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Ergastolo ostativo, nessuno sconto alla criminalità organizzata

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La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, precondizione assoluta la piena prova di partecipazione al percorso rieducativo del condannato. 

Le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate dalla Corte di Cassazione (con ordinanza del 20 dicembre 2018) e dal Tribunale di Sorveglianza di Perugia (con ordinanza del 28 maggio 2019) in tema di accesso al beneficio penitenziario del permesso premio per il condannato all’ergastolo che non abbia collaborato con la giustizia.

Nelle scorse settimane anche la Corte di Strasburgo (causa Viola contro Italia) ha bocciato l’ergastolo ostativo motivando che lo stesso violi il principio dell’art. 3 della Convenzione europea (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e evidenziando come l’ergastolo ostativo sia lesivo della dignità umana.

Infatti subordinare una “collaborazione” al principio rieducativo è una palese violazione dell’art.27, co.3 della Costituzione che prevede il principio del finalismo rieducativo della pena e dal connesso divieto di trattamenti contrari al senso di umanità. Violazione, altresì, anche dell’art.2 Costituzione, perché la scelta tra collaborare e non collaborare si sviluppa sotto la forte pressione psicologica dell’alternativa tra segregazione perpetua e possibilità di tornare liberi.

La collaborazione con la giustizia non è infatti un indicatore certo e univoco di mancato ravvedimento. Infatti si può decidere anche di non collaborare per il timore di esporre sé stesso o propri famigliari al pericolo di ritorsioni.

L’istituto dell’ergastolo ostativo è stato introdotto con legge 7 agosto 1992, n.356 nel corpo dell’art. 4 bis O.P. La ratio consiste nella condizione essenziale di una collaborazione con la giustizia per il suo superamento. Lo stesso negli anni è stato più volte ritenuto conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tendenziale finalità rieducativa della pena.

La scelta collaborativa dunque secondo il nostro ordinamento dimostrerebbe la totale dissociazione del detenuto dal contesto mafioso. Al contrario, il diniego a una eventuale collaborazione costituirebbe la persistenza del legame ancora in essere con un sodalizio criminale. In tal caso siamo difronte al “fine pena mai”.

I primi segnali nella direzione del possibile superamento del regime dell’ostatività sono da ricondurre ai lavori della commissione “Palazzo”, incaricata nel 2013 di elaborare un progetto di riforma del sistema penale. Tra le altre proposte, la commissione inserì quella di ipotizzare un’ulteriore alternativa rispetto alla collaborazione utile e a quella inesigibile, con l’aggiunta al co. 1 bis dell’art. 4 bis O.P. della frase “e altresì nei casi in cui risulti che la mancata collaborazione non escluda il sussistere dei presupposti, diversi dalla collaborazione medesima, che permettono la concessione dei benefici summenzionati”.

Il tema venne ripreso ai lavori degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale. La proposta finale prevedeva che la preclusione potesse essere superata per i detenuti che avessero posto in essere concrete condotte riparative in favore delle vittime del reato, dei loro familiari o della comunità civile, generando significativi risultati in termini di ricomposizione dei conflitti, di mediazione sociale e di cambiamenti di vita. 

La stesura finale della legge delega di riforma dell’ordinamento penitenziario, inserita nella L. 23 giugno 2017, n. 103, ha però espunto ogni possibilità di riconsiderazione dell’istituto dell’ergastolo ostativo.

Anche l’evoluzione più recente della giurisprudenza costituzionale, ancor prima della dichiarazione di ieri, ha riconosciuto alla rieducazione un rango decisamente predominante come si desume, dall’affermazione del “principio della non sacrificabilità della funzione rieducativa rispetto a ogni altra, pur legittima, funzione della pena” (Sent. n. 149/2018).

La Corte Costituzionale in queste ore ha compiuto un ulteriore passo nella direzione sollecitata dalla Cedu. Ha ristabilito in parte i principi costituzionali spesso affievoliti a torto o ragione dallo Stato nel contrasto alle organizzazioni criminali. Nessuno automatismo favorevole dunque a mafiosi e terroristi condannati all’ergastolo, come certa stampa vuole far credere, sarà sempre la magistratura di Sorveglianza ad accertare la dissociazione da logiche mafiose di determinati detenuti. La lotta alle mafie, giusta e ineccepibile, non può però ledere la dignità dell’individuo in uno stato di diritto.

 

Il simbolo del ritorno sulla Luna è il volto di una donna

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Nasa la foto ispirata alla dea greca Artemis

Il ritorno alla Luna ha un simbolo femminile: la Nasa pubblica l’immagine di un volto di donna, ispirato alla dea greca Artemis, che emerge dal chiaroscuro di una Luna stilizzata e dedicato, oltre che al programma, alla prima donna che metterà piede sul suolo lunare. L’immagine, proposta in più colori, è adattabile sia per il desktop dei pc sia per smartphone e tablet.

Il programma con cui la Nasa intende riportare l’uomo sulla Luna prende infatti il nome da una divinità greca femminile, Artemis, la sorella gemella di Apollo e dea della luna e della caccia. “Attraverso il programma Artemis, vedremo la prima donna e il prossimo uomo camminare sulla superficie della Luna” scrive la Nasa sul suo sito internet. “Come “portatrice di torcia” - aggiunge - letteralmente e figurativamente, Artemis ci farà luce per andare su Marte”.

 

 

Il ritorno sulla Luna è infatti per la Nasa il trampolino per portare l’uomo sul pianeta rosso. “Il ritratto della dea greca Artemis è tratteggiato nei suoi punti salienti ed emerge dalle ombre della falce di luna. I suoi lineamenti sono abbastanza astratti, in modo che ogni donna possa vedersi in lei”.

La "terza via" di Di Maio

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Da sinistra: Conte, DI Maio, Bianconi, Zingaretti, Speranza

Un tripudio di flash ha dato il via all’auditorium San Domenico di Narni all’evento sulla manovra organizzato dalla coalizione di governo. Un’occasione che vede per la prima volta sullo stesso palco il premier Giuseppe Conte, il leader M5S Luigi Di Maio, il segretario dem Nicola Zingaretti e il leader di LeU Roberto Speranza. A suggellare il patto una foto di gruppo - la prima dell’alleanza umbra - con al centro Vincenzo Bianconi, il candidato comune di M5S, Pd e LeU alla presidenza della Regione Umbria.

Per Di Maio, “lavorare insieme per un progetto comune è già una vittoria”. Il patto civico su Bianconi - ha detto il leader M5S - prevede che “se vinci scegli i migliori di questa comunità per i tuoi assessori. Non è semplicemente un’alternativa, è una terza via”.

 

 

Il premier Conte e il ministro degli Esteri Di Maio sono arrivati a Narni a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro, salutati al loro arrivo da Bianconi: un uomo “coraggioso”, l’ha definito Conte. “Andiamo avanti determinati, siamo con voi”, ha detto il premier ai cittadini che lo hanno accolto in piazza. “Per me da lunedì non cambia nulla, io ci sono per voi e per l’Umbria”. 

“Sono qui - ha aggiunto Conte -  per offrire una mia testimonianza nella consapevolezza che non si voterà per il governo ma che è in atto un esperimento interessante. Vincenzo Bianconi può fare bene per questa Regione: ha idee chiare, è determinato. È una persona che non ama sottrarsi alle sfide. Non ha questa pavidità. E io l’ho apprezzato anche per questo. Ha sollecitato una convergenza, una condivisione. C’è una lista che fa riferimento a lui ma ci sono anche le forze politiche” che sostengono il governo.

“Questa alleanza politica, questo spazio comune non è una semplice parentesi, sono convinto che possa rappresentare il futuro per il Paese, un investimento strategico”, ha detto il ministro della Salute Speranza a margine dell’evento del governo sulla manovra. “Si è chiusa la stagione dei tagli e ricominciamo la stagione degli investimenti”, ha aggiunto. “Si può costruire una bella e importante alternativa. Nelle prossime ore sono convinto che anche da qui possa arrivare un segnale per questa nuova sfida”.

Dei quattro Nicola Zingaretti è l’unico a non avere un ruolo nel governo. “Non sono ministro ma sostengo questo governo, le sue scelte, per un motivo semplice: l’Italia è un grandissimo Paese e uno dei più importanti per la manifattura. Eppure è un Paese fragile, troppi poveri, troppa dispersione scolastica, che vive nella contraddizione tra grandi potenzialità e grande fragilità”, ha dichiarato il segretario Pd. E ancora: “Guardiamo con sospetto chi, anche qui in Umbria, non dà risposte alle paure, anzi le cavalca. Siamo diversi ma tutti uniti dall’amore dall’Italia. Abbiamo bisogno di ricostruire fiducia”.

 

Da sinistra: Roberto Speranza, Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio

Morandi ritrova la fan: "Si chiama Gabriella, non la vedo da quella sera del '96

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“Questa bella ragazza si chiama Gabriella e credo di non averla più vista da allora…”.  Gianni Morandi ha pubblicato su Facebook uno scatto per ricordare una sua vecchia fan, a cui era particolarmente legato. A inviargli la foto, in cui il cantante emiliano sorride accanto alla sua ammiratrice, è stato il figlio della donna, Luca.

“Siamo nel 1966 in un locale, o meglio, in un dancing, La Lucciola di Concordia sul Secchia, in provincia di Modena”, scrive Morandi nel post sui social. Nei commenti gli utenti hanno incominciato a pubblicare antiche fotografie scattate con il cantante. In luoghi e posti diversi. Tutte di tanti anni fa. 

Il figlio di Gabriella ha raccontato alla Gazzetta di Modena

“Ho inviato a mio fratello Elia la foto di mia madre con Gianni Morandi. Poi ce la siamo trovata sui social. La mamma non ha Facebook e l’abbiamo avvertita noi. Figuratevi, la chat di famiglia si è infiammata”. 

Appena ha ricevuto l’immagine Gianni ha chiamato a Luca per ringraziarlo e per chiederli che fine avesse fatto la sua ammiratrice: 

″È stato carino. Abbiamo chiacchierato un po’ e mi ha chiesto come stava mia mamma. La foto dovrebbe essere stata scattata alla Lucciola o in un locale di Suzzara che non c’è più. All’epoca era naturale che i cantanti famosi venissero nella Bassa per esibirsi”, ha continuato a raccontare alla Gazzetta. 

Manuel Bortuzzo a Luca Sacchi: "Nel mio caso la vita è stata bastarda, con te non ha avuto pietà"

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“Nel mio caso la vita è stata bastarda, con te non ha avuto proprio pietà”. Manuel Bortuzzo si rivolge direttamente a Luca Sacchi, come potesse leggere le sue parole, sentire la sua vicinanza. Il nuotatore ha dedicato una story su Instagram al ragazzo ucciso a Roma, dopo aver tentato di difendere la fidanzata da uno scippo. Anche Manuel, come Luca, è stato raggiunto da un colpo di proiettile nelle strade della Capitale, che gli ha causato la paralisi delle gambe.

VIDEO - Un testimone: ″Hanno sparato un solo colpo e sono fuggiti″ 

 

“Non ho mai sentito un episodio così vicino a me”, ha scritto Bortuzzo in una story su Instagram, accompagnata dalla foto di Luca con la ragazza, “Ma se nel mio caso la vita è stata bastarda, con te non ha avuto proprio pietà. Riposa in pace Luca, non ho più parole per descrivere quello che provo in questo momento. Mi stringo forte attorno ai familiari”

 

Il 9 ottobre gli autori dell’aggressione al nuotatore e alla fidanzata Martina sono stati condannati a a 16 anni, con provvisionale di 300mila euro a titolo di risarcimento. Bortuzzo ha così commentato la sentenza: “Non cambia le cose: non mi restituirà certamente le gambe. In questo momento penso esclusivamente a riprendermi, consapevole che la giustizia debba fare il suo corso. Non mi importa sapere se chi mi ha fatto del male sia punito con 16 o 20 anni di prigione. Nessuna sentenza mi può fare ritornare come prima”.

VIDEO - I rilievi dei carabinieri sul luogo del delitto

 

Il seminario sessista di Ernst & Young: "Non ostentare il tuo corpo: la sessualità confonde la mente"

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Frammenti del fascicolo consegnato alle dirigenti EY

Controllare la voce affinché non risulti sgradevolmente acuta, vestire in modo attraente ma non troppo sexy perché la “sessualità confonde la mente”, essere sane e in forma, sfoggiare sempre un bel taglio di capelli e mantenere un aspetto curato, a partire dalle unghie. Sono queste alcune delle indicazioni fornite dalla società di contabilità internazionale Ernst & Young a 30 dirigenti, durante un seminario di formazione sul tema leadership ed emancipazione nella nuova sede di Hoboken, nel New Jersey, nel giugno 2018.

Il training era intitolato Power-Presence-Purpose o PPP e i “consigli” erano contenuti in una dispensa di 55 pagine che una delle partecipanti, indignata, ha consegnato ad HuffPost Usa. L’intento della società sarebbe stato quello di fornire indicazioni utili a donne che si trovano ad operare in un ambiente dove la leadership è prettamente maschile. 

Tra indicazioni e consigli, anche un monito alle dipendenti donne: “Non ostentare il tuo corpo: la sessualità confonde la mente (di uomini e donne)”. Il fascicoletto, inoltre, non teneva in considerazione l’esistenza di soggetti identificabili come “non binari” dal punto di vista dell’identità sessuale.

La segnalazione della dipendente EY arriva in un momento in cui la società si sta ancora riprendendo da un caso emerso molestie, emerso dopo l’ondata di denunce del Me Too: Jessica Casucci, dipendente dell’azienda aveva affermato di essere stata aggredita sessualmente da un collega.

Eppure, c’è chi nega le accuse di sessimo. “Professionalmente, il PPP è stato il training di leadership di maggior impatto a cui ho avuto l’opportunità di partecipare e sono sempre stata incredibilmente orgoglioso di prenderne parte. Sono grata all’azienda per l’opportunità e l’investimento che fa sulle donne”, ha dichiarato all’HuffPost il senior executive di EY Stacey Moore.

Ma tornando alla segnalazione della dipendente, durante il seminario ci sarebbe stata una riflessione sulla differenza di comportamento dei dipendenti durante le riunioni: le donne spesso “parlano sinteticamente” o “perdono il segno, aspettano il loro turno per parlare (che non arriva mai) e alzano la mano”, al contrario degli uomini “parlano a lungo”, tenendo bene a mente le proprie idee e mostrando sicurezza.

Prima dell’inizio del seminario su leadership ed emancipazione, alle dipendenti è stato anche fornito un questionario di auto-valutazione. Nel documento da compilare, le caratteristiche maschili erano contrassegnate dai termini come “leader”, “ambizioso”, “analitico”, “di forte personalità”, mentre gli attributi femminili erano “allegra”, “compassionevole”, “infantile”, “amante dei bambini”.

Il questionario fornito alle dirigenti EY prima del seminario

La partecipante che ha inoltrato la segnalazione ad HuffPost, inoltre, ha raccontato che durante il seminario è stato affermato che i cervelli delle donne sarebbero più piccoli rispetto a quelli degli uomini per una percentuale che oscilla tra il 6 e l′11%. Sarebbe stato affermato anche che “i cervelli delle donne assorbono informazioni come i pancake assorbono lo sciroppo” e che, quindi, “per loro risulta più difficile concentrarsi”. Gli uomini, invece, avendo cervelli più simili ai waffle, hanno maggiore capacità di concentrazione e “raccolgono informazioni in ogni piccolo quadrato di cialda”.

A seguito della denuncia di HuffPost, Ernst & Young ha dapprima negato affermando che la società è “orgogliosa dell’impegno di lunga data nei confronti delle donne ed è impegnata a creare e promuovere un ambiente di inclusività e appartenenza a EY”. “Tutto ciò che afferma il contrario è falso al 100%”, ha concluso la società.

In un secondo momento, Ernst & Young ha ammesso l’errore annunciando provvedimenti: “Per garantire che ciò non accada mai più, stiamo revisionando in maniera completa le procedure e i contenuti del programma, in quanto non vi è dubbio che siano stati inclusi contenuti offensivi incompatibili con le nostre convinzioni fondamentali”.

Qui l’intero articolo di Emily Peck pubblicato su Huffpost Usa

Una cultura della socialità diffusa contro la violenza urbana

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La scorsa notte, in un quartiere vicino al centro della capitale, un giovane è stato freddato con un colpo di pistola alla testa, per aver difeso la sua ragazza nel corso di una rapina. Pochi mesi prima, un altro ragazzo aveva subito lo stesso atroce destino: vittima di un proiettile che lo ha privato dell’uso delle gambe.

Parliamo in entrambi i casi di giovani per bene, lavoratori, sportivi e studenti che nulla avevano a che fare con la violenza o la criminalità. E che sono diventati attori involontari su un palcoscenico, quello della capitale, che sta trasformando Roma in una no man’s land.

Una città, dove, anche in un quartiere popolare molto diverso dalle periferie abbandonate, si consumano tragedie come queste e dove i microcrimini aumentano giorno dopo giorno assieme alla sempre maggiore diffusione della droga, in un crescendo di allarme sociale.

Che senso assume oggi il concetto di “abitare”? O si è addirittura perduto? Perché il termine abitare dovrebbe esprimere la sicurezza, la pace, il riparo, gli  affetti e  la libertà e, invece, ci ritroviamo in nonluoghi dove si rischia anche la vita. Non si tratta, infatti, di garantire semplicemente la sicurezza attraverso le forze dell’ordine e il controllo delle nostre città, che pure è, ovviamente, necessario.

Si tratta di costruire una cultura della territorialità per contrastare i vuoti di senso e la disumanizzazione che generano violenze inattese e incomprensibili. Per questo è decisivo abitare la città come un luogo di “cura” e progettare lo sviluppo delle città come luoghi di cui prendersi cura, in sintonia con le esigenze, i vissuti, i valori.

Le città, come scrive Italo Calvino, non sono luoghi in cui si scambiano soltanto merci, ma anche parole, desideri, ricordi. Ed è proprio da Calvino che viene una importante indicazione per una pedagogia dell’abitare: “cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. A Roma, oggi, sembra proprio mancare questo.

Le crescenti trasformazioni negli scenari della composizione sociale, nei rapporti tra le persone  e nelle forme della partecipazione devono necessariamente aprire nuove dimensioni ai temi della cura educativa delle persone e del territorio. L’educazione alla territorialità si esprime nell’appartenenza a un contesto.

Il territorio è luogo primo dei vissuti della quotidianità e fondamento dell’abitare come possibilità di riconoscersi e di essere riconosciuti. Il radicamento rende partecipi di quella “socialità diffusa” che alimenta l’etica della responsabilità e del prendersi cura delle persone.

La frammentazione sociale si è acuita in questi anni per la diminuita importanza dei luoghi di aggregazione tradizionali, per la tendenza a privilegiare l’interno, anche la solitudine nella folla virtuale connessa nelle reti web, con il conseguente impoverimento delle reti territoriali.

Un’educazione alla territorialità  dovrebbe quindi porre in primo piano i temi della coesione, della partecipazione, della sussidiarietà come elementi essenziali per progettare scelte politiche, educative e sociali incentrate sul primato della persona. La partecipazione è fattore decisivo di educazione per un reale protagonismo dei cittadini e delle famiglie, soggetti attivi di fronte al dilagare dell’indifferenza e della violenza.

Un sistema di welfare-mix fondato sulla rete tra i servizi territoriali educativi, sociali e sanitari può alimentare cultura della domiciliarità. I nuovi problemi richiedono di porsi in un’ottica di ascolto reciproco e di tradurlo in strategie condivise.

Questo significa implementare una prevenzione diffusa che comporta crescita e rafforzamento del tessuto sociale e delle sue potenzialità positive. “Promozione” significa valorizzazione delle risorse positive esistenti anche nei contesti più difficili, presuppone che se ne riconosca il valore sociale positivo, poiché la promozione comporta forme nuove di rappresentanza sociale e culturale, la volontà di dare voce alle persone, promuovendo, oltre agli scambi di mutuo aiuto, anche forme più vaste di solidarietà e il potenziamento delle reti relazionali, favorendo l’aiuto reciproco attraverso iniziative individuali o a piccoli gruppi (degli “spazi incontro”).

E’ quindi indispensabile perseguire una politica di prevenzione diffusa, di crescita del tessuto sociale, rafforzandone la vitalità e le potenzialità. Favorire la solidarietà è un’azione che deve avvenire in costante dialogo con il territorio. Dove non si fornisca soltanto un servizio per un determinato bisogno ma si persegua un sentire eticamente orientato. Oggi se vogliamo ridare speranza alle nostre città non possiamo che partire da qui.

L'Ue si incarta sulla proroga Brexit. E rinvia a sua volta la decisione

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L’Ue riesce a impantanarsi anche sulla richiesta di rinvio della Brexit arrivata da Londra, dopo che la scadenza del 31 ottobre è ormai sfumata. Stamane una seconda riunione degli ambasciatori dei 27 paesi membri, dopo quella di due giorni fa, non ha raggiunto l’obiettivo: tutti d’accordo sulla necessità di concedere una proroga, nessuna decisione su quanto concedere. Ancora una volta prevale il veto di Emmanuel Macron, da sempre contrario a concessioni più lunghe.

Per lo meno, nella riunione di stamane si è deciso che qualunque scelta sarà adottata con procedura scritta e non con un vertice straordinario. Gli ambasciatori si sono aggiornati all’inizio della prossima settimana, quando a Westminster è previsto il voto sulla richiesta del premier Boris Johnson di elezioni anticipate al 12 dicembre.

Fanno sapere da Downing Street che, se alla Camera dei Comuni non ci sarà la maggioranza dei due terzi necessaria ad accogliere la richiesta di voto anticipato, allora si procederà con l’esame degli emendamenti all’accordo raggiunto con l’Ue e approvato dal Parlamento britannico questa settimana. 

Ecco ma, da parte europea, ha prevalso la richiesta di Macron di vedere prima come va il voto sulla richiesta di elezioni anticipate. E poi decidere se concedere altri tre mesi di proroga, fino al 31 gennaio, la data che sembrerebbe più scontata, visto che è contenuta sia in due risoluzioni approvate da Westminster, sia nelle tre lettere – pur contraddittorie - inviate da Johnson a Bruxelles. Così scontata che anche il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha inviato una lettera al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk raccomandando di concedere una proroga al 31 gennaio.

Eppure i leader non sono capaci di prendere una decisione. “Buona discussione, nessuna decisione”, annuncia il capo negoziatore europeo sulla Brexit Michel Barnier. C’è da dire che in ogni dibattito sul rinvio della scadenza del 31 ottobre, da Bruxelles hanno sempre sottolineato che ogni richiesta di proroga da parte di Londra andava giustificata, con elezioni anticipate oppure con un secondo referendum.

Ma a questo punto non è bastata la richiesta di Johnson: i leader europei vogliono prima vedere cosa decide Westminster. O meglio: ha prevalso Macron con la richiesta di aspettare Londra qualche giorno per poi decidere se il rinvio sarà di tre mesi oppure di un solo mese, come pure è stato ipotizzato all’Eliseo.


"Temo sia stato mio figlio a uccidere Luca". La madre di uno dei due fermati ha fatto scattare l'indagine

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“Temo sia stato mio figlio, forse è coinvolto nell’omicidio di Luca Sacchi”. Sarebbe partita dalla denuncia di una madre l’indagine che ha portato all’arresto di Valerio Del Grosso e Paolo Pirino, i due fermati per l’assassinio del 24enne personar trainer romano. A riferire i dettagli dell’operazione sono stati il capo della Squadra Mobile di Roma Luigi Silipo e il colonnello Mario Conio, comandante del Reparto operativo dei Carabinieri della Capitale. 

 

Dopo la rapina si sono nascosti - Del Grosso e Pirino, entrambi 21enni, si sono nascosti dopo la rapina a Colli Albani nella quale è stato ucciso Sacchi, raggiunto da un colpo di pistola alla testa nel tentativo di difendere la fidanzata. Entrambi i giovani sono del quartiere San Basilio. Pirino è stato trovato dagli investigatori in una palazzina di Tor Pignattara mentre Del Grosso in un hotel a Tor Cervara.

 

Paolo Pirino viene portato via dai Carabinieri di Roma

 

I precedenti - Da fonti della questura emerge che nei confronti dei due sono stati raccolti gravi indizi. Intanto Del Grosso e Pirino sono stati portati nel carcere di Regina Coeli. L’arma del delitto ancora non è stata trovata, mentre è stata sequestrata l’auto usata per la fuga dopo la rapina. 

 

Valerio Del Grosso, uno dei due fermati per l'omicidio di Luca Sacchi, il 24enne ucciso due sere fa a Roma con un colpo di pistola, viene portato nel carcere di Regina Coeli, Roma, 25 ottobre 2019.

Angelina Jolie: "Spero di vivere più a lungo di mia madre. I miei figli dovevano godere ancora del suo amore"

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“Mia madre ha combattuto la malattia per 10 anni, e questo l’ha fatta diventare 50enne. Mia nonna è morta a 40 anni. Spero che le mie scelte mi permettano di vivere un po’ più a lungo”. In un lungo saggio apparso sul Time, Angelina Jolie torna a parlare della malattia della madre, delle sue scelte di chirurgia preventiva e dell’importanza di un sostegno non solo scientifico, ma anche psicologico per i malati di cancro. 

“Mia madre ha lottato contro il cancro per quasi un decennio”, scrive sul Time, “Mentre mi trovavo nel corridoio dell’ospedale, in attesa che il suo corpo venisse trasportato al luogo in cui sarebbe stato cremato, il medico mi disse che aveva promesso a mia madre che si sarebbe assicurato fossi informata sulle mie opzioni mediche. Anni dopo sono stata in grado di effettuare un test genetico che rilevava che avevo un gene, il cosiddetto BRCA1, che mi predispone al cancro. Il test è arrivato troppo tardi per le altre donne della mia famiglia”. 

L’attrice ha effettuato una doppia mastectomia e ho rimosso le ovaie e le tube di Falloppio per ridurre il rischio di sviluppare il cancro. Una decisione di cui non si pente: “Sono felice di aver fatto delle scelte per migliorare le mie probabilità di essere qui e vedere i miei figli diventare adulti, incontrare i miei nipoti. Spero di trascorrere quanto più tempo possibile con loro. Ormai è trascorso un decennio da quando ho perso mia madre. Ha incontrato solo alcuni dei suoi nipoti e spesso era troppo stanca per giocare con loro. Non posso pensare a quanto le loro vite avrebbero beneficiato di altro tempo trascorso con lei, con la sua protezione, il suo amore, la sua grazia”. 

Jolie non nasconde le difficoltà della sua decisione, ma per lei ne è valsa la pena: “Ho un cerotto per gli ormoni e devo sottopormi a regolari controlli sanitari. Vedo e sento il mio corpo cambiare, ma non mi dispiace. Sono viva e per ora in grado di gestire tutte le problematiche che ho ereditato. Le cicatrici ci ricordano ciò che abbiamo superato. Ci rendono unici. Sono le cose più belle dell’esistenza umana. Ma le cicatrici più difficili da sopportare sono spesso invisibili, sono quelle della mente”. 

Ritrova sullo stesso treno l’uomo che tentò di violentarla: lo riconosce e lo fa arrestare

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Aveva cercato di violentarla sul treno, lei lo ritrova sullo stesso convoglio, lo riconosce e lo fa arrestare. È accaduto su un treno diretto a Lecco nella tarda serata di mercoledì, dopo che la vittima ha allertato i poliziotti del commissariato di Sesto San Giovanni. A riportare la vicenda è Milano Today

L’uomo fermato ha 33 anni ed è di origini egiziane. La tentata violenza era avvenuta lo scorso 16 settembre sul treno diretto della linea S8. Stando a quanto riferito dalla 49enne, l’uomo le aveva messo le mani addosso, l’aveva immobilizzata, mettendole una mano sulla bocca per non farla urlare. La donna era comunque riuscita a divincolarsi e a scappare. Nei giorni successivi, la vittima aveva nuovamente visto l’uomo sul treno ed era fuggita. Da quel momento non aveva viaggiato più sola.

Come emerso da ulteriori sviluppi, l’episodio dell’aggressione risale al 16 settembre a bordo di un treno per Lecco, che lei prende tutti i giorni e che, da quel momento, ha cercato di prendere sempre in compagnia di qualcuno. In una occasione, i due si sono anche rivisti e lui l’ha minacciata (“tanto, ti troverò da sola un giorno”).

Poi nella tarda serata di mercoledì il nuovo incontro. Ma questa volta la donna è riuscita a prendere il telefono e a chiamare le forze dell’ordine che hanno proceduto all’arresto del 33enne.

 

Franco Gabrielli: "Roma ha i suoi problemi ma non è Gotham City"

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ROME, ITALY - FEBRUARY 06: The Chief of Police Franco Gabrielli, during the presentation of the book

L’omicidio di Roma indica che “forse tutti dovremmo avere un atteggiamento di grande cautela, senza anticipare giudizi ed emettere sentenze e senza utilizzare la sicurezza come strumento di contesa politica”. Lo ha detto il capo della polizia Franco Gabrielli riferendosi all’uccisione del 24enne Luca Sacchi .

Gabrielli ha continuato: “Che Roma abbia i suoi problemi credo
che nessuno lo disconosca, ma arrivare a rappresentare la nostra capitale come Gotham City...”.

Il capo della polizia ha aggiunto: “Questo è un fatto gravissimo perché è morto un ragazzo di 24 anni. Un episodio che dovrebbe imporre ad ognuno di noi un atteggiamento di grande riflessione e rispetto”.

I responsabili, ha aggiunto Gabrielli, “sono stati subito individuati e sono stati definiti i contorni di una vicenda che con una città alla deriva ed in mano al crimine ha poco a che fare”.

I sindacati uniti contro Raggi: "Dimettiti. Roma è abbandonata"

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“Dimissioni”. Questo è il coro dei sindacati che si alza in piazza del Campidoglio contro Virginia Raggi. I manifestanti non hanno apprezzato il tweet della sindaca di Roma sul grande sciopero in atto nella Capitale: “Una minoranza di sindacalisti prova a tenere in ostaggio una città di 3 milioni di abitanti: di lavoratori, di madri e padri che ogni giorno accompagnano i propri figli a scuola, di studenti e pendolari. La maggioranza dei cittadini è stanca di scioperi ingiustificati”.

Infatti le principali sigle di sindacali si sono date appuntamento davanti al comune di Roma per contestare l’operato della sindaca Raggi. “Dopo tre anni dall’elezione della sindaca abbiamo una Roma abbandonata. Oggi il mondo del lavoro è totalmente in crisi e sta rischiando a causa della gestione di questa amministrazione”, ha dichiarato dal palco Ermenegildo Rossi dell’Ugl.

Per Alberto Civica - della Uil - “Roma non si merita di essere governata così. Lo sciopero generale è stato indetto il primo ottobre, quando è stato chiesto l’intervento della forza pubblica contro i lavoratori di Roma Metropolitane. Vergogna. Se parliamo di questo episodio, certo che si tratta di uno sciopero politico”.

Sulla stella linea anche Natale Di Cola, della Cgil, che ha spiegato come lo sciopero di oggi sia la dimostrazione del grande malessere vissuto dai lavoratori che hanno capito le ragioni dello sciopero e vogliono fermare il degrado.

 

Accanto ai sindacati a protestare in piazza del Campidoglio ci sono anche diversi rappresentanti politici delle opposizioni al M5s a Roma, con il Pd in testa. Dura la critica del capogruppo dem Giulio Pelonzi: “L’adesione massiccia al primo vero sciopero generale dei servizi che fanno capo alle società capitoline è un’eclatante conferma dell’insofferenza che questa città nutre nei confronti della Giunta Raggi. Una Capitale allo sbando, travolta dall’inefficienza e dalla totale assenza di progettualità”.  

In difesa della prima cittadina romana è arrivato il post su Facebook della senatrice del M5s Paola Taverna: “Lo sciopero selvaggio di oggi rischia di mettere Roma in ginocchio e di bloccare una città. Il diritto a scioperare è sacrosanto e su questo non vi è alcun dubbio. Il dubbio che ho riguarda piuttosto la sua possibile strumentalizzazione”. “Mi viene da pensare che lo sciopero di oggi è figlio della solita narrazione: si ripete all’infinito che un’azienda pubblica non funziona, anche quando c’è chi si sforza di invertire la rotta, per convincerci che il privato funziona meglio ed è la soluzione di tutti i mali”, sottolinea sui social la vicepresidente del Senato.

Pistole, Scarface e tatuaggi. Il profilo Fb di Paolo Pirino è un inno alle gang di periferia

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Paolo Pirino

Tatuaggi, armi, Scarface, lo sguardo di sfida. Il profilo Facebook di Paolo Pirino, uno dei due fermati per la morte di Luca Sacchi, è un inno alla filosofia del ‘ganghista’ di periferia in chiave Gomorra.

La foto che campeggia sulla pagina è di tre incappucciati armati e ancora più giù foto di uomini con mitra e pistole. Ed è una pistola spianata quella che Pirino ha tatuata sul petto assieme all’immagine di tre donne. Tatuaggi che Pirino sfoggia in più foto, come quello sulla mano sinistra, l’anno di nascita - 1998 - e l’effigie della Madonna. Poi tanti post con canzoni neomelodiche e frasi ad effetto e foto che ritraggono Pirino in atteggiamenti da duro, jeans strappati e giubbotti di pelle.

Il giovane è stato trovato dagli investigatori in una palazzina a Tor Pignattara, mentre Valerio Del Grosso, l’altro fermato, è stato rintracciato in un hotel a Tor Cervara. Pirino ha precedenti per stupefacenti mentre Del Grosso, il ragazzo che avrebbe premuto il grilletto, per percosse.

Arcelor Mittal: cancellare l’immunità (che non c’era) significa cancellare gli investimenti

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Unire sindacati, imprese, ex ministri, opposizione, parlamentari che sostengono il Governo (me compresa): la scelta della maggioranza di votare - dentro la conversione in legge del decreto sulle crisi aziendali - la norma sulla responsabilità penale dei vertici Arcelor Mittal è riuscita a produrre un risultato davvero significativo, se non fosse che si tratta di un’unione di protesta, per segnalare quello che pare un errore evidente, un “obbrobrio giuridico” come ha scritto Claudio De Vincenti.

Innanzitutto facciamo chiarezza: la norma che è stata abrogata era stata introdotta nel 2017 dal governo Gentiloni per garantire le condizioni che rendevano possibile l’investimento di oltre 4 miliardi sull’ex Ilva ed è stata prorogata ancora lo scorso anno. La norma non prevedeva nessuna immunità per la nuova dirigenza nell’esercizio delle sue funzioni (tanto che, come ricorda il comunicato congiunto dei sindacati confederali, si è continuato ad indagare su eventuali reati, come sulla sicurezza del lavoro), ma prevedeva solo la non perseguibilità rispetto ai possibili reati ambientali commessi nella precedente gestione, in relazione alla realizzazione del piano di bonifica ambientale, che è parte centrale dell’accordo e dell’investimento.

Lo ripeto: nessuna immunità, ma solo la tutela di poter realizzare quanto concordato con lo Stato italiano senza rischiare di essere puniti per responsabilità non proprie.

Con l’aggravante che il contratto con cui Arcelor Mittal ha confermato l’investimento, nel settembre 2018, prevede espressamente un diritto per l’impresa di recedere dagli impegni in caso di una modifica della normativa nazionale. Votando quella norma abbiamo allora creato le condizioni per l’addio agli investimenti e la chiusura di uno stabilimento industriale che è invece decisivo per Taranto, per il Sud, per tutta l’Italia.

È per tutto questo che sono arrivata ad un passo da non votare la fiducia, e nella riunione del PD che ha preceduto il voto ho segnalato con veemenza che stavamo sbagliando.

Se non si garantiscono le condizioni minime per poter investire e lavorare in Italia e se si vanno a modificare in corso d’opera i quadri normativi già condivisi finiremo per perdere definitivamente la presenza industriale a Taranto, ma non solo: rischiamo che molti antri investimenti siano cancellati e che chi voleva investire in Italia cambi idea, e rivolga altrove risorse che per noi è fondamentale riuscire ad attrarre.

Abbiamo approvato una norma che danneggia i lavoratori, che danneggia le imprese, che scoraggia chi sta investendo o vuole investire in Italia. Una norma che va contro gli interessi del Paese. E ciò che più mi sconforta e allarma è che non so perché l’abbiamo fatto. So che ho deciso di votare la fiducia perché il decreto conteneva misure importanti per altre aree di crisi, oltre che per rispetto della maggioranza della mia comunità politica. Ma non trovo nessuna ragione seria per non aver stralciato il passaggio su ArcelorMittal, nessuna ragione altra dal voler compiacere il M5s e le sue battaglie ideologico-comunicative. Ma in questo caso non c’è grido di “onestà” che tenga: l’onestà non c’entra nulla, è una questione solo di politiche industriali, di serietà politica e responsabilità verso un territorio, i lavoratori, gli investitori, verso tutto il Paese.

Sono convinta che su un voto come questo - che contraddice quanto fatto dai nostri governi in passato, che va contro sindacati, lavoratori e imprese, che non da risposte ai territori, che si piega ad alleati irresponsabili, che distrugge ogni ambizione di affidabilità - il PD rischi di perdere l’anima e le ragioni politiche che lo rendono un partito utile al Paese e al futuro, oltre a perdere le ragioni dello stare al governo. Prima di trovarci spettatori di questo scenario ripensiamoci, torniamo a modificare quella norma, recuperiamo credibilità e fiducia, facciamo valere i nostri valori e non accettiamo una competizione semplicistica e populista, da campagna elettorale permanente. Altrimenti abbiamo già perso.


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Le vittime invisibili dello streaming illegale

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È notizia di questi giorni la chiusura di Video Elite, storica videoteca romana di Via Nomentana, che ha rappresentato un pezzo fondamentale nella formazione cinefila di generazioni di giovani studenti, registi, attori, professionisti e appassionati di cinema.

Un luogo storico che è stato crocevia di tanti amanti del cinema, sicuri di poter trovare da Roberto Giamminuti e la sua famiglia, i proprietari, qualsiasi film cercassero.

Ventisei anni di attività, oltre 34mila titoli di cui almeno 10mila oramai introvabili: un patrimonio prezioso che, grazie all’interessamento del regista Marco Bellocchio, andrà alla Cineteca di Bologna.

Lo streaming illegale ha dato il colpo di grazia ad un settore in crisi. Abbiamo provato a resistere ma oramai non ha senso continuare”. Nelle parole del proprietario tanta amarezza e una dura verità: la pirateria non intacca solo i grossi gruppi industriali ma le conseguenze si riversano su tutti coloro che lavorano nel settore, a più livelli. Purtroppo, è ancora troppo bassa la consapevolezza di ciò che la pirateria comporta a livello economico, sociale e culturale.

Secondo i nostri studi i danni all’industria audiovisiva sono stimati in 600 milioni di euro l’anno, di cui 500 solo per il settore Home Entertainment. I posti di lavoro a rischio sono 5.900. Tra questi non ci sono attori, star o registi famosi ma persone che lavorano con passione per raccontare e distribuire in tutto il mondo storie meravigliose. Già la chiusura di Blockbuster Italia aveva rappresentato la fine di un’epoca e un cambiamento radicale nelle abitudini di tutti noi, un vero e proprio shock culturale per un’intera generazione di amanti del cinema. I tempi cambiano, i modelli di business si evolvono ma non possiamo non sottolineare il ruolo determinante che la pirateria audiovisiva ha giocato e sta giocando in tal senso.

Roberto con la sua videoteca è riuscito in questi anni a promuovere la settima arte “dai Lumière a oggi” incrociando gli sguardi appassionati dei suoi clienti. Tante le testimonianze d’affetto che sta ricevendo sui social, per tutti noi che siamo stati suoi clienti Video Elite ha rappresentato proprio un posto speciale dove parlare e vivere il cinema.

 

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La lezione del principe Carlo ad Harry: "Il suo documentario parla solo di lavoro"

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Mentre Buckingham Palace viene scosso dalla ventata di polemiche seguite all’intervista rilasciata da Harry e Meghan, il principe Carlo dà una lezione di etichetta ai suoi figli. Anche l’erede al trono sta registrando un documentario in cui si racconta: il suo, però, parla solo di lavoro.

Nessun accenno alla sua vita privata, alle sue emozioni, ai suoi segreti: di fronte alle telecamere il figlio di Elisabetta II si presenta in tenuta da campagna e descrive il ducato di Cornovaglia, la sua proprietà ereditata dalla regina, che oggi vale oltre un miliardo di sterline e si estende per più di 130mila acri. 

 

 

D’altronde il documentario si intitola proprio “Prince Charles: Inside the Duchy of Cornwall” e Carlo non ci tiene affatto ad andare fuori tema: certo, sottolinea il suo amore per quel luogo, ma non lascia trapelare altro sui suoi sentimenti. 

Immediato il paragone con l’intervista di Harry: agli spettatori britannici non è sfuggita la distanza tra i due documentari. Molti hanno interpretato quella di Carlo come una lezione di “compostezza” nei confronti dei figli, in particolare verso il secondogenito. 

“Caro duca e cara duchessa del Sussex - si legge in un commento - ecco una guida per voi. Questo è un documentario sul suo lavoro, non su di lui. È una lezione su come essere un reale. Prendete nota”. E ancora: “Che uomo meraviglioso. Abbiamo bisogno di conoscere molto di più il nostro futuro re. Dimentichiamoci Meghan, è così noiosa”. Mentre un altro commento recita: ”È affascinante questo equilibrio tra lavoro e comunità, tra modernità e tradizione. Amo il principe Carlo e il suo operato”. 

 

Hezbollah ai manifestanti: "Le proteste sono servite. Ma ora basta così"

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Si infiamma sempre di più la situazione del Libano nel giorno dell’attesissimo discorso del sayyid Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, finito a sua volta nel mirino dei manifestanti che da giorni chiedono la fine dell’intero sistema politico-confessionale vigente in Libano.

Un vuoto di potere - ha messo in guardia Nasrallah - porterebbe soltanto al caos e al collasso, date le difficili condizioni economiche e la situazione regionale. Per questo il leader ha chiarito che Hezbollah non sosterrà alcun piano che preveda la rimozione del presidente o le dimissioni del governo, pur riconoscendo ai manifestanti di aver ottenuto un risultato “senza precedenti”, vale a dire l’approvazione da parte del governo delle riforme straordinarie annunciate lunedì dal premier.

 

Da giorni il Paese è paralizzato da proteste popolari e disobbedienza civile in quasi tutte le regioni. Il governo del premier Saad Hariri ha varato lunedì scorso un massiccio piano di riforme economiche, che tuttavia non è bastato a placare le proteste. Né ha avuto successo l’offerta del presidente Michel Aoun, che ieri si è detto “pronto a incontrare i manifestanti per ascoltare le loro richieste”.

All’inizio delle proteste, una settimana fa, Nasrallah si era rivolto ai manifestanti invitandoli ad abbandonare le strade e ad affidarsi all’attuale governo, composto anche con ministri del Partito di Dio. Un invito respinto con forza dalla piazza, ingrossata da numerosi esponenti della base di Hezbollah. 

Oggi il leader di Hezbollah ha nuovamente invitato i suoi sostenitori a dare fiducia al governo, sottolineando - secondo quanto riporta Reuters - che nessun esecutivo era mai riuscito ad approvare riforme così significative in un’unica sessione. Nasrallah ha riconosciuto il merito di questo risultato “senza precedenti” ai manifestanti, esortandoli ad avere fiducia nel fatto che le riforme non resteranno inchiostro su carta, ma verranno implementate. 

Uomini armati di pietre e bastoni, descritti dai media come esponenti del partito sciita filo-iraniano libanese Hezbollah, hanno attaccato oggi manifestanti nella centrale piazza Riad Solh di Beirut, da giorni teatro di un sit-in anti-governativo.

La polizia è intervenuta e si è scontrata con gli assalitori, circondandoli. Questi rimangono nella piazza. Si registra un numero imprecisato di feriti tra poliziotti, giornalisti e manifestanti. Le tensioni si sono registrate prima del discorso del leader di Hezbollah, il sayyid Hassan Nasrallah, finito a sua volta nel mirino dei manifestanti, che chiedono la fine dell’intero sistema politico-confessionale vigente in Libano.

 

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