli occhi dei Paesi falchi in Ue come Germania e Olanda, l’immagine del banchiere italiano spendaccione.

Sono ingenerosi, anche perchè da questa combinazione di politica monetaria e politiche fiscali restrittive o neutrali, la Germania è il Paese che ha tratto il maggior giovamento, essendo un Paese più orientato alle esportazioni. Un modello di questo genere regge se c’è un traino esterno, ma se non c’è più o rallenta...

Ultima domanda. Oggi tra gli economisti è tornato prepotentemente il tema dell’helicopter money (detta volgarmente, soldi trasferiti dalla Bce direttamente ai cittadini senza passaggi intermedi per le banche ma a precise condizioni - ndr), come ulteriore strumento di intervento. Lei cosa ne pensa? 

Questo è un tema al centro dell’attenzione degli economisti, ma mi sia consentito di essere un po’ scettico. Credo che quasi tutto si possa fare, ma francamente mi sembra un punto di non ritorno. Sono convinto che nella strumentazione delle banche centrali si sia raggiunto un livello di alto sfruttamento delle potenzialità e ora sia arrivato il momento di una interazioni con le politiche fiscali espansive. Detto questo non penso siano necessari né i tassi negativi né l’elicottero, due cose diverse ma che per ragioni diverse hanno impatto molto distorsivo sul funzionamento dell’economia.

"Raffa" intervista Zero: "La vittoria migliore per i 'non diversi' è diventare diversi"

$
0
0
Renato Zero e Raffaella Carrà nella prima puntata di

“Un mito che incontra un altro mito”: il caschetto biondo più famoso della televisione è tornato in prima serata e lo ha fatto in ottima compagnia. Raffaella Carrà ha inaugurato la nuova stagione del programma di Rai Tre A raccontare comincia tu ospitando Renato Zero, icona della musica italiana e suo caro amico. 

Un’intervista che ha stregato gli spettatori tanto che, fin dai primi minuti, sui social sono iniziati a circolare commenti entusiasti. 

“Ora arriverà la signorina Carrà che mi farà il terzo grado”, ha detto Renato Zero davanti allo specchio del camerino poco prima dell’intervista. La conduttrice e il cantante hanno dato vita ad una chiacchierata intensa, che li ha visti dialogare nel camerino dell’artista o a passeggio su un tram per le vie di Roma.

Zero si è confessato, affermando che “la follia è il segno distintivo di chi vuole cambiare il mondo. I folli sono stati Leonardo da Vinci, Michelangelo, Gesù. Sono i folli che abbiamo amato”. ”È stata la follia ad infrangere la mia solitudine, che sono riuscito a sublimare in bellezza”, ha aggiunto l’artista.

Una solitudine che Renato Zero non ha vissuto durante l’infanzia, quando abitava con la sua famiglia allargata: “A via Ripetta abitavamo quattro fratelli, mio padre e mia madre, mia nonna Renata e tre fratelli di mia madre. Si stava insieme, c’era sempre questo calore, questa convivialità”. 

Poi il trasferimento dalla casa di Via di Ripetta alla periferia della Montagnola, che ha segnato l’infanzia e la giovinezza del cantante. Zero ha parlato del bel rapporto col padre poliziotto, la cui divisa era però diventata simbolo delle regole a cui il giovane artista voleva sfuggire.

“Io non volevo assolutamente accondiscendere a certe regole perché ritenevo che si potesse sovvertire l’ordine delle cose”, ha confessato alla Carrà. Qualche telespettatore ha commentato: “Renato ha rivoluzionato un’era, come lui nessuno”.

“Ogni tanto anch’io venivo al Piper, però non ti ho mai visto”, Raffaella Carrà e Renato Zero hanno raccontanto gli anni del madison, dello shake e dell’alligalli al famoso Piper Club di Roma, suscitando la nostalgia dei telespettatori. 

Spazio anche per il racconto della sua amicizia e del sodalizio artistico con Loredana Berté e Mia Martini che, almeno all’inizio, non incontrò il riscontro degli addetti ai lavori. “Penso che con le case discografiche avrebbero avuto più successo tre alieni. Eravamo un trio tutt’altro che moderato”, ha detto Zero. Un ricordo che ha commosso il pubblico, insieme a quello degli anni trascorsi a Piazza Navona, ritrovo dei giovani artisti quando il cantante era agli esordi.

“Cosa volevo fare da grande? Io volevo esistere. Esistere significa avere una mia personalità, una mia dimensione, avere un messaggio”, sono state le parole usate dall’icona della musica leggera per descrivere la sua gioventù. Entusiasmo da parte dei telespettatori che hanno commentato: “Pensate la fortuna di essere stati giovani all’epoca del primo Renato Zero”.

La padrona di casa ha poi confessato all’amico quale fu la prima volta in cui sentì parlare di lui: “Un giorno arrivo dalla nonna e mi fa: ‘Lella, stasera mi devi portare all’Altro Mondo (un locale dei tempi, ndr) perché c’è un artista fantastico, mi piace tantissimo.’ ‘Chi è?’ ‘Come chi è? Renato Zero!’”.

Il cantante raccontato: “Il dramma della mia vita e della mia carriera è stata la paura di non essere capito”. E parlando di libertà e diritto di essere se stessi, Renato Zero ha affermato che “le persone che non accettano i diversi non accettano se stesse”. “Credo che la vittoria migliore per i non diversi sia diventarlo”, ha aggiunto.

“Un incontro molto intimo, ho fatto fatica proprio perché siamo amici”, ha dichiarato Raffaella Carrà durante la conferenza stampa di presentazione della trasmissione.  Una vita, quella di Zero, vissuta per e attraverso l’arte. Un grande artista, anticonformista, che ancora oggi continua ad incantare milioni di fan con la sua immensa poesia. “Non voleva raccontare i suoi momenti difficili a Montagnola. Io come un punteruolo sono entrata nel suo mondo, che lui vuole dimenticare”, ha rivelato la Carrà ai giornalisti.

La seconda puntata vedrà protagonista Loretta Goggi: lei e la Carrà saranno insieme per una lunga chiacchierata tra icone della tv italiana. Il terzo appuntamento, invece, ci farà vivere l’incontro tra la conduttrice e il critico d’arte, scrittore e opinionista Vittorio Sgarbi nella sua casa museo. Nella quarta e ultima puntata, Raffa sarà in compagnia dell’attrice Luciana Littizzetto.

L'indagine di Barr sul Russiagate diventa un'inchiesta penale

$
0
0
Barr

L’indagine ordinata dall’attorney general Usa William Barr sulle origini del Russiagate, che lo ha portato anche a Roma a incontrare i Servizi segreti italiani, è diventata ora un’inchiesta penale. Lo riferisce Politico citando una propria fonte. Questo significa che i dirigenti e gli ex dirigenti dell’Fbi e del Dipartimento di Giustizia eventualmente coinvolti rischiano un’incriminazione e che aumenteranno i poteri di raccogliere prove del procuratore John Durham - titolare dell’inchiesta - anche con mandati emessi da un grand giurì per acquisire documenti e testimonianze.

Dura la reazione dei dem alla decisione. In una nota, i presidenti delle commissioni intelligence e giustizia della Camera, che conducono l’indagine di impeachment, sostengono che essa “solleva nuove profonde preoccupazioni che il Dipartimento di Giustizia sotto l’attorney general Barr abbia perso la sua indipendenza e sia diventato un veicolo per la vendetta politica del presidente Trump”.

Il Corriere della Sera pubblica oggi il testo della lettera, datata 17 giugno, inoltrata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte dall’ambasciatore a Washington Armando Varricchio. Non c’è stato alcun passaggio attraverso la Farnesina, il canale è stato diretto e il premier ha autorizzato ai colloqui il capo del Dis Gennaro Vecchione. Nella lettera si legge: “Verificare il ruolo svolto da personale Usa in servizio in Italia senza voler mettere in discussione l’operato delle autorità italiane e l’eccellente collaborazione”.

Ieri Fox News ha rilanciato la notizia secondo cui l’indagine “si è allargata sulla base di nuove prove scoperte durante il recente viaggio di Durham a Roma con il ministro William Barr”. In quel viaggio, ricorda l’emittente, i due hanno incontrato i dirigenti dei Servizi di intelligence italiani in due distinti incontri, a Ferragosto e il 27 settembre. Circostanze su cui il premier italiano Giuseppe Conte ha informato il Copasir e di cui ha parlato anche nel corso di una conferenza stampa, sottolineando che l’indagine di Barr riguardava il comportamento dell’intelligence americana - e non di quella italiana - e che i Servizi italiani sono estranei al Russiagate. 

La missione romana, però, spiegano fonti alla Fox, sarebbe stata quella l’occasione in cui sarebbero emerse queste “new evidences”. Prove che fonti d’intelligence italiane smentiscono - “mai dato alcuna prova” - come già avevano fatto in passato con la storia dei due cellulari Blackberry di Joseph Mifsud - il professore maltese al centro della vicenda - che sarebbero stati consegnati dagli 007 agli americani e come avevano fatto ancora prima quando sempre dagli Usa era trapelata la ‘notizia’ che a Barr e Durham sarebbe stato consegnato un nastro con la voce di Mifsud. A Fox News le stesse fonti hanno poi riferito che ora Durham è “molto interessato” a sentire James Clapper e John Brennan, direttori rispettivamente della National Intelligence e della Cia quando il controverso dossier dell’ex spia britannica Christopher Steele, pagato dalla campagna di Hillary Clinton e dal partito democratico, fu usato per intercettare l’ex consigliere di Trump Carter Page”.

Al di là delle novità che dagli Usa rilanciano, resta una domanda: perché Conte ha autorizzato i colloqui tra un’autorità politica e i vertici dei servizi d’intelligence? E resta lo scontro politico, con protagonisti gli ex alleati di governo. L’attacco che lo stesso Conte ha rivolto in conferenza stampa all’ex alleato Matteo Salvini dopo l’audizione al Copasir, sui presunti fondi russi per la Lega e gli incontri di Savoini a Mosca, ne è la riprova. Il presidente del Consiglio trova l’appoggio di Zingaretti - “ha ragione da vendere, Salvini deve spiegare” - e di Maio, secondo il quale Conte ha fatto una ricostruzione “nei minimi particolari” di quella che è stata una “interlocuzione a livello istituzionale, come è normale che ci sia tra due paesi alleati”. Dunque “l’unico Russiagate che esiste - dice il capo politico dei 5 stelle con una dichiarazione in linea con quella del premier - è quello che riguarda la Lega e Salvini”. Per la Lega parla Paolo Arrigoni, membro del Copasir. Conte, dice, è un “irresponsabile completamente accecato dall’odio contro Salvini, che per difendere se stesso mette a rischio la sicurezza nazionale: la seduta non è mai intervenuta sul presunto scandalo russo che coinvolgerebbe Salvini, anche perché c’è un’indagine della magistratura”. Al premier replica anche lo stesso Matteo Salvini: “Teoricamente doveva giustificare i suoi problemi con i Servizi segreti. E di cosa ha parlato? Di me. Un po’ come quando al liceo mi interrogavano in fisica o mi chiedevano della disequazione e io partivo con le supercazzole”.

Viewing all 105427 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>