
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, precondizione assoluta la piena prova di partecipazione al percorso rieducativo del condannato.
Le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate dalla Corte di Cassazione (con ordinanza del 20 dicembre 2018) e dal Tribunale di Sorveglianza di Perugia (con ordinanza del 28 maggio 2019) in tema di accesso al beneficio penitenziario del permesso premio per il condannato all’ergastolo che non abbia collaborato con la giustizia.
Nelle scorse settimane anche la Corte di Strasburgo (causa Viola contro Italia) ha bocciato l’ergastolo ostativo motivando che lo stesso violi il principio dell’art. 3 della Convenzione europea (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e evidenziando come l’ergastolo ostativo sia lesivo della dignità umana.
Infatti subordinare una “collaborazione” al principio rieducativo è una palese violazione dell’art.27, co.3 della Costituzione che prevede il principio del finalismo rieducativo della pena e dal connesso divieto di trattamenti contrari al senso di umanità. Violazione, altresì, anche dell’art.2 Costituzione, perché la scelta tra collaborare e non collaborare si sviluppa sotto la forte pressione psicologica dell’alternativa tra segregazione perpetua e possibilità di tornare liberi.
La collaborazione con la giustizia non è infatti un indicatore certo e univoco di mancato ravvedimento. Infatti si può decidere anche di non collaborare per il timore di esporre sé stesso o propri famigliari al pericolo di ritorsioni.
L’istituto dell’ergastolo ostativo è stato introdotto con legge 7 agosto 1992, n.356 nel corpo dell’art. 4 bis O.P. La ratio consiste nella condizione essenziale di una collaborazione con la giustizia per il suo superamento. Lo stesso negli anni è stato più volte ritenuto conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tendenziale finalità rieducativa della pena.
La scelta collaborativa dunque secondo il nostro ordinamento dimostrerebbe la totale dissociazione del detenuto dal contesto mafioso. Al contrario, il diniego a una eventuale collaborazione costituirebbe la persistenza del legame ancora in essere con un sodalizio criminale. In tal caso siamo difronte al “fine pena mai”.
I primi segnali nella direzione del possibile superamento del regime dell’ostatività sono da ricondurre ai lavori della commissione “Palazzo”, incaricata nel 2013 di elaborare un progetto di riforma del sistema penale. Tra le altre proposte, la commissione inserì quella di ipotizzare un’ulteriore alternativa rispetto alla collaborazione utile e a quella inesigibile, con l’aggiunta al co. 1 bis dell’art. 4 bis O.P. della frase “e altresì nei casi in cui risulti che la mancata collaborazione non escluda il sussistere dei presupposti, diversi dalla collaborazione medesima, che permettono la concessione dei benefici summenzionati”.
Il tema venne ripreso ai lavori degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale. La proposta finale prevedeva che la preclusione potesse essere superata per i detenuti che avessero posto in essere concrete condotte riparative in favore delle vittime del reato, dei loro familiari o della comunità civile, generando significativi risultati in termini di ricomposizione dei conflitti, di mediazione sociale e di cambiamenti di vita.
La stesura finale della legge delega di riforma dell’ordinamento penitenziario, inserita nella L. 23 giugno 2017, n. 103, ha però espunto ogni possibilità di riconsiderazione dell’istituto dell’ergastolo ostativo.
Anche l’evoluzione più recente della giurisprudenza costituzionale, ancor prima della dichiarazione di ieri, ha riconosciuto alla rieducazione un rango decisamente predominante come si desume, dall’affermazione del “principio della non sacrificabilità della funzione rieducativa rispetto a ogni altra, pur legittima, funzione della pena” (Sent. n. 149/2018).
La Corte Costituzionale in queste ore ha compiuto un ulteriore passo nella direzione sollecitata dalla Cedu. Ha ristabilito in parte i principi costituzionali spesso affievoliti a torto o ragione dallo Stato nel contrasto alle organizzazioni criminali. Nessuno automatismo favorevole dunque a mafiosi e terroristi condannati all’ergastolo, come certa stampa vuole far credere, sarà sempre la magistratura di Sorveglianza ad accertare la dissociazione da logiche mafiose di determinati detenuti. La lotta alle mafie, giusta e ineccepibile, non può però ledere la dignità dell’individuo in uno stato di diritto.